La manovra economico-finanziaria per il 2026, presentata dal Governo, ammonta a soli 18,7 miliardi di euro: la più contenuta di sempre. È la crescita del PIL che consente, anno dopo anno, di attingere a maggiori risorse, ma la crescita prevista è di pochi decimali. La spesa pubblica potrebbe stimolare l’economia, tuttavia il debito pubblico italiano, già elevato, è vincolato dalle norme europee.

Tante misure positive ma di scarso impatto

La manovra manca di interventi incisivi, limitandosi a finanziamenti modesti e riallocazioni di risorse. La discussione in Parlamento non la stravolgerà di certo; al massimo aggiungerà, agli attuali 154 articoli, qualche emendamento e numerose micro-concessioni.

Tra le principali misure ricordiamo: un incremento di 2,5 miliardi per la Sanità, la riduzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% per redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro, la detassazione degli aumenti salariali (fino a redditi di 28.000 euro) e dei premi di produttività, l’esclusione della prima casa dal calcolo ISEE (con limite di rendita), l’aumento del bonus per mamme lavoratrici da 40 a 60 euro, agevolazioni per nuove assunzioni, il parziale blocco dell’aumento dell’età pensionabile, l’abolizione di Quota 103 e Opzione Donna, un incremento di 20 euro mensili per le pensioni minime, oltre a finanziamenti, crediti d’imposta e iperammortamenti per le imprese.

La manovra prevede anche la rottamazione delle cartelle esattoriali fino al 2023, pagabili in 108 rate uguali in nove anni, senza sanzioni ma con interessi.

Il sistema bancario contribuisce ma senza gli extraprofitti

Le coperture? Principalmente da banche e assicurazioni, non da tassazione dei cosiddetti extraprofitti, ma da contributi conseguenti alla liberazione di accantonamenti degli anni precedenti, oltre a un aumento dell’Irap. C’è poi la cedolare secca sugli affitti brevi che dovrebbe salire dal 21% al 26%.

Una manovra di rigore sui conti pubblici

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni definisce la manovra prudente, volta a garantire l’equilibrio dei conti. L’obiettivo è la “credibilità” internazionale, in linea con le aspettative della finanza globale. Le agenzie di rating, che di recente hanno promosso l’Italia, apprezzano. Persino Mario Monti ed Elsa Fornero ne lodano il rigore. «Benvenuti nell’austerity» è stato uno dei commenti di Monti a questa manovra, ma in realtà la vera austerità è stata quella del suo governo nel 2011/2012 quando aumenti della tassazione e tagli agli investimenti pubblici avevano portato l’Italia in recessione. Oggi l’Italia, grazie a una bilancia commerciale positiva e a un attivo del patrimonio netto, vanta condizioni migliori, nonostante il debito elevato.

Il rigore di oggi per maggiori spese militari domani

La manovra non è di austerità, ma avrebbe potuto essere più espansiva. In realtà, Meloni punta a ridurre rapidamente il deficit sotto il 3% per uscire dalla procedura d’infrazione europea. Questo migliorerebbe la reputazione economica e sbloccherebbe i fondi europei per la difesa. Per finanziare i maggiori impegni di spesa per la Difesa, assunti dal nostro Paese nei confronti della NATO e della UE, il Governo intende infatti accedere ai fondi europei SAFE, che garantiscono prestiti agevolati a lungo termine.

Inoltre, uscendo dalla procedura di infrazione, sarà possibile attivare l’escape clause”, che consentirà di superare il limite del 3% di deficit per far fronte alle maggiori spese per la difesa, senza incorrere in penalità. È avvilente constatare che sia concesso dall’UE superare il deficit del 3% per spese militari, ma non invece per spese sociali, sanità e welfare.

Questa manovra, in definitiva, trascura le fasce più povere e prevede poco anche per il ceto medio. Abbraccia un rigore liberista che piace ai mercati. Sembra costruita per compiacere la finanza internazionale e ottenere fondi per la difesa, più che per rispondere ai bisogni sociali del Paese.

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