La polemica è accesissima. Regioni che respingono il loro collocamento nella classifica di gravità stabilita del nuovo DPCM, Governo che risponde che i criteri erano già ben noti e condivisi. Che ci fosse in atto un discreto pasticcio, lo si era già intuito, quando nella giornata del 4 novembre era stato reso pubblico il testi definitivo del decreto, con tanto di firme di Conte e Speranza, ma il presidente della Liguria Toti in un tweet aveva annunciato che il giorno dopo sarebbe proseguito il confronto tra Governo e Regioni. Insomma il DPCM c’era, ma non c’era.

Il Presidente del Consiglio se l’era cavata dicendo di voler rinviare tutto al 6 novembre, per poter “dar tempo di organizzarsi”, ma era evidente che c’era una vera battaglia in corso. Ora , le conseguenze sono note. Diciamo subito che di politico non c’è un bel nulla, visto che se Lombardia e Sicilia si son viste assegnare il famigerato colore rosso, altre regioni amministrate dal centrodestra, come il Veneto e la stessa Liguria, hanno avuto applicato il regime anticovid meno severo. Qualcuno ha pasticciato un bel po’ se è vero che la Calabria, a ridosso del decreto pare abbia improvvisamente cambiato il metodo di conteggio dei ricoveri in terapia intensiva e che in Lombardia, mentre il Governatore Fontana cercava di promuovere la gestione dell’emergenza, il suo assessore Gallera scriveva agli ospedali certificando di suo pugno il livello massimo di emergenza. Ma non si può dire che il metodo di valutazione e decisione elaborato dal Governo, fosse proprio improntato alla certezza dei dati.
Vediamo. Al primo dei 21 punti usati come criteri di valutazione, si chiede il
“numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data inizio sintomi/totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo”. Chi avrebbe stabilito l’inizio dei sintomi? I sintomi di cosa, visto che spesso tampone ed esito avvengono molto tempo dopo la comparsa, ad esempio dello stato febbrile, magari quando è già passato? Oppure viene chiesto di indicare il ““numero di casi confermati di infezione nella Regione per cui sia stata effettuata regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti/totale di nuovi casi di infezione confermati”.

Indagine regolare, secondo quali parametri? Con la responsabilità di chi, visto che il tracciamento dipende dalla spontanea ricostruzione delle frequentazioni da parte dei singoli soggetti positivi, essendo saltato tutto il sistema della app Immuni?
In un altro punto si chiede di dichiarare il “numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento”. È ​forse questo che spiega la minaccia in Veneto di sanzioni nei confronti dei medici di base che sollevassero problemi nell’effettuazione dei tamponi in ambulatori, o il reclutamento di veterinari, pediatri e medici in pensione? Ma poi c’è tutta una serie di dati richiesti, potenzialmente importantissimi, dichiarati “opzionali”, come il “numero di accessi al PS con classificazione compatibile con quadri sindromici riconducibili a Covid-19″, fondamentale per capire quanto le “corsie covid” siano efficaci nel sistema ospedaliero della regione. O ancora il “numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net per settimana” che è il dato principale per capire l’efficienza della vigilanza da parte della rete dei medici di base.

Con un sistema così, non è difficile immaginare che qualcuno abbia potuto millantare eccellenze non reali, promettere numeri non ancora sicuri, altri semplicemente eludere le richieste, altri ancora fornire candidamente dati rivelatisi suicidi negli effetti. Tanto valeva dire “fate un po’ come vi pare”…