La vigilia della riapertura dei teatri, che inizierà domani 15 giugno, resta nebulosa. Molte le incognite per un settore che sta patendo conseguenze pesantissime dal lockdown e che ha ricevuto un’attenzione marginale da parte del governo e degli enti locali. Però c’è la voglia di rialzarsi, di ripensare le modalità per portare cultura al pubblico, nel rispetto delle disposizioni previste dal Dpcm.

L’attesa per Enzo Rapisarda, protagonista di “Succede alle 31” di venerdì 12 giugno, è fatta comunque di date già confermate e di un cartellone che si sta arricchendo di nuovi appuntamenti per i mesi di luglio e agosto (per verificare le date, basta andare sul sito della compagnia e sul suo gruppo Facebook, nda). Quest’anno la sua Nuova Compagnia Teatrale compie trent’anni: un anniversario assolutamente impossibile da immaginare per una realtà che ha all’attivo oltre 60 spettacoli allestiti nei maggiori teatri italiani, nei quali ha proposto lavori di differenti registri di autori quali Luigi PirandelloEdoardo De FilippoEduardo Scarpetta, Vincenzo Salemme, Anton Checov, Oscar Wilde, Arthur Conan Doyle, Henrik Ibsen.

Il dialogo in diretta, intitolato “Cittadinanza senza cultura”, ha cercato di fare luce su quanto le difficoltà degli artisti siano figlie anche di una gestione poco accorta. Verona fa i conti con una ripartenza non indolore: i limiti imposti dalle misure di sicurezza nella fase 3 prevedono che negli spazi chiusi non si possano superare i 200 posti, mentre gli spettacoli all’aperto non devono superare le 1000 persone. Sembra possibile una deroga a queste cifre, specie per gli eventi all’aperto, disciplinata dalle singole regioni, però è prevedibile che non sarà possibile riportare l’affluenza ai numeri pre-Covid19, con l’Arena che normalmente può accogliere anche 20mila persone e il Teatro Romano fino a 1700, con un chiaro impatto sulla sostenibilità economica degli spettacoli.

Lunedì tra l’altro la città ripartirà, insieme a Padova, Treviso, Venezia, con un evento nel chiostro di Santa Eufemia e i giovani della Scuola teatrale di eccellenza e i cori di Alive. Il Teatro Stabile del Veneto ha però sottoscritto un accordo con Arteven (il circuito teatrale regionale veneto) per costituire un’unica piattaforma commerciale perché il rischio che il settore muoia è alto. L’estate teatrale veronese e il 71simo Festival shakespeariano avranno così tre produzioni e co-produzioni: Romeo e Giulietta, in una riscrittura a cura di Babilonia Teatri con Ugo Pagliai e Paola Gassman, lo spettacolo Stand Up Shakespeare con Paolo Rossi, e Poetry Death Match con i venti giovani attori diplomati della Scuola Teatrale d’Eccellenza diretti da Giorgio Sangati.

Rapisarda, come si risvegliano le compagnie teatrali veronesi da questa attesa?

«La cultura a Verona è in crisi da 3 anni, non c’è un piano cultura che coinvolga le realtà culturali della città per cercare di prevenire ciò che potrebbe diventare un disastro. Con l’apertura della stagione estiva si riuscirà a fare delle repliche, ma il vero disastro avverrà solo se i 200 posti al chiuso saranno mantenuti per quella invernale. Significherebbe che nessun teatro al chiuso aprirà e tutte le stagioni salteranno, per i costi enormi rispetto a incassi. I teatri non vivono di contributi a fondo perduto ma di incassi.

A livello locale, il mio pensiero è che Verona sia assente dal punto di vista culturale, già prima della pandemia erano scappate via le grandi mostre, la lirica è abbandonata, si fanno le stesse cose e manca un respiro internazionale. E non è per cattiveria dell’amministrazione attuale, piuttosto per incompetenza. La tradizionale rassegna “Teatro nei cortili” ha  concentrato le compagnie in Arsenale anziché aprire nuovi spazi, che sarebbe stata la conseguenza logica. Quindi ci sarà la riduzione del numero delle repliche e compagnie storiche come quella dei Totola ha diritto a solo 4 repliche. Si dovrebbe invece decentrare, come in cortile Vivaldi, cortile del Palazzetto delle Sport, Corte Molon, e tante altre realtà che conosco, offrirebbero respiro di cultura e spettacolo dal vivo in rispetto Dpcm.

