Mai come in questo periodo l’Europa è apparsa debole e inconsistente. Da continente economicamente prospero, simbolo di politiche sociali avanzate, culla di cultura, tolleranza, diritti umani e accoglienza, ha rivelato improvvisamente la sua decadenza. Tutta colpa di Donald Trump? In parte sì, ma il presidente americano ha semplicemente strappato il velo di ipocrisia che da tempo mascherava le fragilità europee.

Già ai tempi di ,Clinton Bush e Obama, il vassallaggio dell’Europa alla potenza statunitense era evidente nella sostanza, sebbene celato da una diplomazia più formale.

Un’Europa inconsistente e umiliata

E che dire della guerra in Ucraina? L’UE si limita a toni bellicosi, senza mai avanzare proposte concrete di pace. La sua responsabilità più grave, tuttavia, è non essere riuscita a prevenire il conflitto, trovando soluzioni accettabili per entrambe le parti sui problemi di confine e sul posizionamento strategico dell’Ucraina.

L’assenza di autorevolezza internazionale dell’UE deriva dalla sua natura: non uno Stato, ma una struttura burocratica ibrida e incompiuta. L’Unione Europea non ha una politica estera unitaria, bensì 27 politiche estere, così come 27 approcci economici e 27 lingue diverse. La soluzione potrebbe essere accelerare verso una federazione, gli Stati Uniti d’Europa? Un progetto ambizioso, ma non realizzabile a breve termine.

L’unità italiana, formalizzata nel 1861 (quando ancora mancava il Triveneto), presenta ancora molte criticità se pensiamo che, fino a pochi anni fa, il principale partito del Nord Italia parlava apertamente di secessione. Se dopo oltre 150 anni l’Italia fatica a riconoscersi unita, costruire un’Europa coesa da Lampedusa alla Lapponia appare un’impresa ancora più ardua.

La zona euro non è un’area valutaria ottimale

L’errore strategico più grave è stato iniziare l’unità europea dall’unificazione monetaria. Trovare prodotti prezzati in euro a Parigi, Berlino o Roma può compiacere il turista, ma non significa affatto unità europea. Se l’introduzione dell’euro è stato un progetto relativamente semplice, le sue ricadute economiche sono state, e sono ancora, ben più complesse. È problematico, per economie diverse, condividere la stessa moneta, se non appartengono a un’“area valutaria ottimale”. L’Europa non lo era, e non lo è tuttora: fin dall’inizio, ciò ha amplificato gli squilibri economici tra i Paesi membri, esplosi con la crisi finanziaria internazionale del 2008.

La moneta unica, impedendo i riallineamenti valutari, ha scaricato sul costo del lavoro il compito di riequilibrare i disavanzi commerciali. Per molti Paesi, tra cui l’Italia, ciò si è tradotto in una dura austerità con riduzione della spesa pubblica, degli investimenti e dei salari. Quando i media riportano che in Italia i salari reali sono diminuiti negli ultimi trent’anni, raramente ricordano che questo è stato il prezzo da pagare per l’euro.

Dal mercantilismo alla guerra dei dazi

L’euro ha messo gli Stati europei in competizione tra loro, in una corsa al ribasso del costo del lavoro e a un parallelo aumento delle esportazioni. Se in passato solo la Germania perseguiva una politica mercantilistica, oggi l’intera Europa è diventata una grande esportatrice netta di beni, soprattutto verso gli Stati Uniti. Questo squilibrio commerciale è alla base della recente guerra dei dazi.

L’austerità, inoltre, ha alimentato la crescita di partiti e movimenti sovranisti, nazionalisti e, in alcuni casi, con richiami nazifascisti. In queste condizioni, costruire un’Europa unita appare un’impresa quasi impossibile.

Oggi l’Europa ha l’euro (adottato da 20 Paesi su 27), ma ha perso l’autorevolezza morale che la rendeva, distinta dagli Stati Uniti, un faro di cultura e democrazia nel mondo. Appiattita sulle posizioni americane, appare sempre meno credibile, frammentata e inconsistente. L’unità monetaria, lungi dall’unirla, l’ha resa politicamente più fragile e divisa.

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