«Ricordo un posto di libertà che non era mai esistito prima. E penso che questa libertà sia stata spazzata via per sempre». Ascoltare Davide Coltri a Pagina Dodici a Verona, all’indomani dell’attacco turco nei confronti dei curdi siriani situati a nordest della Siria, fa pensare e apre una ferita. Francesca Lorandi, giornalista de “L’Arena” con il compito di moderare l’incontro all’interno di MediOrizzonti, lo introduce leggendo un passo del suo libro Dov’è casa mia (edito da minum fax nel 2019), in particolare la storia di Khalat, giovane curda siriana che lascia la città d’origine per andare a studiare a Damasco, grazie al legame con il fratello che le permette di studiare e andarsene.

Davide Coltri (Foto di Alice Silvestri)

E l’occasione è necessaria per parlare dell’attuale offensiva militare scoppiata dopo la decisione del presidente statunitense Donald Trump di ritirare i soldati americani dalla regione: «La Turchia descrive nei suoi media le milizie curde come “terroristi”, nonostante il loro prezioso contributo nella guerra contro l’Isis a fianco della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti sia tangibile. Nel mio lavoro come operatore umanitario nelle emergenze ho imparato che tutto è il contrario di tutto: sono stato sequestrato circa 4 ore perché camminavo vicino al muro di separazione tra i due Paesi e poi mi è stato spiegato che quel gesto era stato fatto per proteggermi dagli eventuali cecchini in postazione. Passeggiare rappresenta un rischio, un sequestro un atto di salvezza, una “dipendenza dal maschile” per una giovane curda una possibilità per il proprio futuro. Tanti preconcetti che mi sono costruiti per una vita si sono volatilizzati lavorando in queste zone».

L’esperienza di Davide, originario di Caprino veronese, che lo ha visto lavorare in contesti umanitari dal Medioriente all’Africa, passando per il Nepal, continua a tornare in quel limbo al confine tra Turchia e Siria che, a seguito dell’invasione irachena del Kuwait durante la Prima Guerra del Golfo (1990-91) e la conseguente risposta americana, ha accolto un milione e mezzo di curdi in fuga. L’intervento dell’Onu garantì protezione alla popolazione portando l’Iraq a consentire al governo regionale del Kurdistan di governare la parte del nord del Paese. L’esperimento del Rojava, o Federazione Democratica della Siria del Nord, è il rarissimo tentativo di stabilire un sistema democratico in un’area del mondo che la democrazia non l’ha mai conosciuta. È un esperimento fragile, avviato e sostenuto con risorse economiche ridottissime, durante un periodo di guerra permanente.

Davide Coltri a Pagina Dodici (Foto di Alice Silvestri)

«Il Rojava prevede un sistema che superi, pur senza negarle, le identità etniche, linguistiche, di genere e religiose presenti nella popolazione. Come il sistema scolastico, con un curriculum trilingue (curdo, arabo e siriaco) o lo sforzo militare, affidato a uomini e donne di varie etnie (curdi, arabi, assiri, armeni, e altri).» L’esercito della Federazione è stato in prima linea nella lotta contro l’Isis ben oltre la zona a maggioranza curda. Se l’Isis non controlla per ora alcun territorio in Siria e se è indebolito a livello mondiale lo si deve in grandissima parte al sacrificio delle Forze Democratiche Siriane. Oggi anche per questo ci si dovrebbe schierare senza se e senza ma con questo miracolo democratico. I curdi non sono solo “uno dei nemici” del governo turco guidato dal presidente Erdoğan, sono “il nemico” per eccellenza, quello principale e da sconfiggere a ogni costo. E gli sfollati vengono usati come pedine per imporre la propria politica espansionista, deportandoli in zone della Siria da cui non provengono col fine di cancellare la presenza curda, con la creazione di un doppio sfollamento: quello dei rifugiati deportati in Siria e quello delle popolazioni locali costrette a fuggire altrove.

Davide ora è in un momento di pausa dopo anni di lavoro sull’emergenza dove rimaneva dai 3 mesi fino a un massimo di un anno nelle zone bisognose del suo supporto. Tutto questo lo ha reso meno ingenuo nella percezione del mondo, dove «le priorità sono totalmente cambiate quando si vive in posti dove le persone vengono lasciate morire per strada perché non hanno la possibilità di pagarsi una cura». L’essenzialità quindi in questo momento è fondamentale nella sua esistenza, guardando sempre ai suoi orizzonti che, forse, già gli chiedono di muoversi ancora, alla ricerca delle sue case future.