Con un’epica alle spalle che farebbe invidia a Omero, Superman, dalla nascita sulle pagine di Action Comics nel 1938, fino ai giorni nostri, è forse il mito più vicino a quello che per gli antichi greci erano Achille o Odisseo: un (super) eroe. Volato sul grande schermo in più occasioni, Clark Kent (Kal-El), è stato la gioia di alcuni registi e la rovina di altri. Alla Dc Comics/Entertainment hanno spesso optato per l’Azzurrone quando si trattava di fare un rilancio cinematografico; è il primo della classe: va per primo Clark alla lavagna, poi è il turno dei vari Batman, Wonder Woman, Flash ecc.

Fatto sta che nel 2013, provando a fare concorrenza alla Marvel con la sua stessa formula, la “classe” dei Dc Studios era un disastro e Superman era un ragazzo silenzioso, aggressivo, triste e costantemente avvilito. Questo doveva essere l’esempio da seguire in quel marasma di film che era l’universo cinematografico iniziato con “Man of steel” (2013) e finito con il secondo capitolo di Aquaman due anni fa. Ma con l’arrivo in classe, tra il 2019 e il 2020, di un sostituto, cambia tutto. Ci mette un po’ ad ambientarsi ma va sul sicuro e ripropone la formula (quasi identica!) che aveva attuato nella scuola Marvel, da dove è stato cacciato malamente.

Lo fa dirigendo “The Suicide Squad – Missione suicida” (2021). Porta pazzia, frenesia, divertimento, animali e menefreghismo: è James Gunn. Riconosciuto come un grande innovatore del genere supereroistico, sempre più vicino al collasso, Gunn diventa direttore creativo, co-presidente e co-amministratore dei Dc Studios nel 2022. Può fare quello che vuole e capisce il suo incarico: riprovarci. Riprovare a costruire un universo cinematografico stabile, coerente e duraturo. Gestisce tutti i problemi degli alunni, qualcuno viene promosso (per poco) e qualcuno viene bocciato. Può finalmente dedicarsi a una nuova classe, può iniziare da capo: “Superman! Alla lavagna!”

La trama

Come in “The Batman” (2022) o in “Spider-man: Homecoming” (2017) anche qui la sceneggiatura di James Gunn (d’accordo con lo spettatore) decide di saltare le origini del nostro protagonista per vedere come se la sta cavando nei suoi primi anni da supereroe. In questo caso, non bene: Superman (David Corenswet) ha appena fermato l’invasione del Jarhanpur da parte della Boravia, due stati fittizi, e ne sta affrontando le conseguenze. Lanciato alla fine del primo round, lo spettatore assiste da subito a un combattimento aereo tra il nostro eroe e una misteriosa figura in armatura mandata proprio dal governo della Boravia, nei cieli di Metropolis.

Ripreso dopo il combattimento grazie alla luce del sole, Superman diventa Clark Kent, giornalista del Daily Planet, timido e introverso, da poco coinvolto in una relazione con Lois Lane (Rachel Brosnahan), sua collega. Non essendo un terrestre, Clark non agisce per conto di alcun governo, anzi, in questo caso si prende la responsabilità di intervenire in un conflitto armato e fermare uno storico alleato degli Stati Uniti: la Boravia. Perno attorno al quale ruota il film, questa controversa decisione dell’eroe rossoblù smuove le acque, soprattutto quelle di Lex Luthor (Nicholas Hoult), storica nemesi di Kal-El. Mosso da odio e voglia di potere, Luthor, con le sue Luthor Corp., farà di tutto pur di fermare l’alieno kryptoniano.

