Scorrendo i giornali nelle ultime settimane, provando a planare sulle notizie senza pensieri, c’è qualcosa che rimane impresso e si fa “morettianamente” notare per la sua assenza.

Le informazioni sulle prossime elezioni europee sono scarne, svogliate, nascoste in angolini con poca luce. L’atteggiamento della stampa sembra quello di dire “va beh, ci sono ‘ste benedette elezioni, dieci righe su come si vota e dove mettere le crocette le dobbiamo pur scrivere, anche se poi non se le fila nessuno”.

In Italia, ma anche in altri Paesi, ci si avvicina al voto europeo come se fossero le elezioni USA di mid-term, una sorta di verifica – cioè – della tenuta del Parlamento. E forse un pochino è anche vero, visto che i nuovi equilibri tra le forze politiche potrebbero riservare a qualcuno la sorpresa di non contare più niente e a qualcun altro la tentazione di aprire una crisi di Governo. Ma, a parte questo, le Elezioni Europee andrebbero considerate come l’occasione per esprimere la propria voce anche all’estero e per incidere tanto sul nostro futuro quanto su quello delle prossime generazioni. La sensazione è che l’Europa sia arrivata a un punto di non ritorno, in cui si deve scegliere se fare il prossimo passo evolutivo, approfondendo su molti livelli la collaborazione tra Stati, e dare una svolta veramente federalista alle politiche dell’Unione; l’alternativa, una via di mezzo tra i singoli individualismi e la comunità in senso lato, non può reggere alle sempre più frequenti spinte sovraniste. È necessario sapere se vogliamo andare avanti con il progetto di Spinelli o se invece il popolo dei 28 Stati non si sente veramente europeo fino in fondo. Le elezioni di domenica ci diranno proprio questo.

L’interno della sede del Parlamento Europeo, a Bruxelles

I dati dell’Eurobarometro, il centro statistico del Parlamento Europeo che si occupa dei sondaggi, danno per “sicuramente votante” soltanto il 35% dei cittadini europei, con un altro 30% che ha deciso di non partecipare e il rimanente ancora nella cosiddetta “terra di nessuno”. Votare è un diritto, rinunciarvi una dichiarazione di resa; votare è un dovere, rifiutarsi è dannoso per sé e per gli altri. Chiunque si lamenti a gran voce sui social di questa Europa che affama i suoi cittadini, che ci penalizza, e ci manca di rispetto, potrebbe forse peccare di informazione o buona fede, ma sicuramente ha il diritto di farlo. Questo diritto a lamentarsi viene meno, però, se si affida il proprio destino alle decisioni di un altro, se si rinuncia all’occasione di esprimere il proprio giudizio, il proprio desiderio.

Certo, per dare un voto o prendere una decisione sarebbe d’aiuto conoscere l’argomento e purtroppo ciò risulta complicato nell’era della disinformazione o dell’informazione vera, ma circoscritta al dettaglio, che perde scientemente di vista l’insieme per soffermarsi solo su una parte. La maggior parte delle persone si limita a elaborare problemi e tematiche in modo superficiale, cerca in rete quelle informazioni che confermano le proprie convinzioni, senza lasciare spazio al dubbio, che faticosamente richiederebbe studio e ricerca ulteriori.

Un piccolo sforzo come andare a votare parte dallo sforzo più grande di crearsi una propria opinione politica, attraverso l’esame di tutte le possibili prospettive e non soltanto di quella che urla di più o gioca con le emozioni forti della gente semplice. Un voto si esprime con la testa, perché dalla pancia, purtroppo, non sempre escono farfalle.

Fonte: SISE 2019

L’Atlante della Società Italiana di Studi Elettorali ha recentemente espresso la sua previsione sull’andamento delle prossime elezioni, che vedranno certamente un aumento dei partiti sovranisti euroscettici (dal 12,6% del 2014 al 17,2%), cosi come dei partiti populisti (dal 17% a superare il 20%). Si tratta, secondo il SISE, di aumenti contenuti e ben lontani dall’onda di piena del cambiamento pubblicizzata dai partiti stessi.

Se la previsione risulterà azzeccata, si tratterà di un’evoluzione con cui sarà necessario fare i conti, specialmente in Paesi come il nostro dove esiste una forte spinta in quella direzione. Se l’Italia esprimesse lo stesso voto visto alle Politiche, si creerebbe una situazione quasi paradossale: saremmo il Paese europeo con il maggior numero di “euroscettici” eletti, in un Parlamento Europeo dove l’unica maggioranza, a buon senso, pare ancora quella formata dai partiti europeisti. Le conseguenze che questo scenario potrebbe avere sul nostro Paese sono facilmente intuibili: un aumento delle tensioni tra Istituzioni Comunitarie e Nazionali e un maggior isolamento dell’Italia, proprio nel momento in cui dovremo andare a chiedere flessibilità nei parametri macroeconomici.

Un contesto del genere sarebbe un grande regalo per le forze politiche, un invito ad approfittare del clima ostile per trarne vantaggio elettorale in patria; qualunque partito che non saltasse su un treno come questo, d’altronde, avrebbe sbagliato il proprio mestiere. Resta, però, da pensare a che cosa resterà dell’Italia, e soprattutto degli italiani, dopo. Si sente spesso dire: “A cosa serve andare a votare, tanto i politici sono tutti uguali, spolpano tutto quello che c’è fino all’osso”. Un’affermazione che in parte può anche essere vera, ma noi elettori abbiamo l’occasione e il dovere preciso di indicare una direzione da prendere, scovando tra i candidati quello che si spera non si comporterà in quel modo o comunque quello che potrebbe rappresentare l’idea che abbiamo noi di Europa.

Visegrad Group

Dobbiamo scegliere quelle persone che il prossimo novembre si siederanno a discutere e approvare la nuova Legge di Bilancio 2021-2027, un piano pluriennale che almeno dalle anticipazioni dovrebbe portare notevoli benefici per il nostro Paese. La redistribuzione delle risorse comunitarie, a discapito dei Paesi del blocco Est, che ormai mostrano tassi di crescita ottimali (e non a caso si sono raggruppati nel gruppo ostile di Visegrad), in favore dei Paesi dell’Area mediterranea, che ancora sente forte gli strascichi della crisi, acuita dal problema imperativo delle migrazioni, dell’accoglienza e del controllo dei confini.

La sede del Parlamento europeo a Bruxelles

Praticamente, l’Italia starebbe con quelli che votano contro a maggiori fondi a favore dell’Italia stessa; non fosse in gioco il benessere di tanta gente, ci sarebbe pure un lato estremamente comico. Ma i giochi sono ancora tutti da stabilire e chissà cosa diranno veramente le urne, domenica. Non importa quale partito o quali candidati, l’importante è che domenica mattina ci si svegli, si beva il caffè sotto le coperte e poi si vada a dire all’Europa che cosa vogliamo che diventi, per noi e per i nostri figli.

Cogito, ergo VOTO!