Il mondo capovolto di Sabina
Da due mesi la veronese Sabina Mazzi è bloccata in Australia. Tra destino, paura e spirito d’iniziativa racconta la sua storia in cui il capitolo finale è ancora da scrivere.
Da due mesi la veronese Sabina Mazzi è bloccata in Australia. Tra destino, paura e spirito d’iniziativa racconta la sua storia in cui il capitolo finale è ancora da scrivere.
Solo a nominare la parola Australia, di solito la mente s’illumina. Ancor più quella di Sabina Mazzi, imprenditrice veronese del settore turismo. Alla “Terra di Oz”, come la soprannominano gli inglesi, lei è legata a filo multiplo, tra professione, affetti e storia personale. Da due mesi esatti si trova lì senza poter rientrare a casa, costretta a causa delle restrizioni legate al Coronavirus. Il suo viaggio avrebbe dovuto essere una sorta di toccata-e-fuga. Invece, per molti versi letteralmente, le si è capovolto il mondo addosso.
«Sono partita per Sydney il 28 febbraio scorso», racconta la Mazzi, originaria di Peschiera del Garda, «approfittando per tempo di un’ottima tariffa aerea. L’obiettivo era andare a trovare mio figlio Vittorio. Lavora in un ristorante italiano. È qui da gennaio e sta facendo un’esperienza di vita e lavoro con un working holiday visa. In teoria sarebbe stata una veloce scappata: il mio biglietto di ritorno era per il 13 marzo. E invece…». Come migliaia gli italiani in viaggio, è stata travolta dagli eventi. «La prima parte del soggiorno è stata bellissima. Poi ho raggiunto il Queensland, lo stato australiano a cui sono più affezionata. Ci sono stata tante volte ma soprattutto ne sono legata per il nome: è quello che ho scelto per la mia agenzia di viaggi quando l’ho aperta vent’anni fa». Anche dall’altra parte del globo sembra valere la frase pronunciata da Seneca duemila anni fa: “Il fato conduce colui che vuole lasciarsi guidare”. Così è stato: il destino ha spinto e bloccato Sabina proprio lì, nel luogo tanto amato.
«Il 3 marzo è il giorno del mio compleanno. Quest’anno l’idea era trascorrerlo a Byron Bay con Paola, una cara amica e collega. Dall’Italia però arrivavano notizie sempre meno rassicuranti». Altro che festa: in poche ore la permanenza si è trasformata in un incubo. «Una situazione destabilizzante, ancor di più per chi come me è impegnato nel mondo del turismo. Con il fuso orario invertito ho passato intere notti insonni al telefono con clienti e collaboratrici dell’ufficio a Peschiera. Sembrava fosse scoppiata una guerra: l’emergenza dei rimpatri, le cancellazioni, le comprensibili ma anche incomprensibili richieste dei passeggeri. Il tutto nel panico generale, con la poca chiarezza delle disposizioni. Stanca, preoccupata e impaurita sono stata sveglia per giorni interi a lavorare». Il tutto mentre le compagnie aeree iniziavano a interrompere i collegamenti. «Il mio volo di ritorno è stato subito cancellato. Nel frattempo sono rientrata a Sydney e ho affittato un piccolo appartamento per poter almeno stare vicino a mio figlio». Sembrava una questione di giorni, invece «anche l’Australia ha dichiarato lo stato d’emergenza. Chiusi i ristoranti, Vittorio è rimasto senza lavoro. Una situazione incredibile, trascorsa incollati a tv e telefono per seguire gli aggiornamenti e chiamare Camilla, mia figlia, e i nostro cari a casa, in attesa di un volo di ritorno che nel frattempo ho riprenotato altre quattro volte ma deve ancora partire».
L’emblema del Nuovo Galles del Sud, lo stato di cui Sydney è la capitale, è la waratah. È un fiore dai petali di colore rosso vivo che, tra le proprietà più note, si dice sia infondi coraggio per reagire ai momenti di crisi e in situazioni critiche in cui ci si sente intrappolato. Ascoltandone il racconto, che sia andata così anche per Sabina è un’ipotesi plausibile. «Poche ore prima della chiusura delle frontiere da parte del governo locale, in pratica un mese fa, ho preso la più rapida decisione importante della mia vita. Con Vittorio e il suo amico Andrea siamo partiti per Adelaide dove vive Peter, la guida turistica che avevo conosciuto in un viaggio avvenuto due anni fa. Avevamo il cuore in gola: in poche ore abbiamo impacchettato tutto e siamo scappati da Sydney.» Qui cambia tono del racconto: si intuisce che la decisione sia stata la migliore tra quelle praticabili. «Ci siamo sentiti al sicuro fin da subito. Il South Australia è grande tre volte l’Italia e conta poco meno di due milioni di abitanti. Qui sono stati riscontrati pochissimi casi di Covid e da giorni non se ne verificano. In più, l’educazione e il rispetto delle regole ha fatto sì che il lockdown sia stato applicato in maniera libera a patto di mantenere il distanziamento sociale.»
E ora che si fa? «Siamo aggiornati costantemente dal Console italiano ad Adelaide. Devo fargli i complimenti: è efficiente, presente ed empatico. Nel frattempo i ragazzi hanno trovato lavoro a Waikerie, nella provincia del Riverland, terra di coltivazioni dì frutteti a circa duecento chilometri da Semaphore dove mi trovo tutt’oggi. Cosa farò quando si potrà tornare in Italia? Me lo chiedo tutti i giorni. Guardo l’oceano e mi sento tranquilla, penso a Vittorio che è qui e lavora e sono speranzosa. Guardo mia figlia che è a casa e sono assalita dalla tristezza, ascolto le notizie che arrivano da Verona, dal mio Paese e vado nel panico. Ho fatto del turismo la mia vita ma ora non so se e quando potrò tornare a vivere guadagnando dal mio lavoro a casa. Oggi non so darmi una risposta.» Anche il destino a volte sembra finire sottosopra. O piuttosto Downunder, come in questo caso.