Ormai ci siamo. Manca pochissimo al 12 giugno, l’attesissimo election day a Verona, giorno in cui il candidato sindaco per il centro-sinistra Damiano Tommasi cercherà di emulare Paolo Zanotto, che esattamente vent’anni fa – con l’imprescindibile aiuto dell’allora sindaco uscente Michela Sironi – riuscì nell’intento quasi proibitivo di battere il candidato di centro-destra a Verona. Fu una mezza sorpresa allora e potrebbe esserci una mezza sorpresa anche stavolta. Perché la città – a detta di tutti gli analisti politici – rimane tendenzialmente di centro-destra e anche se Tommasi dovesse arrivare al ballottaggio del 26 giugno, non sarà comunque facile scalfire il “regno” avversario.

In realtà mai come questa volta le premesse per una piccola-grande “rivoluzione” ci sono tutte: la destra scaligera ancora una volta si presenta divisa (con gli inevitabili corsi e ricorsi storici del 2002) in due “super-candidati” come Federico Sboarina (sindaco uscente) e Flavio Tosi (ex sindaco, per ben due mandati, dal 2007 al 2017), i quali presumibilmente spaccheranno i loro elettori in una guerra fratricida, mentre dall’altra parte, per la prima volta nella storia veronese, si presenta un centro-sinistra compatto, coeso, deciso a sostenere fino in fondo l’ex calciatore.

Avevamo intervistato Damiano Tommasi tre mesi fa, quando la campagna elettorale stava cominciando a scaldare i motori, per parlare con lui dei grandi temi che interessano la città, dalla mobilità alla cultura, dall’economia alle iniziative rivolte ai più giovani. Oggi torniamo a interpellarlo per carpirne sensazioni e speranze a meno di 48 ore dal voto.

Tommasi, finisce la campagna elettorale. Quali sono le sue sensazioni dopo i numerosi incontri con la cittadinanza di Verona?

«C’è tanto entusiasmo e voglia di voltare pagina e riscrivere qualcosa di nuovo che dia un nuovo sprint a una città che ha bisogno di essere un po’ più ambiziosa. Sento consenso e desiderio di una politica diversa rispetto al recente passato.»

Le persone con cui ha parlato in questi mesi cosa le hanno chiesto in concreto?

«C’è tanta aspettativa e bisogno di credibilità, di serietà, di attenzione. Ho avvertito in generale un sentimento verso la politica che può tradursi in due modi: indifferenza o ulteriore desiderio di chiedere ascolto. In queste settimane, in questi mesi, ho avvertito – sarà anche forse la mia figura un po’ atipica, di una persona che non ha mai fatto politica prima e si impegna a candidarsi come sindaco per la prima volta – che l’indifferenza si è piano piano trasformata in aspettativa e curiosità. E questo è un bene, perché l’indifferenza è forse il peggior nemico che può avere la politica, soprattutto per chi deve amministrare una città.»

Facciamo un passo indietro. Prima di accettare questa sfida lei ci ha pensato a lungo. I dubbi che aveva in quel periodo si sono nel frattempo trasformati in qualcosa di diverso?

«Ci ho pensato il giusto, credo. Amministrare una città come Verona è una cosa seria, da cambio vita e va presa con le dovute accortezze, anche perché alla fine rappresenti una speranza per tante persone. Io sono arrivato a valle di un percorso deciso e scelto da forze politiche che fino a ieri non avevano mai cercato una sintesi e invece stavolta sono riusciti a trovare una comunione di intenti su un progetto concreto per il bene di Verona, partendo dal presupposto che è necessario cambiare. Ci si unisce, quindi, attorno a valori condivisi. Un grande lavoro, a monte, era già stato fatto per arrivare fino lì e non potevo pensare di accettare e poi cambiare idea a metà del percorso o dopo aver verificato che non c’erano per me le condizioni ideali per continuare. È stata, dunque, una scelta ponderata e non credo in maniera eccessivamente lunga rispetto alla grande responsabilità che sento di avere come candidato sindaco. Se è vero da una parte che si è alfieri di una sintesi di forze politiche che condividono con te la responsabilità, è vero dall’altra anche che la candidatura a sindaco si concentra anche sul carisma e sulla responsabilità individuale. E in quella scelta c’è tanto di personale che inevitabilmente ti costringe a capire, prima, se è il caso di prendersi certe responsabilità o meno.»

Nei giorni scorsi è uscita la classifica della qualità della vita del Sole 24 Ore. Verona appare ai vertici per quanto riguarda la qualità della vita degli anziani, ma non altrettanto per la classifica dedicata a quella dei giovani. Qualora diventasse sindaco quali sono i primi provvedimenti da attuare per loro?

«Innanzitutto fare in modo che non partano per altre città e che scelgano Verona per costruirsi il proprio futuro e inseguire i propri sogni. Purtroppo ad oggi Verona è una città da cui si parte e non una città in cui si arriva. La qualità della vita degli anziani rischia di non andare bene ai giovani, perché rende questa una città più conservatrice, più calma, più tranquilla. Il che va bene, sia chiaro, ma dall’altra parte è inevitabile che ci sia qualcosa da fare per le nuove generazioni. La sfida sarà quella di far sì che tutti e tutte si sentano a casa loro, sempre. Perché Verona ha davvero tutto per poter essere la casa di tutti, non solo dei più anziani. Ribadisco: è una città che ha molte potenzialità inespresse e che bisogna riattivare.»

Nelle ultime settimane ha incontrato gli altri candidati sindaco in diversi incontri pubblici. Quali sono un pregio e un difetto di Sboarina e Tosi, i suoi principali avversari?

«Entrambi hanno un difetto che è un po’ generale di Verona: uno sguardo sul passato, un giudizio su quanto è stato fatto e non è stato fatto. Entrambi rischiano di non parlare del futuro di questa città. Questo, però, è un difetto purtroppo comune a tanti in una realtà ancora ferma a pensare a cosa aveva e cosa non ha più. La nostra idea di campagna elettorale è sempre stata quella di parlare del futuro e delle energie da riscoprire e delle eccellenze da riattivare. Un loro pregio, invece, è sicuramente quello di aver avuto entrambi la capacità, la bravura o anche la fortuna di essere sindaco di Verona, cosa che io ancora non ho avuto la possibilità di fare.»

Ecco, a questo proposito, molti puntano proprio sulla sua inesperienza politica per fare campagna avversa. Cosa risponde?

«Che è proprio il difetto di chi parla di cosa sono stato e non di cosa propongo per il futuro di Verona. Sono abituato a persone che mi hanno sempre giudicato e mi giudicano in questo modo. Credo sia legittimo che ognuno la pensi alla sua maniera, sia chiaro, ma io non sarei candidato dell’altra parte politica se fossi d’accordo con loro.»

Qualcuno dice che “Damiano è abituato a vincere al 94’”, intendendo che lei non molla mai. Come la vede la “partita” del 12 giugno, ormai imminente?

«La vedo come un match in cui avverto che la paura di perdere dei miei concorrenti è più forte della loro voglia di vincere. Questo sicuramente ci dà un vantaggio. Da parte nostra, invece, c’è l’adrenalina di una sfida che si può vincere ma non essendo noi abituati a farlo il rischio è che ci prenda un po’ la mano. Sui due fronti, dunque, abbiamo nell’emotività qualcosa che dobbiamo imparare a gestire bene.»

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