Riverniciare una parete grigia

Tanti colori per ricominciare da capo su un grigio lasciato in precedenza. Questo è quello che è riuscito a fare James Gunn, è riuscito a far dimenticare a tutti, per due ore e nove minuti l’altisonante Uomo d’acciaio di Zack Snyder di dodici anni fa (portato avanti per forza di inerzia in altri quattro film). Violento, muscolare, statuario, dark, mono-espressivo, vendicativo e pronto a uccidere, questo era il Superman di Henry Cavill. Gunn torna a un punto di partenza, esce dal pantano in cui era finito l’eroe moderno per antonomasia, capisce che a Superman non devono brillare i muscoli, devono brillare il sorriso e le lacrime che gli scendono sul viso; deve infondere speranza, non risentimento e vendetta. Quindi, dopo la tempesta, arriva il più gentile dei raggi di sole e, come un sole, il Superman di Corenswet brilla.

Lo fa ridendo, abbracciando, baciando, commuovendosi, lamentandosi, riposandosi, infuriandosi, quando salva e soprattutto, quando viene salvato. Il superuomo durante il film viene messo in discussione in più occasioni, perché in molti casi lui da solo non lo fa. La sua ingenuità emerge proprio nel lavoro di tutti i giorni; è Clark Kent a intervistare Superman, e lo fa, ovviamente, dandosi tutte le ragioni del caso. Su questo farà pressione il personaggio di Lois Lane (in una scena di crescente litigio che incalza grazie a un abilissimo botta e risposta tra i due) la quale cercherà di far capire al compagno che il suo è un tipo di giornalismo rischioso e al limite dell’autoreferenziale. Questa ingenuità di fondo del personaggio, però, funziona e ne risalta ancora di più la bontà d’animo. Ed è proprio questo che lo rende, per forza di cose, un “bambinone” con il solo obiettivo di fare del bene. Caratteristica che non farà altro che lasciarlo spazientito davanti a tutti quei cavilli geopolitici simili a delle trappole per topi pronte a scattare.

Ma sono anche i tempi moderni a mettere in discussione il nostro eroe. Gunn opta per un Superman più equilibrato possibile. Un Superman che per salvare i cittadini non distrugge tutta Metropolis pur di sconfiggere il nemico di turno. In questo risplende la grandezza dell’eroe: non cerca la lotta, cerca di salvare quante più persone possibili e, nel farlo, prende più colpi di un pugile all’ultimo round. Lanciato contro un palazzo e poi risbattuto per terra, questa versione di Kal-El è tutto tranne che debole, la sua forza d’animo lo rende quasi realistico e le sue fragilità mettono in risalto incredibilmente i suoi punti di forza. Proprio per questo la scelta di David Corenswet come Superman è azzeccatissima e risulta una divertente sorpresa attoriale. Riesce a portare sullo schermo un uomo con una maschera da super uomo; è un eroe che cerca di nascondere il suo lato infantile coltivato nelle campagne del Kansas ma che in qualche modo viene sempre allo scoperto.

Intorno al più classico, in questo caso funzionante, dei Superman, troviamo invece i comprimari più insoliti. Quando si tratta di combattere un mostro alto come due palazzi arriva in soccorso del kryptoniano la Justice Gang (nome fonte di siparietti comici per tutto il film). Tre membri e l’intero quartier generale della Justice League: Hawkgirl (Isabela Merced), Guy Gardner (Nathan Fillion) e Mr. Terrific (Edi Gathegi). Sembrano metà di una squadra e la versione low-budget della Justice League (volontariamente), ma insieme funzionano. Hawkgirl purtroppo non spicca più di tanto e viene messa in ombra dagli altri due compagni; il Gardner di Nathan Fillion (attore la cui presenza è d’obbligo in tutti i film di Gunn) rappresenta la linea comica e per ridere basterebbe vedere come è conciato, e infine: Mr. Terrific, freddo calcolatore caratterizzato da un’apparente mancanza di emotività, il più funzionale per la sceneggiatura e quello con più minutaggio sullo schermo tra i tre. Nonostante la loro particolarità, il trio non invade troppo la scena e riesce a essere utilizzato come supporto a Superman in maniera efficace. Probabilmente messa nel film per tenersi aperte le porte per vari spin-off, la Justice Gang diverte e non invade più del dovuto.

