In Italia la popolazione straniera non è in espansione. E anche nel 2018, come in passato, è cresciuta fisiologicamente di appena il 2,2%, arrivando a 5.255.500 residenti a fine anno, pari all’8,7% di tutti gli abitanti del Paese. Rispetto all’anno precedente, l’aumento netto di 111mila presenze è stato in gran parte dovuto ai 65.400 bambini nati nel corso del 2018 da coppie straniere già presenti in Italia, i quali non sono quindi “immigrati”, ma giuridicamente stranieri sì. Sono solo alcuni dei tantissimi dati diffusi oggi in molte città italiane dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con il Centro Studi e Rivista Confronti, attraverso il Dossier statistico immigrazione, la 29esima edizione, cofinanziata dall’Otto per mille della Chiesa Valdese – Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, alla cui realizzazione hanno contribuito decine di studiosi ed esperti in materia.

A Verona la presentazione in Sala Africa è stata a cura del Cestim con il supporto della sociologa Gloria Albertini che ha curato il capitolo veneto. Per Matteo Danese, presidente del Cestim, il dossier è «uno strumento utile per saper parlare di immigrazione con cognizione di causa» mentre per il direttore, Raffaello Zordan, «la presentazione del Dossier è il momento più alto per mettere da parte le semplificazioni sui temi migratori e appropriarci dei dati per migliorare l’attività quotidiana di ogni persona e delle associazioni che trattano questi temi, oltre ai giornalisti che raccontano il fenomeno. Prestare attenzione ai “segnali” che emergono da questi dati aiuta a comprendere il mondo che ci sta accanto con una conseguente modifica dell’opinione pubblica se saremo in grado di comunicarli in modo migliore e puntuale».

A Gloria Albertini è stato affidato il compito di presentare il quadro mondiale, nazionale e locale. Tutta l’attenzione mediatica e la comunicazione politica hanno continuato a insistere sugli arrivi via mare dei richiedenti asilo, riproponendo – come da quarant’anni a questa parte – la retorica dell’invasione. In realtà, a seguito dei discutibili e onerosi accordi che l’Italia ha stretto con la Libia, non solo già nel 2017 il numero dei migranti sbarcati nel Paese era diminuito di oltre un terzo rispetto al 2016, scendendo a 119.310 casi, ma durante tutto il 2018 si è attestato ad appena 23.370, un numero crollato in un anno di oltre l’80%, per ridursi, nei primi 9 mesi del 2019, a soli 7.710 casi. Si tratta di una cifra inferiore di ben cinque volte ai 39.000 migranti che nel frattempo sono giunti in Grecia e di circa due volte e mezza ai 19.000 approdati in Spagna, oltre che sostanzialmente equiparabile ai 6.400 richiedenti asilo che, nel 2018, l’Italia ha dovuto riammettere sul proprio territorio dai Paesi comunitari in cui si erano trasferiti violando il Regolamento di Dublino. La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più letale al mondo con più di 25.000 morti o dispersi accertati dal 2000 a oggi: oltre la metà di tutti quelli calcolati nelle rotte marittime a livello mondiale.

La metà degli stranieri residenti in Italia è di cittadinanza europea (50,2%), poco più di un quinto è di origine africana (21,7%), gli asiatici coprono un altro quinto delle presenze (20,8%), mentre è americano (soprattutto latinoamericano) un residente straniero ogni 14. I più numerosi (più dell’intera provenienza dall’Africa) sono i romeni, che con 1.207.000 residenti continuano a rappresentare la prima collettività estera in Italia, precedendo di gran lunga i 441.000 albanesi, i 423.000 marocchini e, a maggiore distanza, i 300.000 cinesi e i 239.000 ucraini.

