Ci sono figure che riescono a lasciare un’impronta così profonda da trasformarsi in simboli universali. Jane Goodall è una di queste. Non soltanto una scienziata, ma una narratrice della natura, una pioniera capace di cambiare la nostra percezione del mondo animale e dell’essere umano stesso. La sua vita è stata un lungo viaggio dalla curiosità infantile per gli animali fino a diventare una delle voci più ascoltate della conservazione globale. Ripercorriamo la sua storia, arricchita da testimonianze, riflessioni e ricordi di chi l’ha conosciuta, per comprendere davvero la portata della sua missione.

Un’infanzia segnata dall’osservazione

Jane Morris Goodall nacque a Londra nel 1934, in una famiglia di modeste condizioni economiche. Fin da bambina mostrò una curiosità insolita per gli animali. Celebre è l’aneddoto di quando, a soli quattro anni, rimase nascosta per ore in un pollaio per osservare il mistero della deposizione delle uova. Invece di punirla, sua madre la accolse con comprensione, rafforzando la sua inclinazione verso l’osservazione attenta e la pazienza.

Quel gesto materno fu decisivo: senza sostegno, la passione di Jane sarebbe potuta svanire. Quell’episodio divenne una sorta di metafora dell’approccio che avrebbe caratterizzato tutta la sua vita: osservare con pazienza, rispettare i tempi della natura, cercare risposte senza paura della solitudine. Negli anni della giovinezza, mentre molti sognavano carriere tradizionali, Jane coltivava un desiderio insolito: andare in Africa. Le sue risorse economiche non lo permettevano, ma non smise mai di nutrire quella visione. Amava leggere i libri di Tarzan e del Dottor Dolittle, immaginandosi tra gli animali selvaggi.

Il destino e l’incontro con Louis Leakey

Nel 1957, il destino le mise davanti un’occasione irripetibile. Jane incontrò Louis Leakey, il celebre paleoantropologo che cercava assistenti per i suoi studi sui primati. Leakey rimase impressionato non dai titoli – Jane non aveva lauree accademiche – ma dal suo sguardo libero, dalla determinazione e dalla sensibilità verso gli animali. Decise di darle fiducia.

Nel 1960, a 26 anni, Jane partì per la Tanzania con un compito chiaro: osservare gli scimpanzé di Gombe. Non aveva esperienza formale, ma possedeva ciò che nessun titolo può garantire: una passione incrollabile e la capacità di vedere ciò che gli altri ignoravano. Il Parco Nazionale di Gombe, sulle rive del lago Tanganica, divenne la sua casa e il suo laboratorio. Qui iniziò un lavoro di osservazione paziente, che all’inizio la vide isolata, sola con i suoi binocoli. Gli scimpanzé erano diffidenti, ma con il tempo impararono ad accettare la sua presenza.

Fu David Greybeard, lo scimpanzé con la barba grigia, il primo a fidarsi. Grazie a lui, Jane poté documentare momenti di straordinaria intimità nella vita del gruppo. La sua più grande scoperta avvenne nel 1961: osservò gli scimpanzé utilizzare ramoscelli modificati come strumenti per catturare termiti. Fu uno choc per la comunità scientifica: fino ad allora, l’uso di strumenti era considerato prerogativa esclusiva dell’essere umano. Goodall dimostrò che il confine tra uomo e animale era molto più sottile di quanto si fosse creduto.

“Negare le emozioni agli animali è cieco,” ripeteva. “Non è scienza, è paura di ammettere la verità.”

Jane non numerava gli animali, come era consuetudine negli studi etologici: dava loro nomi. Flo, Goliath, Fifi. Li riconosceva come individui, ognuno con una personalità distinta. Questa scelta scatenò critiche: la accusarono di antropomorfismo, di proiettare emozioni umane sugli animali. Ma le sue osservazioni dimostrarono che gli scimpanzé erano davvero capaci di emozioni complesse: affetto, gelosia, cura materna, cooperazione, dolore per la morte. La sua visione anticipava quella che oggi chiamiamo etologia cognitiva. Ma il tempo le diede ragione, la sua capacità di entrare in empatia con i soggetti di studio aprì un varco in una scienza che fino ad allora pretendeva neutralità e distacco.

