Enzo Rapisarda calca le scene teatrali italiane con la sua Nuova Compagnia Teatrale che quest’anno taglia il traguardo di 35 anni di attività in Italia e all’estero, dando nuova linfa al repertorio pirandelliano e classico. Ma oggi è un’altra la sua urgenza: quella di raccontare le storie dimenticate di chi ha difeso lo Stato nella solitudine del dovere.

Il 18 luglio alla Gran Guardia di Verona e il 19 al Teatro Mario del Monaco di Treviso, Rapisarda dirige  “Gli Invisibili – La solitudine dei Giusti”, un atto unico che rende omaggio agli agenti delle scorte caduti nelle stragi mafiose del 1992. Lo spettacolo interpretato da Rita Vivaldi, Anna Rapisarda e Mario Cuccaro accanto allo stesso Rapisarda, ha debuttato nel 2022 per il trentennale e da allora non ha mai smesso di girare. È una narrazione asciutta, profonda, dolorosa ma necessaria.

Maestro Rapisarda, dopo trent’anni di teatro pirandelliano e una vita sul palcoscenico tra Ibsen, Eduardo De Filippo e Wilde, oggi porta in scena uno spettacolo civile. Come nasce “Gli Invisibili”?

«Tutto è cominciato nel 2022, quando l’allora prefetto di Verona, Donato Cafagna, ci ha chiesto di pensare a qualcosa di forte per il trentennale delle stragi. Volevamo evitare la spettacolarizzazione del dolore e la retorica, che è un rischio enorme. Così abbiamo guardato alle scorte: ragazzi spesso dimenticati, anche dopo la morte. Lo conferma la testimonianza di Angelo Corbo, sopravvissuto a Capaci: rimase in ospedale una settimana senza che nessuno lo andasse a trovare. Non c’era considerazione per questi giovani. Con “Gli Invisibili” abbiamo voluto restituire loro dignità.»

È vero che i testi sono stati tutti condivisi con familiari delle vittime o protagonisti ancora in vita?

«Sì. È stato per noi un passaggio fondamentale. Il monologo su Antonio Montinaro è stato scritto da Giampaolo Trevisi e approvato da Tina Montinaro. Quello su Emanuela Loi dalla sorella Claudia. Per gli altri abbiamo cercato contatti diretti o chi li aveva conosciuti. Non raccontiamo solo chi è morto, ma anche cosa ha vissuto la famiglia. Perché quando uccidi una persona, uccidi anche la sua famiglia.»

Perché questo titolo: “Gli Invisibili. La solitudine dei Giusti”?

«Perché queste persone hanno vissuto all’ombra. Hanno protetto giudici, magistrati, uomini dello Stato senza mai cercare la luce. Eppure, hanno scelto consapevolmente un destino che poteva portarli alla morte. Non si sono mai sentiti eroi, ma avevano un senso profondo del dovere. Io credo che avessero la saggezza dei Giusti: “Rispetto così tanto la vita che, se devo morire, voglio farlo per qualcosa che ne valga la pena”. E loro sono morti per il bene pubblico.»

Avete portato lo spettacolo in tante scuole. Che riscontri avete avuto dai più giovani?

«All’inizio i ragazzi sono disorientati perché lo spettacolo è di forte impatto emotivo fin dalle prime scene. Poi ascoltano, riflettono, iniziano a fare domande. Scoprono, ad esempio, che Verona è la provincia con più confische mafiose del Veneto. Questo li colpisce.

E capiscono che la mafia non è più solo un problema del Sud. Seminare la legalità significa far crescere coscienze, creare anticorpi. Noi cerchiamo di essere agenti di scorta morali per questi ragazzi. Di proteggerli con la cultura.»

La sua origine siciliana ha avuto un ruolo in questo impegno civile?

«Certo che sì. È doloroso vedere la propria terra infangata, ferita e maltrattata dalla criminalità organizzata e dall’atteggiamento mafioso. Tanti siciliani onesti della mia generazione, che come me si sono trasferiti al nord, hanno dovuto combattere contro lo stigma della malavita e non è giusto. L’impegno civile per noi meridionali è anche un riscatto sociale. Personalmente poi, ho sviluppato un carattere agli antipodi dell’omertà: non riesco a starmi zitto, quando vedo qualcosa che non mi va giù, lo dico senza pensare troppo alle conseguenze. In sostanza ci sono due tipi di meridionali: quelli che si voltano dall’altra parte e quelli che non riescono a farlo. Io faccio parte della seconda categoria. Le ingiustizie non le tollero.»

Cosa resta al pubblico dopo aver visto lo spettacolo?

«Un pensiero: questi uomini e queste donne hanno scelto il bene comune. E oggi serve più che mai ricordarlo. Come diceva Borsellino, “se la gioventù le negherà il consenso, anche lonnipotente e misteriosa mafia svanirà come in un incubo”. Ecco, noi con questo spettacolo vogliamo aiutare i giovani a negare quel consenso. A coltivare la giustizia, anche nel buio.» Gli eventi del 18 e 19 luglio sono ad ingresso libero per tutta la cittadinanza di Verona e Treviso.»

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