I crimini contro l’umanità sono comportamenti che nessuno può tenere: né uno Stato, né un esercito, né qualsiasi gruppo organizzato o persona. Nemmeno in guerra. Nemmeno se ci si sta difendendo da un’aggressione o da torti lungamente subiti.

Il diritto internazionale, infatti, ha certamente qualcosa da dire sulla legittimità o meno di una guerra: volendo sintetizzare, una guerra è considerata “legittima” se è difensiva, e a condizione che la difesa sia proporzionata rispetto all’attacco ricevuto. Vi è tuttavia una parte del diritto internazionale che disciplina tutto quello che non si può fare contro un nemico, nemmeno in guerra e nemmeno quando la guerra è difensiva e perciò (secondo il diritto internazionale) legittima. Queste regole, molto semplici e dirette, prescindono dalle ragioni o dai torti. Si applicano quindi a tutte le parti di un conflitto.

Alcuni esempi

Colpire scuole, ospedali, sedi di organismi internazionali in modo indiscriminato, bombardandoli dall’alto, è un crimine contro l’umanità, anche quando si sospetta che qualche militare nemico possa nascondersi all’interno della struttura (lo fa Israele da ottobre 2023).

Dare la caccia a centinaia di civili casa per casa in un pogrom – uccidendoli, sequestrandoli o addirittura usando la violenza sessuale come arma di guerra – è un crimine contro l’umanità (lo ha fatto Hamas durante l’attacco avviato il 7 ottobre 2023).

Usare mine antiuomo è – come da tempo dichiarato anche dal Presidente Mattarella – un crimine contro l’umanità (lo fa la Russia dall’inizio della guerra e ora sembra si prepari a farlo anche l’Ucraina).

Non ci sono torti subiti che possano giustificare un crimine contro l’umanità. Il 7 ottobre non giustifica i crimini di Israele. I torti subiti dai palestinesi prima del 7 ottobre non giustificano il 7 ottobre. Nessun attacco subito da uno Stato o da un gruppo giustifica crimini contro l’umanità.

Se noi non comprendiamo questo, se la nostra condanna dei crimini contro l’umanità non si eleva sopra le nostre appartenenze, amicizie o inimicizie, stiamo distruggendo il diritto internazionale, che è una protezione imperfetta contro questi crimini, ma è anche quasi la sola che abbiamo.

Cosa fare?

Resta da chiedersi di cosa il mondo abbia bisogno per contrastare la commissione di questi crimini. In primo luogo, certamente, servono le Corti internazionali, che hanno tra i propri compiti quello di individuare questi crimini, sanzionando, a seconda dei casi, gli Stati, i gruppi o le persone fisiche individuati come responsabili.

Ma questo non basta, fra l’altro perché la giustizia internazionale è un sistema largamente imperfetto: le procedure sono complesse, non tutti gli Stati hanno firmato le varie Convenzioni e l’attuazione delle decisioni raggiunte dalle Corti è molto difficoltosa, quando non impossibile. 

Oltre alle Corti, serve quindi, ovunque nel mondo, l’emergere di leader moderati, consapevoli che, anche di fronte a conflitti violenti e difficili, la via per ridurre la violenza passa necessariamente attraverso il compromesso e la trattativa. È certamente difficile negoziare e raggiungere compromessi con un nemico, ma è anche vero che solo con un nemico è possibile trovare un accordo. Come è accaduto alcuni decenni fa, per esempio, in Irlanda del Nord, terra che era stata devastata per molti anni da una guerra civile sanguinosa.

Persino in un conflitto estremo come quello attuale in Medio Oriente, leader o intellettuali moderati esistono, da entrambe le parti. Spetta a tutti noi riconoscerli, e sostenerli, e dar loro voce.

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