Gli anniversari andrebbero sempre giudicati a posteriori, più sulla base di ciò che lasciano che di cosa promettono. Conclusa l’epoca delle commemorazioni asservite solo all’autocelebrazione locale o nazionale, questi appuntamenti non possono, infatti, che trovare la loro ragion d’essere nel contributo fattivo fornito alla crescita culturale e civile della collettività stimolando lo sviluppo di ricerche e approcci originali, rinnovando l’interesse presso un pubblico generalizzato, fornendo l’occasione per restauri, acquisizioni, pubblicazioni e altri interventi.

Tuttavia, la lunga astinenza dagli anniversari imposta a Verona dall’amministrazione Tosi – troppo concentrata su un eterno presente per dedicarsi alla celebrazione del passato o alla programmazione del futuro – con le occasioni perse dei 750 anni dalla nascita di Dante nel 2015 e dei 150 dall’unificazione del Veneto al Regno d’Italia nel 2016 (unica eccezione: le baracconate revansciste, pagate coi soldi dei contribuenti, degli indipendentisti veneti contro il plebiscito) consente di accantonare, almeno momentaneamente, la nostra premessa per provare a riflettere sulla programmazione di “Dante a Verona 1321-2021”, lungamente attesa e presentata alla città nei giorni scorsi da Sindaco, Assessore alla Cultura e – per ragioni a chi scrive non del tutto chiare – Vescovo.

Va dato atto che, considerato il periodo non certo semplice per l’attività amministrativa in generale e per il settore culturale nello specifico, il frutto del lavoro sembra, almeno nelle premesse, ricco e articolato, con iniziative che spaziano dalla ricerca accademica di alto profilo – necessariamente rivolta alla cerchia degli addetti ai lavori – all’intrattenimento per un pubblico più vasto, cui sembrano voler parlare sia le mostre sia, soprattutto, il programma degli spettacoli, sul quale il comitato organizzatore pare aver puntato in modo particolare.

Piazza dei Signori – Foto Osvaldo Arpaia

Verona, nel corso del 2021, si troverà a ospitare un importante convegno scientifico internazionale, organizzato dal nostro Ateneo in collaborazione con la Scuola Normale di Pisa e diverse università italiane e non, ma anche diverse produzioni teatrali e musicali, che dovrebbero contribuire ad animare la scena culturale cittadina per il prossimo anno. Accanto a questo, due mostre: una, a Castelvecchio, che riproporrà quella del 2000 dedicata alle incisioni di Michael Mazur ispirate all’Inferno, donate dall’artista americano alla città, e l’altra, sulla quale sarebbe interessante conoscere qualche dettaglio in più, allestita presso la Galleria d’Arte Moderna e incentrata sul mito di Verona nella letteratura, fra Dante e Shakespeare. Infine, a fare da contorno, una varietà di iniziative che – elemento positivo – vedranno coinvolte numerose realtà culturali cittadine, uscendo anche dalle strade più battute e consuete: in questo senso desta curiosità e apprezzamento, a dispetto del titolo infelice, DANTE’S BOX Voci e Suoni dalla Divina Commedia, programma radiofonico di 21 puntate che vedrà la collaborazione di Rocket Radio Verona.

Un’offerta variegata volta a soddisfare la “dantemania” che, com’era accaduto nel 1865 – anno dei primi, grandi festeggiamenti danteschi in tutta Italia e dell’erezione del monumento in piazza dei Signori a Verona – nel corso dell’ultimo periodo è cresciuta e si è diffusa fra i veronesi, anche grazie alle iniziative benemerite di chi, come Alessandro Anderloni, ben prima che le istituzioni battessero un colpo si stava già dando da fare per ricordare alla città l’importanza di ricordare, prima ancora che celebrare, l’augusto ospite di Cangrande I della Scala. 

Che Dante si presti ad essere masticato e digerito dalla cultura “pop” è, del resto, cosa nota almeno da quando Roberto Benigni lo ha trasformato in una sorta di format televisivo itinerante, ma negli anni anche esperimenti più “alti” – e da chi scrive più apprezzati – come quelli compiuti dal compianto Vittorio Sermonti hanno dimostrato la capacità del Poeta di coinvolgere e affascinare un largo pubblico, specie se alla ridondante retorica sul “padre della lingua italiana” viene sostituita una riflessione sulla modernità dei temi danteschi. Ben vengano, dunque, iniziative che consentano alla nostra città di approfittare, in maniera non strumentale, della sua importante eredità dantesca. Specie se questo avrà anche il merito di contribuire al rilancio del turismo dopo un annus horribilis come quello appena trascorso.

Ciò che però andrebbe misurato, è l’impatto effettivo di queste celebrazioni sulla vita culturale della città, che mai come in questo momento sente vivissimo il bisogno di uscire da una lunga stagione di torpore, frutto di un intreccio perverso fra l’appiattimento dell’offerta alla dittatura di un turismo poco qualificato e l’autocompiacimento di una élite intellettuale – si perdonerà la definizione fuori moda – più interessata alle proprie asfittiche lagne sulla decadenza della città che a contribuire al suo rilancio, com’è accaduto in passato anche senza andare indietro fino al lontano 1865. E qui, inevitabilmente, si ritorna alla premessa iniziale, poiché se le celebrazioni dantesche saranno o meno un successo, non solo dal punto di vista dell’afflusso di turisti – sul cui ritorno, quando avverrà, sarà difficile misurare l’impatto esercitato da Dante – ma anche sotto il profilo di un rinnovamento culturale, lo scopriremo soltanto a festa finita.