Il film, quindi, crea una buona serie di personaggi che orbitano intorno a Superman e, cercando di evitare la banalità, la sceneggiatura rivisita anche Lois Lane. Basta con gli occhi dolci per il supereroe; Rachel Brosnahan recita la parte di una donna insicura, quasi spaventata dalla relazione con Clark. Ma ciò non fa di lei un personaggio passivo, anzi, è la prima a muoversi quando il protagonista è in pericolo, ed è lei (insieme alla redazione del Daily Planet) a fare il lavoro della giornalista d’inchiesta.

Ma oltre alle conoscenze di Metropolis, nel film troviamo anche le famiglie del nostro protagonista. Da una parte quella dei Kent, semplice, umile e sempre presente per Clark, dall’altra la scomparsa famiglia di Krypton, suo padre Jor-El (ovvero uno stanchissimo Bradley Cooper che legge delle parole in una lingua appena inventata) e sua madre Lara Lor-Van (Angela Sarafyan). Anche qui il ruolo dei genitori biologici viene sovvertito e qualcosa di inaspettato si cela sotto la famiglia kryptoniana. L’importanza, dunque, viene affidata maggiormente a coloro che hanno cresciuto Superman e che gli hanno insegnato cosa vuol dire essere umano, la coppia Jonathan e Martha Kent. Insieme a Superman troviamo Krypto, un super-cane (in completa CGI, ma con una buona resa) onnipresente, dal quale dipendono le sorti del protagonista in più occasioni. Forse non è Lois a essere invadente, e forse nemmeno Mr. Terrific, è proprio Krypto il personaggio a cui viene affidato troppo peso durante le due ore abbondanti di film.

Per finire con i, forse troppi, personaggi presenti nel film, non si può non parlare del Lex Luthor di Hoult. O forse si può anche evitare. È tutto ciò che ci si può aspettare dal personaggio, aveva bisogno di una rivisitazione e invece rimane il più classico dei cattivi da fumetto. Se Superman necessitava un ritorno alle origini, la sua controparte doveva puntare per uno slancio di originalità. Occasione sprecata. Ora arrabbiato, ora gangster, ora multimilionario insopportabile, Nicholas Hoult è spesso sopra le righe e rimane un mistero di attore, ancora non si capisce come mai appaia in così tanti film e con parti così importanti.

Nonostante la regia di Gunn e certe tematiche, il film rimane intrappolato nella gabbia degli stilemi delle pellicole supereroistiche. Spiegoni, battaglie in computer grafica, universi paralleli e tutto ciò che ci viene dietro. Nemmeno le musiche del duo David Fleming e John Murphy fanno lo sforzo di uscire da quella gabbia, sono una ripresa della colonna sonora di John Williams del classico Superman del 1978. Ma in mezzo a questo mare di eccessiva banalità, tipico del genere, spiccano, a tratti, buoni dialoghi e accenni a tematiche di attualità. Tra queste tematiche, quella che ha fatto più discutere è la decisione di mettere in sceneggiatura la questione della guerra tra Boravia e Jarhanpur, che sembrerebbe ricordare il conflitto israelo-palestinese (forse una sovrainterpretazione dei media, ma gli elementi ci sono tutti) e quello russo-ucraino. Questo doppio parallelismo rappresenta nel film un ottimo espediente per allontanare Superman dalla bandiera americana. Regia e sceneggiatura riescono quindi a portare sullo schermo un interessante spunto di riflessione sulla situazione attuale nel mondo.

Consapevole di essere un film di supereroi, il Superman di James Gunn fa un ottimo lavoro in quel senso, diverte e intrattiene per la sua durata. Nato come fonte d’intrattenimento, forse è giusto che il supereroe per antonomasia si limiti a questo e non osi troppo.

(C) RIPRODUZIONE RISERVATA