Bambini di origine straniera a scuola

I giovanissimi. La mancata risoluzione della questione della cittadinanza per chi nasce in Italia, in un Paese in cui iniziano ad affacciarsi addirittura le terze generazioni di immigrati, costituisce uno di quei fattori che stanno contribuendo ad avviare processi di disaffezione e – soprattutto tra i più giovani e qualificati – anche di abbandono dell’Italia. Un fenomeno che sta assumendo proporzioni preoccupanti anche tra gli italiani, sia nativi che per acquisizione, i quali hanno ripreso a emigrare massicciamente, spopolando soprattutto le regioni meridionali. A dispetto della retorica nazionalista, infatti, i giovani italiani condividono le stesse difficoltà dei loro coetanei stranieri a trovare, in Italia, condizioni accettabili di inserimento e di stabilità, a cominciare dal lavoro: precario, sottopagato, sottoqualificato e con scarse prospettive di miglioramento. I residenti stranieri che sono nati in Italia siano già più di un quinto del totale, ovvero circa 1.100.000 persone, le quali sono quindi “straniere” solo da un punto di vista giuridico. Ben la metà di queste ultime, pari a 531.000 individui, è costituita da giovani che siedono sui banchi delle scuole italiane e che costituiscono ormai quasi i 2 terzi (63,1%) degli 842.000 alunni stranieri complessivi, i quali a loro volta rappresentano un decimo (9,7%) di tutta la popolazione scolastica in Italia.

Il credo religioso. In Italia la popolazione straniera viene ancora penalizzata o discriminata ancora molto sulle appartenenze religiose, sebbene proprio in questo caso quella più stigmatizzata, la musulmana, riguarda un terzo (33,0%) degli stranieri residenti in Italia, ovvero 1.733.000 persone, mentre la maggioranza è costituita da cristiani (2.742.000, pari al 52,2% del totale). Tra costoro prevalgono gli ortodossi (1.538.000, pari a 3 residenti stranieri ogni 10), seguiti dai cattolici (930.000, oltre un sesto dell’intera popolazione straniera) e dai protestanti (232.000 e circa un ventesimo del totale). A smentire la falsa credenza di un fanatismo e radicalismo religioso particolarmente diffuso tra gli immigrati, sta il fatto che, tra questi, 248.000 (quasi 1 ogni 20) sono agnostici o atei: un numero superiore ai 158.000 induisti, ai 120.000 buddisti, e, separatamente, ai fedeli di altre religioni orientali, a quelli di religioni tradizionali africane e agli ebrei.

Il decreto “insicurezza”. Sono sensibilmente aumentati gli stranieri irregolari: il Decreto Sicurezza da un lato ha abolito i permessi per protezione umanitaria, rendendone impossibile rinnovi e nuovi rilasci, dall’altro, istituendo permessi “speciali” più labili e difficilmente rinnovabili, e dall’altro ha ridotto e reso più precaria la platea dei beneficiari. Dai 530mila stranieri irregolari stimati a inizio 2018, si è calcolato che entro il 2020 possano arrivare a oltre 670.000: un numero secondo solo a quello emerso nella grande regolarizzazione del 2002. Ne avevamo parlato in questo articolo firmato da Ernesto Kieffer.

I servizi alla persona. Ben 2 lavoratori stranieri su 3 svolgono professioni non qualificate o operaie (nelle quali incidono rispettivamente per il 32,3% e il 14,0%), mentre solo 7 ogni 100 svolgono professioni qualificate (nelle quali la loro incidenza è appena del 2,3%). In assoluto, il comparto che conosce l’incidenza più alta di lavoratori stranieri (in stragrande maggioranza donne) è quello dei servizi domestici e di cura alla persona, dove la loro quota è del 68,9% e che assorbe ben il 42% di tutte le occupate straniere in Italia (a sua volta, la componente maschile dei lavoratori stranieri è per il 43% impiegata nell’industria e nelle costruzioni). I servizi domestici e di assistenza presso le famiglie è un comparto non solo caratterizzato da un’ampia sacca di lavoro irregolare (dichiarato solo per una parte delle ore effettivamente lavorate), privando le lavoratrici straniere di una serie di tutele (come quelle previdenziali infortunistiche) e di garanzie (legate alla retribuzione, ai tempi di riposo e alle mansioni); ma, per le condizioni in cui viene svolto, comporta spesso notevoli sacrifici esistenziali (prolungata impossibilità di ricongiungersi con coniugi e figli rimasti all’estero, che a volte sfocia in conflitti e separazioni familiari) e disturbi psicologici (la cosiddetta “sindrome Italia”).

