Michele Butturini, 27 anni, laureato in Plant Science presso l’Università di Wageningen (Olanda), con specializzazione in Orticoltura in serra, attualmente ricercatore in “Vertical Farming” presso Delphy Improvement Center, una moderna struttura, vicino a Rotterdam, dove vengono sviluppati nuovi concetti e tecniche di coltivazione.

Entriamo subito nel tema. Cosa si intende per agricoltura verticale? Quali sono gli elementi tecnologici che la caratterizzano?

«L’agricoltura verticale è un sistema di produzione agricola in cui le piante vengono coltivate in scaffalature che si estendono verticalmente. Si tratta di sistemi di coltivazione fuori suolo, il più delle volte “idroponici”, dove le condizioni di crescita delle piante, grazie a potenti climatizzatori e illuminazione artificiale a LED,  sono controllate con precisione.»

Michele Butturini in una vertical farm

Non posso non farle una domanda personale. Cosa la appassiona di questa tecnica?

«Bella domanda, non glielo so spiegare anche se per me è quasi ovvio. C’è qualcosa di ipnotico e affascinante, un ambiente al tempo stesso estremamente artificiale ma che esplode di natura, come un acquario o un terrazzo fiorito.»

Allora entriamo nell’ “acquario” per capire meglio di cosa si tratta. Quando e dove è nata questa idea? Per quali prodotti è stata finora studiata e sperimentata? Quanto può essere estesa la sua applicazione?

«Le prime fattorie verticali sono apparse verso la fine del XX secolo negli Stati Uniti, Giappone e Paesi Bassi. La loro recente espansione globale è stata favorita soprattutto dalla diffusione dell’illuminazione LED mentre la sua popolarità è in gran parte dovuta al lavoro dei professori Toyoki Kozai e Dickson Despommier, rispettivamente giapponese e americano.

Potenzialmente si può coltivare qualsiasi cosa (cereali, tuberi, alberi da frutto, etc). Penso però che non bisogna trarre conclusioni affrettate, si rischia di ingannare i consumatori. Innanzitutto bisogna capire quali prodotti agricoli possono essere economicamente trattati in “Vertical Farming“: per cereali e alberi da frutto la risposta per ora è no.

Attualmente, sono pochissime le coltivazioni per le quali ha senso utilizzare agricoltura verticale, prevalentemente sono micro-ortaggi, insalate, fragole e piante per uso medico/cosmetico. A breve però, in alcune parti del mondo (per esempio Singapore e New York), vedremo arrivare sul mercato i primi pomodori coltivati in agricoltura verticale. Sono sicuro che il futuro ci riserverà molte sorprese.»

I benefici attesi?

«Svariati. Limitatissimo uso di suolo: coltivando su più livelli si minimizza la necessità di suolo coltivato. Altissima efficienza dell’uso dell’acqua: in campo aperto normalmente una parte dell’acqua di irrigazione viene persa nel suolo, e un’altra parte viene evaporata (la parola giusta è “traspirata”) dalle piante attraverso le foglie. Nell’agricoltura verticale tutta l’acqua traspirata viene recuperata dal sistema di climatizzazione, mentre l’ acqua di irrigazione viene in gran parte ricircolata. Poi c’è l’alta qualità del prodotto: le piante sono esposte ad aria filtrata, non vengono usati pesticidi, e non entrano mai in contatto con il suolo: ciò rende i prodotti dell’agricoltura verticale potenzialmente molto sicuri. Infatti, le insalate provenienti da fattorie verticali non hanno necessità di essere lavate. »

In un mondo fatto di relazioni ampie e complesse, creare un ambiente artificiale, isolato e strettamente controllato dove far crescere e sviluppare il nostro cibo potrebbe sembrare innaturale. Come reagisce a questa osservazione?

«Credo fermamente che, come dice lei, il mondo sia fatto di relazione ampie e complesse. Ciò nonostante è importante precisare che ogni sistema agricolo è un ambiente in qualche modo controllato e artificiale. Lavoriamo la terra, portiamo l’acqua alle piante, scegliamo e selezioniamo le sementi, rimuoviamo le “infestanti”, raccogliamo al momento giusto etc… D’altro canto è certamente vero che l’agricoltura verticale estremizza questa tendenza. Credo anche che il cibo sia un argomento molto delicato e importante, per gli individui come per le identità culturali. Basti pensare alle connotazioni etiche che il cibo ha sia in contesti religiosi (kosher, halal, etc) che in contesti laici (biologico, “plant-base”,” cruelty free“). Io sono di formazione biotecnologo e non ho niente contro gli OGM, tuttavia rispetto la sensibilità di chi non li vuole mangiare: per me non ha importanza chi ha ragione o torto, l’importante è rispettare le scelte che non comprendiamo. Un sistema multiculturale richiede una società multiagriculturale, dove ogni cultura può scegliere la propria agricoltura. Utile precisare che l’agricoltura verticale non è “il futuro” ma una componente, probabilmente minoritaria, della futura agricoltura.»

Come viene gestita la riproduzione, la selezione dei semi?

«Le sementi utilizzate vengono acquistate dalle aziende sementifere, come è prassi in larga parte dell’agricoltura in campo aperto e in serra. Al momento non ci sono ortaggi selezionati specificatamente per l’agricoltura verticale, però le aziende sementifere hanno iniziato a fare ricerca e a sviluppare le prime “nuove” varietà ad essa dedicate.»

Come viene gestita la salvaguardia della biodiversità?

«Il Vertical Farming” ha un rapporto complesso e controverso con la biodiversità. Un punto a favore è che offre la possibilità di creare ambienti di crescita praticamente “perfetti”, adatti per (quasi) qualsiasi pianta: ciò significa che potenzialmente si presta a reintegrare nella dieta dei consumatori tutte quelle varietà orticole definite “antiche”, dimenticate dall’agricoltura tradizionale. Da questo punto di vista, quindi, potrebbe svolgere un ruolo di conservazione della biodiversità.

L’altissima efficienza d’uso dell’acqua è anche un punto a favore nella protezione della biodiversità, soprattutto in zone aride, dato che viene sottratta meno acqua all’ambiente.

Poi c’è l’altissima efficienza nell’uso del suolo. Con la “Vertical Farm” si può produrre moltissimo in poco spazio e questo aiuta a ridurre la necessità di deforestare per ricavare nuovi suoli coltivati.

Ma le fattorie verticali hanno anche bisogno di grandi quantità di energia elettrica, molto più di una coltivazione in campo aperto o in serra, questo, nella misura in cui l’energia elettrica verrà prodotta utilizzando combustibili fossili causa dei cambiamenti climatici, avrà un effetto negativo indiretto sulla biodiversità.»

E l’Europa? Cosa pensa delle colture idroponiche? Vi è menzione nel “Farm to Fork” della Commissione Europea?

«L’agricoltura verticale si sta sviluppando in un vuoto normativo. A livello mondiale, le politiche pubbliche sull’agricoltura verticale sono state piuttosto limitate e disperse. I principali i piani strategici europei, dalla PAC (Politica Agricola Comunitaria) al recente “Green Deal” con il suo “Farm to Fork”, non ne parlano.»

Ultima domanda. Verona ha una tradizione agricola secolare. Pensa di tornare per sviluppare fattorie verticali?

«Non penso ci sia bisogno di me. Nel veronese sono già operative due fattorie verticali che producono, con sistemi automatizzati, erbe, lattughe e germogli. Io per ora non ho intenzione di tornare. Ho l’impressione che Verona non sia una città che vuole bene ai propri giovani, che non sia interessata al loro sviluppo personale e professionale.»

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