La solita storia. Quando c’è di mezzo la cosiddetta violenza negli stadi, in Italia che si fa? Ci si costerna, ci s’indigna, ci s’impegna poi si getta la spugna con gran dignità. A venti anni esatti dalla scomparsa di Fabrizio De André, i versi del cantautore genovese – riferiti ad altri ambiti, va detto – corrono in soccorso per descrivere lo stato dell’arte relativa al tema in oggetto.

La tragedia in cui perse la vita Claudio Spagnolo, tifoso genoano ucciso da una coltellata inferta da un ultrà milanista, è avvenuta nel 1995. Da quel giorno il fenomeno della violenza associata al calcio ha svoltato.

Sia per il mondo ultrà (dopo quei fatti organizzò addirittura un summit tra curve, da cui emerse il famigerato “Basta lame, basta infami”) ma anche da parte dello Stato, con un inasprimento della lotta verso gli esagitati della domenica.

A ventiquattro anni da quegli eventi, la risposta che arriva dalle autorità è, per certi versi, disarmante. Si sa che prevenire è meglio che curare ma che il prossimo Genoa-Milan, per ragioni di ordine pubblico, venga programmato di lunedì alle 15 ha un sapore amaro. Con un retrogusto di ennesima pugnalata alle spalle delle persone di buona volontà.

Quel Genoa-Bologna del 1925

Nulla di nuovo sotto il sole, insomma. Nel 1925, in un clima infuocato da precedenti incidenti, per prevenirne altri la Lega definì sede e orario dello spareggio decisivo tra Genoa e Bologna non solo con pochi giorni d’anticipo ma facendo scendere in campo le due compagini il 9 agosto, alle 7 di mattina, sul campo (neutro) milanese di Vigentino e senza pubblico. Anzi, nella massima segretezza: nessuno doveva sapere.

Nel 2019 l’Osservatorio sugli eventi sportivi non è stato altrettanto prudente nella gestione di Genoa-Milan ma il metro è sembrato decisamente draconiano, quantomeno rispetto ai canoni del football del Ventunesimo Secolo. La decisione è arrivata a poco più di una settimana dalla partita, il cui svolgimento era originariamente fissato dalla Lega Calcio per le 21 della stessa giornata.

A (ri)mettere in discussione il tutto sono state le nuove e discusse delibere relative all’ordine pubblico. Il recente omicidio nel prepartita di Inter-Napoli e un’indicazione piuttosto esplicita del Ministro degli Interni hanno fatto il resto. In particolare, l’Osservatorio ha recepito letteralmente un invito di Matteo Salvini. «Mi piacerebbe si giocasse alla luce del sole» Così sarà.

Ci rimettono tutti

I tentativi di ostacolare chi va allo stadio per menare le mani e continua a farlo, hanno avuto finora effetti controversi. Porte chiuse, settori vietati, posti nominali, carta d’identità obbligatoria e tessere del tifoso sono stati i provvedimenti la cui enfatizzazione è stata inversamente proporzionale all’efficacia, come dimostrerebbe la fattispecie. Ad oggi, l’unica certezza è il graduale allontanamento dagli stadi di chi alla partita ci va – o andava – per il piacere di vivere l’emozione del calcio dal vivo tenendo i pugni in tasca. Da estrarre semmai per esultare dopo un gol. E che il lunedì pomeriggio le mani le utilizza per lavorare.


Gli scontri all’esterno dello stadio di Marassi nel 1995

Potenziali spettatori che nel frattempo si sono diretti gradualmente verso il salotto di casa propria. Da lì in molti hanno scoperto la Premier League e si sono trasformati in telespettatori. Appassionati, inclusi anziani e bambini, di cui il calcio italiano avrebbe bisogno per generare un effetto virtuoso. Stimolarli a tornare a riempire gli impianti non solo in occasione di Inter-Juventus dovrebbe essere una priorità.

Ignorato l’appello del Sindaco

Lo spostamento della partita deciso sotto data è un altro aspetto negativo della vicenda, oltre alla scelta di un giorno feriale e un orario “impossibile”. L’evoluzione del calcio moderno ha trasformato il rapporto con i tifosi e nessun cliente desidera essere trattato a pesci in faccia.

Vale, in questo caso di riflesso, anche per il pubblico di Juventus-Chievo, il cui calcio d’inizio è stato ridefinito dalle 19 alle 20.30 della stessa giornata di lunedì. I maggiori disagi, è evidente, li avranno i potenziali trentamila spettatori della sfida del Luigi Ferraris, con brutte notizie che coinvolgono anche chi la partita la trasmetterà in tv, solitamente trattato coi guanti bianchi dalla Lega Calcio.

Disorientati se non imbufaliti i tifosi, arrabbiati i commercianti e i residenti del quartiere di Marassi, a nulla è valso l’appello di Marco Bucci, sindaco di Genova. In una città in cui notoriamente da Ferragosto le comunicazioni stradali sono difficoltose, ripristinare l’orario originario sarebbe stata una forma di rispetto. Se non, al limite, con ulteriore buon senso, anticipare la partita alla domenica pomeriggio a un orario tradizionale avrebbe avuto il doppio effetto di contenere i disagi e permesso la gestione “diurna” dell’ordine pubblico.

Nessuno allo stadio

«Non possiamo far nulla» gli è stato risposto da Via Rosellini. «Delle polemiche ce ne faremo una ragione» ha poi chiuso il cerchio la presidente dell’Osservatorio Daniela Stradiotto. Il che, tradotto, ha il sapore di un amaro finale all’italiana. Per educarne uno – o forse nessuno – insomma, se ne penalizzeranno cento. Incolpevoli.

Si dice che giocare con la luce del giorno permetta, ad esempio, agli elicotteri della Polizia di essere utilizzati con lo scopo di migliorare la vigilanza. Chi ha vissuto dal vivo quel pomeriggio del 1995 – come chi scrive – ricorda bene gli eventi. La rissa in cui è morto “Spagna” era avvenuta poco dopo pranzo e il dispiegamento di forze non impedì un contesto da guerriglia urbana indiscriminata.

Il problema, è noto, è a monte e non a valle. Riguarda pochissimi e non certo la massa, che a Genova ha in programma di boicottare la partita, rimettendoci un biglietto già pagato. La sensazione è che lunedì alle tre dal cielo dagli elicotteri osserveranno, tristemente, uno stadio vuoto.