Per ora, possiamo limitarci a fissare alcuni obbiettivi minimi cui Verona dovrebbe puntare alla fine di questo 2021. Uno fra tutti, l’elaborazione di una sorta di consapevolezza, che renda la città cosciente del valore che la presenza dantesca ha avuto nella sua storia e di ciò che ancora oggi essa può e deve costituire. Non si tratta di proclami moraleggianti su un’astratta “responsabilità” di cui la città sarebbe portatrice in virtù del suo stretto rapporto con l’autore della Commedia, ma di una ben più concreta riflessione su come Verona si percepisce e si fa percepire. Perché se per i veronesi Dante è, da un secolo e mezzo, fisicamente presente in città attraverso il monumento di Ugo Zannoni, quanto conosce di questa storia un visitatore che arriva oggi a Verona? Dove incontra Dante sul suo cammino, cosa sa della “Verona dantesca” quando sceglie la metà per la sua gita o la sua vacanza? 

Il fine non dev’essere quello di trasformare Dante in un feticcio kitsch sfruttato esclusivamente a fini promozionali, com’è accaduto alla povera Giulietta, bensì di trovare nel Poeta e nel suo passaggio dalla corte scaligera uno spunto per costruire un pezzo importante di un’immagine più sfaccettata e profonda della città, che non si faccia ammirare passivamente ma che sia, ancora oggi, generatore attivo di nuove iniziative culturali. La stessa operazione che, lo si dice da tempo, andrebbe fatta con l’eredità shakespeariana, con quella architettonica e con molti altri lasciti del passato, che la città al momento ignora del tutto nel costruire la propria proposta culturale, sfoderandoli solo in una arida chiave campanilista. La programmazione dantesca del prossimo anno, insomma, non dovrebbe essere un episodio isolato, ma il momento iniziale di un percorso che integri in maniera strutturale, ogni anno, l’offerta veronese in fatto di mostre, concerti, spettacoli e itinerari nuovi costruiti attorno ai temi danteschi. 

Alla luce di simili auspici, una riflessione finale sugli errori che già ora si ravvisano va fatta, non foss’altro per la speranza che essi possano essere corretti. Il tempismo, innanzitutto: gli anniversari, specie quelli più imponenti e vistosi come questo, si possono programmare con largo anticipo, e per questo arrivare in ritardo e farsi cogliere impreparati è un peccato imperdonabile. Le altre città dantesche – Firenze e Ravenna – si sono mosse per tempo, prevedendo restauri da inaugurare, e non da avviare, nel corso del 2021, e comunicando con grande spolvero le loro iniziative, per creare quel sentimento di attesa che molto giova a questo tipo di manifestazioni: il pubblico, locale e turistico, deve essere curioso, aver voglia di visitare la città e di scoprire cos’è stato organizzato. È vero, sotto questo profilo l’emergenza sanitaria non ha aiutato; ma lo è altrettanto che il tempo per arrivare a una presentazione in grande stile, al posto di una conferenza stampa riservata e con mascherine, c’era e andava utilizzato. La strana estate del 2020, con un festival areniano ridotto al lumicino e maggiore disponibilità di giorni liberi, offriva un’occasione troppo ghiotta per presentare con un evento di ampia risonanza il palinsesto dantesco, ed è un peccato che questa opportunità non sia stata sfruttata.

Un’altro immagine di Piazza dei Signori – Foto di Osvaldo Arpaia

Al tempismo si lega, dunque, la comunicazione: se dell’inaugurazione delle celebrazioni ravennati, alla presenza del Presidente della Repubblica, o della mostra con i prestiti provenienti dagli Uffizi, già si parla, cosa si sa della programmazione veronese? Su quali canali si sta puntando, e soprattutto quali sono le iniziative che si è deciso di valorizzare maggiormente? Che si tratti di un’esposizione d’arte o di uno spettacolo di prosa poco cambia: Verona ha bisogno di far conoscere in modo chiaro ed efficace la sua programmazione per far sì che le celebrazioni ripaghino, economicamente e non, la città dello sforzo fatto. Infine, ma in diretta conseguenza, la coesione territoriale e istituzionale. Ancora una volta, la nostra città deve rassegnarsi a “fare da sé” in campo culturale: la Regione Veneto, il cui simbolo prevediamo sarà onnipresente su manifesti e locandine, si è infatti limitata a un’adesione formale alla promozione delle celebrazioni, decidendo di non affiancare al proprio solenne patrocinio lo stanziamento nemmeno di un centesimo, a differenza di quanto fatto dalla regione Emilia-Romagna, che per Ravenna ha previsto un contributo di un milione di euro. E l’attuale clima politico vigente in città rende di fatto impossibile qualsiasi protesta rispetto alla “distrazione” della giunta retta dal doge-Zaia, che perpetua anche in questo frangente la marginalità di Verona rispetto alla regione.

Limiti, errori e storture su cui occorre riflettere, ma che si spera possano non pregiudicare la buona riuscita delle celebrazioni per i 750 anni dalla morte di Dante. Pur con qualche eccesso d’entusiasmo – che come da tradizione locale rischia di coinvolgere anche la toponomastica – Verona sembra pronta ad assumere finalmente il ruolo di città dantesca, e alla fine dell’anno potremo verificare se la programmazione presentata dal Comune sarà stata all’altezza di queste aspettative. Nel frattempo, prepariamoci a un 2021 nutrito di bellezza, arte e cultura: dopo un anno così, direi che ce lo meritiamo!

Foto di copertina di Sarah Baldo

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