Manca però la visione e la voglia di dare subito spazio agli artisti veronesi, perché no? Si potevano aprire i plateatici di ristoranti e locali con un programma fatto di lirica, musica, teatro. Immaginiamo che bellezza diffusa negli angoli più suggestivi, animati da artisti che si esibiscono, e potenziare così la possibile affluenza di turismo locale e nazionale, in attesa di quello estero. Ho visto invece solo un programma dell’Arena, come se Verona avesse solo questo e ci saranno pochi altri eventi in agosto.»

Che visione del ruolo della cultura emerge da questo lockdown? È sempre la solita questione che la pone nel ruolo di Cenerentola?

«All’inizio della pandemia ero convinto che il dopo avrebbe generato una società migliore. Invece ho cambiato idea. È chiaro oggi che si deve investire in cultura, lo Stato centrale dovrebbe attuare una rivoluzione che richiederebbe poco tempo, creando delle forme di investimento a sostegno del settore cultura, prevedere la detrazione dalla dichiarazione dei rediti delle spese fatte in libri, cinema, mostre. Verona potrebbe diventare capofila di una rivoluzione, è una città ambasciatrice di cultura italiana nel mondo. E oggi si potrebbero far vivere artisticamente i ponti, i lungadige, ma anche l’Arena, il Teatro Romano aprendoli alle realtà e ai talenti locali. Me ne frego delle passerelle, del gala di Placido Domingo. La città deve vivere innanzitutto con i propri polmoni, avrebbe sicuramente più afflusso di pubblico rispetto a un gala

In questo tempo cosa ti è mancato del pubblico?

«Mi è mancato tantissimo il rapporto con gli studenti. Dal 1990 facciamo dei matinée con il teatro scuola e oltre a prepararli prima sulle tematiche delle opere di Pirandello, Sciascia, Wilde, facciamo poi un dibattito, in cui si crea una bella interazione con i ragazzi. Ma mi sono mancati anche gli anziani: in giro per l’Italia facciamo anche tre repliche a data, con la prima nel pomeriggio per loro. Il loro applauso, il loro sorriso ci fa tornare a contatto con la loro saggezza.»

Molte proposte culturali in queste settimane sono migrate sulle piattaforme digitali, anche con iniziative capaci di avvicinare target non tradizionali. Un apporto positivo, che però ha anche proposto una fruizione gratuita della cultura. Ora invece c’è bisogno che il pubblico torni e paghi un biglietto, riconoscendo anche economicamente il lavoro degli artisti. Pensi che questa parentesi inciderà sulle aspettative di una fruizione a basso costo o addirittura nullo?

«Chi fa Shakespeare in streaming non fa teatro, che senza pubblico non esiste. il teatro è vita, senza pubblico non c’è interazione, non c’è scambio di emozioni. Per me, come diceva Pirandello, il teatro dovrebbe essere un servizio sociale ad accesso gratuito per tutti, come il servizio sanitario. Il teatro cura l’anima e una società che ne è priva è menomata, colpita in spirito e corpo. Ci vorrebbe un abbonamento annuale, grazie al quale poter accedere a tutti i teatri nazionali e pagando così gli artisti con un contributo, insieme a una percentuale che varia in base all’affluenza del pubblico. Non sarebbe difficile costruire un teatro come servizio sociale.»

Come ha scritto tua figlia Anna, attrice e autrice della compagnia, «È dopo un momento di buio che inizia lo spettacolo». Cosa ti senti di promettere oggi al vostro pubblico? 

«Le parole giuste me le offre il testo di un giovane cantautore, un certo Francesco Guccini, di cui dedico la seconda parte di “Shomèr ma mi-llailah”. La risposta a questa domanda è tutta qui.»

La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato,
sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato…

Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate,

tornate ancora se lo volete, non vi stancate…

Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni

e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni,

ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,

che la risposta sull’avvenire è in una voce che chiederà:

Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell.