Sotto i nostri piedi: la guerra silenziosa delle materie prime
Dal litio al grano, dall’uranio alle terre rare: la nuova geopolitica si decide in miniera e nei campi. Una partita che arricchisce pochi e lascia interi continenti al buio.

Dal litio al grano, dall’uranio alle terre rare: la nuova geopolitica si decide in miniera e nei campi. Una partita che arricchisce pochi e lascia interi continenti al buio.
Il mondo di oggi non si muove più soltanto per ideali o per le bandiere che sventolano, ma principalmente per ciò che si estrae e si ottiene dal terreno. Ogni singolo telefono acceso, ogni lampione che illumina le nostre strade, ogni auto elettrica che percorre le strade è il risultato di una lunga catena produttiva che ha origine in una miniera, in un pozzo o in un vasto campo agricolo. Non esiste alcuno sviluppo digitale senza solide basi materiali: senza il litio non si possono costruire batterie, senza l’uranio non possono funzionare le centrali nucleari, senza il grano manca il pane che quotidianamente portiamo sulle nostre tavole.
La vera politica internazionale si gioca scavando, pompando e raccogliendo risorse naturali. Dietro ogni tonnellata di minerale o di cereale si nasconde un complesso equilibrio di potere, un gioco strategico che raramente finisce sulle prime pagine dei giornali o sulle luci della ribalta mediatica.
Il nostro pianeta dipende da un vasto insieme di oltre cento materie prime fondamentali per il suo funzionamento, ma tra queste, venti risorse specifiche si rivelano particolarmente cruciali e decisive per il futuro. Tra queste risorse chiave troviamo il litio, il rame, il ferro, l’oro, il petrolio e il gas naturale, oltre a materiali essenziali come le terre rare, il coltan, il nichel, il manganese, l’uranio, l’acqua dolce e il fosfato. Non mancano poi la grafite e importanti cereali come il grano, il mais e la soia, senza dimenticare elementi vitali come il silicio e l’idrogeno verde.
Questi materiali costituiscono la base imprescindibile per settori strategici quali l’energia, i trasporti, la difesa e l’alimentazione della popolazione globale. Chi detiene il controllo su queste risorse fondamentali, in effetti, detiene anche un potere enorme e la capacità di influenzare profondamente il corso del secolo attuale. La lista dei paesi che dominano l’estrazione e la gestione di queste materie prime è relativamente ridotta e include potenze globali come la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, il Brasile, l’Australia, il Canada, l’India, il Sudafrica, il Venezuela e l’Arabia Saudita.
L’Africa detiene circa un terzo delle riserve mondiali di minerali strategici fondamentali per l’economia globale, eppure ben il 75% del valore generato da queste risorse preziose sfugge al continente e finisce nelle mani di altri. Prendiamo ad esempio il Niger, che fornisce l’uranio necessario per alimentare le centrali elettriche di molte città europee, mentre la sua stessa popolazione locale continua a subire frequenti blackout e carenze di energia. La Repubblica Democratica del Congo è un fornitore chiave di cobalto e coltan, elementi essenziali per la produzione di dispositivi elettronici di ultima generazione, ma quasi tutta la raffinazione di queste materie prime avviene in Cina, lontano dalla terra di origine. Il Botswana è famoso per la produzione di diamanti destinati al mercato mondiale, e l’Angola esporta petrolio per miliardi di dollari ogni anno, eppure la ricchezza reale generata da queste risorse rimane largamente assente nelle comunità locali.
In America Latina si ripropone una situazione analoga: il Cile esporta enormi quantità di rame e litio, l’Argentina è leader nell’esportazione di litio e cereali, il Brasile produce ferro, soia e niobio in grandi volumi, mentre il Perù è un importante esportatore di oro e argento. Nonostante la produzione sia massiccia e di grande impatto economico, il controllo dei prezzi e delle filiere produttive resta saldamente nelle mani di attori esterni, lasciando i paesi produttori con un ruolo subordinato e una ricchezza che fatica a tradursi in sviluppo locale duraturo.
La Cina non detiene il monopolio assoluto delle miniere, ma domina in modo significativo tutte le fasi successive: è leader nella raffinazione del litio, nella lavorazione del rame e nella produzione di circa l’80% dei magneti utilizzati per le auto elettriche e le turbine eoliche. Gli Stati Uniti, pur non essendo un grande produttore diretto di materie prime, influenzano profondamente i mercati globali, stabilendo i prezzi da New York e Chicago, dove si determinano i valori di materie prime fondamentali come grano, petrolio, oro e gas.
La Russia, grazie alle sue immense e ricchissime riserve di gas naturale, petrolio e grano, impiega queste risorse energetiche e alimentari come potenti strumenti di pressione e influenza nel contesto geopolitico internazionale.
Molte risorse naturali importanti presentano un conto alla rovescia preoccupante: ad esempio, il litio potrebbe esaurirsi completamente entro i prossimi trent’anni, il rame di alta qualità si stima finirà in circa quaranta anni, mentre l’oro potrebbe sparire in meno di venti anni. L’acqua dolce, una risorsa già utilizzata per il 70% a livello globale, rischia di diventare il vero e proprio campo di battaglia ambientale e sociale del futuro prossimo.
Nel frattempo, nei territori dove queste risorse vengono estratte, le comunità locali iniziano a chiedere un ruolo più attivo e una maggiore voce in capitolo: in Argentina, ad esempio, le popolazioni indigene stanno protestando con forza contro l’espansione incontrollata delle miniere di litio; in Cile, i lavoratori del settore del rame reclamano investimenti diretti e benefici concreti per le loro comunità; mentre in Congo persiste una drammatica situazione di sfruttamento minorile legata all’estrazione di materie prime fondamentali.
La partita delle materie prime non è semplicemente una questione tecnica o di natura economica, ma rappresenta soprattutto una sfida strettamente politica e strategica. Per affrontarla efficacemente, è necessario un cambio radicale e profondo: occorre puntare con decisione alla sovranità industriale, promuovere la trasformazione e la lavorazione delle materie prime direttamente nei luoghi di estrazione, costruire solide alleanze regionali tra i paesi coinvolti e perseguire con determinazione la giustizia ambientale.
Questo perché, finché il valore reale delle risorse rimarrà concentrato nelle mani di pochi soggetti lontani dai territori di provenienza, intere nazioni continueranno a essere ricche solo nelle carte geologiche e nei sondaggi, mentre nella vita quotidiana e nel benessere della popolazione rimarranno invece povere e marginalizzate.
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