La solitudine e la forza

Quando nel 1960 mise piede nella foresta di Gombe, in Tanzania, era poco più che una ragazza armata di coraggio, pazienza e curiosità. Nessuno poteva immaginare che quelle giornate trascorse a osservare gli scimpanzé avrebbero scardinato paradigmi secolari, ridefinendo i confini tra uomo e animale.

Foto dal sito internet janegoodall.org

Ma la sua eredità non si ferma lì: Goodall ha dato vita a una rete globale di educazione, conservazione e speranza che continua a crescere, anche dopo la sua scomparsa.
Vivere a Gombe non era semplice, le condizioni erano dure: malattie tropicali, isolamento, difficoltà logistiche. Molti scienziati non prendevano sul serio una giovane donna senza formazione accademica.

Eppure Jane resisteva, con tenacia e grazia. Il sostegno arrivò nel 1965, quando *National Geographic* pubblicò un reportage sul suo lavoro. Le immagini girate dal cameraman Hugo van Lawick mostrarono al mondo la bellezza degli scimpanzé e la passione della ricercatrice. Hugo si innamorò di Jane, e i due si sposarono: un sodalizio professionale e umano che diede vita a documentari di grande impatto, capaci di avvicinare milioni di persone al mondo degli scimpanzé, fu Hugo che attraverso i suoi filmati mostrò una Jane immersa tra gli scimpanzé, capace di comunicare con loro come pochi altri. Ognuna di queste voci contribuisce a delineare un ritratto complesso: non solo la scienziata, ma l’essere umano che ha saputo coniugare scienza e compassione.

Jane e Hugo: amore, immagini e testimonianza

Un capitolo fondamentale della vita di Jane Goodall è legato all’incontro con il cameraman e fotografo Hugo van Lawick. Inviato dal National Geographic per documentare le sue ricerche a Gombe, Hugo non solo rese celebri le osservazioni di Jane attraverso immagini straordinarie, ma divenne anche suo compagno di vita. I due si sposarono nel 1964 e insieme diedero vita a una straordinaria produzione documentaria che aprì al grande pubblico le porte della foresta africana.

I filmati realizzati da Hugo catturavano momenti di intimità tra Jane e gli scimpanzé, mostrando al mondo la profondità del legame che lei aveva stabilito con loro. Queste immagini, trasmesse in tutto il mondo, ebbero un impatto enorme: resero gli scimpanzé non più creature lontane e incomprensibili, ma esseri viventi con emozioni, gesti e relazioni riconoscibili. Il matrimonio tra Jane e Hugo durò fino al 1974. Senza la sensibilità artistica di Hugo, il lavoro di Jane non avrebbe avuto la stessa risonanza internazionale: la loro collaborazione fu la perfetta fusione tra scienza e arte visiva, capace di trasformare l’etologia in una narrazione condivisa da milioni di persone.

Dal campo alla difesa globale

Con il tempo, Jane comprese che osservare non bastava. Gli scimpanzé erano minacciati dal bracconaggio, dalla perdita di habitat e dal commercio illegale. Decise di trasformarsi da scienziata in attivista. Nel 1977 fondò il Jane Goodall Institute, con sedi in tutto il mondo.

L’obiettivo era duplice: sostenere la ricerca e avviare progetti di conservazione e sviluppo sostenibile. Tra questi spiccano TACARE, un programma che integra riforestazione e sostegno alle comunità locali, e il Tchimpounga Chimpanzee Rehabilitation Center, in Congo, dove vengono curati gli scimpanzé orfani. L’idea di Jane era chiara: non si può proteggere la natura senza migliorare la vita delle persone che la abitano.

