2367 veronesi in meno nel 2017. Che cosa è successo? Se ne sono andati da Verona, dall’Italia. Già, i veronesi all’estero sono passati in soli 12 mesi dai 39.484 del 1 gennaio 2017 ai 41.851 dello stesso giorno del 2018. In Italia sono tanti i cervelli in fuga che partono e se ne vanno a lavorare in altriPpaesi. Così si dice, così si scrive.

Alt. Le cose, a dire il vero, non stanno proprio così. Per cominciare ad andarsene non sono solo cervelli, ma anche giovani che fanno altri mestieri, meno impegnati intellettualmente. E poi non è che i laureati siano automaticamente da considerarsi un cervello. Tuttavia, stanno avvenendo dei fatti che ci incuriosiscono. E se, invece, a partire fossero i pensionati, in fuga, e gli over 50? Tra i veronesi nel mondo il 34,9% sono over cinquantenni, di cui un bel 17% sopra i 65 anni. Tutto nasce dalla lettura del Rapporto Italiani nel mondo 2018 della Fondazione Migrantes, presentato qualche settimana fa a Roma: 500 pagine, 64 autori e 50 saggi. Il sottotitolo è “Il diritto al viaggio come diritto all’esistenza”. Diritto al viaggio, dunque, come diritto alla mobilità, elemento fondamentale per la costruzione della propria felicità. Perché, ricordiamolo, ai termini emigrazione e immigrazione dobbiamo associare immediatamente quello di mobilità, che meglio racconta i processi contemporanei. Non si emigra e basta. Si parte e si torna e probabilmente si riparte.

Il Rapporto non è solo un testo statistico sulla presenza italiana nel mondo, ma sempre più uno strumento culturale e qualitativo per comprenderne la complessità, le differenze, la meraviglia. Tuttavia, qualche dato generale dobbiamo darlo per capire meglio la situazione al 1 gennaio 2018.  I dati sono quelli AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), elemento oggettivo, ma raccontano solo in parte, al ribasso, il fenomeno. Dal 2006, il processo è diventato chiaro: la mobilità italiana verso l’estero cresce. Si è passati da poco più di 3,1 milioni di iscritti ai 5,1 di questo anno. Un aumento del 64,7%. I nuovi iscritti Aire ammontano a 243 mila per l’anno 2017, con 128.193 per espatrio (+ 3,2% rispetto all’anno precedente). Per quanto riguarda le fasce di età, a partire sono soprattutto i giovani tra i 18-34 anni (37,4%) e giovani adulti tra i 35-49 anni (25%), ma il dato più sorprendente riguarda le fasce di età più alte. In termini assoluti sono nettamente inferiori alle altre, ma l’aumento relativo nel 2017 è sorprendente: 65-74 anni (+26%), 75-84 (+49,8%), over 85 (+78,6%). Si tratta delle categorie “migrante genitore-nonno ricongiunto”, del “migrante di rimbalzo” che, tornato in Italia dopo tanti anni all’estero, decide di ripartire e del “migrante-previdenziale”. C’è però anche un numero importante nella fascia di mezza età (50-64) che migra in percentuali interessanti (11% con un aumento del 20,7%): i “migranti maturi disoccupati”, persone che intendono rimettersi in discussione professionalmente, perché usciti dal mercato del lavoro o perché le condizioni professionali sono divenute insostenibili. Nuovi italiani che partono per raggiungere i figli da qualche parte nel mondo per poi stare con i nipoti o per godersi una pensione dal valore relativo maggiore, come sta accadendo in Portogallo o alle Canarie in Spagna. Segnaliamo le regioni di maggiori partenze: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia. Si conferma una mobilità soprattutto dal nord. L’effetto Brexit si fa sentire, dopo anni in cui la Gran Bretagna era la prima meta, scende del 25,2%. Passa al secondo posto dietro la Germania e prima della Francia. Il primo paese extraeuropeo è rappresentato dagli Stati Uniti.

Dal punto di vista dei contenuti quest’anno il Rapporto si è soffermato sulle neomobilità. Dove vanno quelli che partono e perché? Il testo diventa una mappa che ci porta in Australia, Cile, Argentina, Irlanda, India, Gran Bretagna, Stati Uniti ecc. Un giro del mondo attraverso le Italie nel mondo. E si scoprono successi, grande storie, ma anche fenomeni di “migrazione malata”: la povertà degli homeless italiani nel Regno Unito, quando anche una malattia ti fa perdere tutto da un giorno all’altro, oppure la presenza illegale in Australia con le conseguenze di detenzione ed espulsione.

Perché dobbiamo leggere il Rapporto 2018? Perché altrimenti perdiamo pezzi di conoscenza. Il rischio opposto e di far prevalere stereotipi, semplicismi, banalità sia sulla presenza italiana nel mondo, poco conosciuta e mal interpretata, sia sul fenomeno migratorio in senso più ampio. Basta con l’idea che ci sono emigrazioni migliori o peggiori. Basta con l’idea che tutti quelli che se ne vanno sono dei cervelli in fuga. Basta con la sottovalutazione politica del fenomeno delle mobilità, che manca da sempre nei programmi scolastici.

C’è altro, invece. Ricordando la storia emigratoria della famiglia di Papa Bergoglio, il Cardinal Bassetti, Pres. della CEI, esprime un concetto fondamentale: «Il diritto al viaggio come diritto all’esistenza perché la libertà di andare non nega quella di rimanere, di tornare o di ricominciare. Viaggiare è un diritto nel quale si esplica l’esistenza umana, ricercando la felicità». Noi abbiamo fame di tutto questo perché, come Richard Florida, teorico delle Smart Cities e Knowledge City, ricorda, la più grande domanda alla quale saremmo costretti a rispondere nella vita è: dove scegliamo di andare a vivere.

Il Rapporto è stato riconosciuto come uno strumento fondamentale per far conoscere agli italiani di Italia qualcosa di più sulle altre Italie. Lo raccontano molti degli ospiti presenti sul palco e in platea, a partire da Delfina Licata, la curatrice della pubblicazione che spiega: «La mobilità continua a cambiare volto, costantemente, ed è per questo che è necessaria la conoscenza, perché di mobilità se ne parla e se ne sparla. Questo è un manuale che è una buona base di partenza».

Alla fine di tutto questo come ne usciamo? Prima di tutto facciamo in modo che si parli di mobilità italiana con uno sguardo più ampio e non si appiattisca il discorso al solito problema trito e ritrito di giovani tristi e senza speranze che fuggono, cresciuti con i soldi pubblici, che se ne vanno ad accrescere l’economia di altri luoghi. E poi, sono tutti preoccupati dei cervelli in fuga che non si accorgono che quelli a fuggire per davvero sono i pensionati.

Ma per partire non c’è età. Solo voglia. Desiderio. E se ci sono ancora, vuol dire che c’è speranza.

 

Tratto da La Voce di New York