Cooperazione internazionale autogestita. Le rimesse degli immigrati verso le proprie famiglie di origine non solo è aumentata sensibilmente, passando dai circa 5 miliardi di euro del 2017 ai ben 6,2 miliardi del 2018, ma ha ancor di più sopravanzato quanto l’Italia destina agli aiuti internazionali allo sviluppo. Infatti, se già nel 2017 questo importo era inferiore di qualche miliardo al flusso di rimesse inviate dagli stessi immigrati nei propri Paesi d’origine, nel 2018 il gap si è allargato ancora di più non solo per il descritto aumento delle rimesse, ma anche per il contestuale decurtamento della quota nazionale riservata, appunto, agli aiuti allo sviluppo, la quale, già più bassa di quella cui l’Italia sarebbe tenuta, nel 2018 è stata tagliata di circa un terzo. Così, all’inconcludente retorica dell’“aiutiamoli a casa loro” si può rispondere, a ragion veduta, che in realtà ad aiutarsi a casa loro ci pensano già, e molto più, loro stessi.

Gloria Albertini mentre presenta il dossier alla Sala Africa di Verona

Un focus su Verona a cura di Gloria Albertini. A inizio 2019 gli immigrati residenti nei 98 comuni della provincia di Verona risultano essere dall’anagrafe, secondo i dati Istat, 110.029 su 926.497 residenti complessivi, l’11,9%. Gli immigrati residenti sono aumentati del 4,3% (4.569) e le donne prevalgono: sono 56.690 (51,5%) mentre i maschi sono 53.339. Nel comune di Verona risiedono 37.114 immigrati (14,4%), con un aumento di 1.475 persone rispetto al 2018 (+4,1%).

Analizzando il bilancio demografico della provincia emerge che le nascite sono una voce positiva importante, con 1.697 nati non italiani (in calo: erano 1.773 nel 2017), a fronte di 130 cancellati per morte. L’altra voce positiva fondamentale sono gli iscritti dall’estero, 6.497 (in netto aumento: erano 4.754 nel 2017). Tra le voci in negativo, cioè tra i motivi di cancellazione, il più rilevante sono le acquisizioni di cittadinanza italiana, con 2.529 nuovi cittadini italiani, in calo per il secondo anno di seguito (nel 2017 erano 3.764). La popolazione immigrata è strutturalmente più giovane rispetto alla popolazione autoctona. I minori sono 25.181 (22,9%), di cui 19.153 in età di scuola dell’infanzia o dell’obbligo. I 18-34enni sono 30.222 e i 35-49enni sono 35.236: in sintesi l’82% degli stranieri ha meno di 50 anni, mentre ben il 47% degli italiani ha invece dai 50 anni in su.

Le prime dieci nazionalità sono  le stesse dello scorso anno, con un cambio solo sulla decima posizione – il Brasile ha preso il posto della Serbia –. Le prime tre sono Romania, con 32.957 residenti, Marocco (13.183) e Sri Lanka (8.997). Rispetto alla distribuzione territoriale, i comuni che contano il maggior numero di residenti stranieri, dopo il comune capoluogo, sono San Bonifacio (4.038), Villafranca (3.659), San Giovanni Lupatoto (2.946). I comuni che, invece, registrano le proporzioni più alte di immigrati residenti risultano Nogarole Rocca (23,5%), San Bonifacio (18,9%) e Palù (17,6%).

A chiudere l’incontro a Verona sono stati Giulio Saturni di One Bridge To Idomeni, nata nel 2016 per portare aiuti umanitari nell’accampamento informale di Idomeni, presso il confine greco/macedone, ed Eliana Bomberi di SamarRamé, un progetto di rete e un progetto di scambio tra veronesi e nuovi veronesi.