Roots & Shoots: radici e germogli

Il progetto che Jane amava di più fu Roots & Shoots, fondato nel 1991. Credeva nei giovani più di chiunque altro. Per lei erano le radici di un futuro diverso e i germogli di una nuova coscienza. Roots & Shoots coinvolge oggi giovani in oltre 140 paesi, insegnando loro a sviluppare progetti concreti: piantare alberi, proteggere animali, aiutare comunità vulnerabili. La sua visione era quella di un esercito pacifico di custodi del pianeta, uniti dalla convinzione che ogni gesto può fare la differenza.

Nel 2002, Jane fu nominata Messaggera di Pace dell’ONU. Nei suoi discorsi non usava mai toni duri o apocalittici: parlava con calma, con il sorriso, eppure le sue parole scuotevano le coscienze. Ricordava che la finestra di tempo per salvare il pianeta si stava chiudendo e che la responsabilità non poteva essere delegata solo ai governi. Ognuno di noi può fare la differenza, ripeteva instancabilmente.

Le testimonianze di chi l’ha conosciuta

Molti colleghi e amici hanno raccontato la Jane dietro la scienziata. Richard Wrangham, antropologo, la descrisse come “una donna capace di unire rigore scientifico e dolcezza umana“. Douglas Adams, autore di Guida galattica per gli autostoppisti, la definì una forza della natura”. Greta Thunberg la considerava “un modello di coraggio e coerenza.” Tra le testimonianze vi è quella del musicista Peter Gabriel, che scrisse:

“Immagino che non sia stata una sorpresa che Jane sia morta lavorando, sia morta in servizio. È stata una delle persone più straordinarie che io abbia mai incontrato – così piena di vita, entusiasmo, buon umore e passione per il lavoro di conservazione che ha sostenuto, assolutamente determinata a proteggere il pianeta e tutte le sue specie”.

Queste parole racchiudono il senso della sua eredità: non un lavoro, ma una missione di vita. Gabriel ricorda anche le serate passate insieme, descrivendola come “una donna brillante, generosa e con un tocco di Mary Poppins”. Un ritratto che svela il lato umano dietro l’icona.

L’eredità di Jane Goodall è concreta: milioni di giovani coinvolti nei programmi educativi, migliaia di scimpanzé salvati, centinaia di comunità che hanno adottato pratiche sostenibili. Ma è anche immateriale: un cambiamento culturale globale. Ha insegnato che non siamo padroni della Terra, ma parte di essa. che ogni creatura ha valore intrinseco e che la speranza, se unita all’azione, è la forza più potente di tutte.

Jane Goodall non è stata solo una scienziata, ma una testimone di amore radicale per la vita. Ha mostrato che la conoscenza senza empatia è sterile e che l’attivismo senza speranza è destinato a spegnersi. La sua eredità vive oggi in ogni gesto di chi protegge un albero, salva un animale o educa un bambino al rispetto del pianeta.

Jane resterà per sempre un’ispirazione per il mondo e per chiunque creda che il futuro sia ancora nelle nostre mani.” Peter Gabriel.

Jane Goodall non è più tra noi, ma la sua voce non si è spenta. Ogni progetto attivo del suo Istituto, ogni ragazzo coinvolto in Roots & Shoots, ogni comunità che adotta pratiche sostenibili è una testimonianza viva della sua eredità. Ha insegnato che non siamo padroni della Terra, ma custodi. Che ogni creatura ha dignità. Che il futuro non è predestinato: è nelle nostre mani. Jane Goodall è stata scienziata, attivista, educatrice, visionaria. La sua vita è la prova che il coraggio e la compassione possono cambiare il mondo.

Ci ha insegnato che la conoscenza senza empatia è sterile, e che l’amore senza azione è incompleto. La sua eredità vive nelle foreste, nei volti dei giovani, nei cuori di chiunque abbia compreso che proteggere la Terra significa proteggere noi stessi.

Come scrisse Peter Gabriel, “Jane sarà sempre un’ispirazione per il mondo – e per me.”

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