Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia” è il titolo dell’ultimo libro di Paolo Berizzi, giornalista sotto scorta che da sempre si batte contro tutti i fascismi (e in generale gli -ismi) nel nostro Paese. La sua opera è un tentativo di spiegare come un certo tipo di pensiero sia riuscito ad arrivare, dopo anni di mutazioni e adattamenti, fino ai palazzi del potere, sfruttando le debolezze del sistema e cercando di piegare a proprio uso e consumo la rabbia di una società in declino da decenni. Berizzi ha presentato il suo lavoro nei giorni scorsi anche a Verona, alla Libreria Feltrinelli, dove è tornato a oltre due anni di distanza dal blindatissimo incontro che si tenne in Fiera per presentare “È gradita la camicia nera”, il suo libro dedicato al laboratorio delle destre instaurato a Verona.

Berizzi, dall’ultima volta che lei è venuto nella nostra città molte cose sono cambiate, a cominciare dalla guida politica, oggi, con la Giunta Tommasi, a trazione centrosinistra. Cosa significa, secondo lei, questo cambiamento?

«È un segnale importante, ma per molti motivi tendo a pensare che il “problema fascismo” a Verona non accenni ad arretrare, almeno in alcune fasce della popolazione. Questa è la mia opinione sul tema e mi posso anche sbagliare, ma rimane il mio sguardo. Il modello-Verona, su cui scrissi un libro, ha anticipato di fatto un modello che poi è diventato nazionale. La destra estrema qui ha fatto il salto di qualità, passando dalle curve dello stadio e dagli assembramenti ai concerti nazirock ai palazzi del potere. A Verona la destra è entrata nelle istituzioni e si è seduta alla presidenza delle Partecipate, facendo un upgrade che non era mai avvenuto, altrove, in Italia. Quel modello, oggi, lo abbiamo su scala-Paese.»

Lei afferma che i fascisti oggi sono al Governo. Un’anomalia, se prendiamo in considerazione l’Europa democratica…

La copertina del libro di Paolo Berizzi

«Quando vent’anni fa mi chiedevano dov’erano i fascisti in Italia io solevo rispondere negli stadi, nelle piazze e nei concerti nazirock, di cui il Veneto è peraltro grande fruitore. Quando mi facevano la stessa domanda, dieci anni fa, rispondevo ancora nelle curve, ai concerti nazirock, nelle piazze e – aggiungevo – in rete. Sul web ne vedevo tantissimi di fascisti, postfascisti, criptofascisti, chiamateli come volete. Sono stati abilissimi ad occupare quasi militarmente internet e i social. È facile trovarli, basta “smanettare” pochi minuti e si individuano nei commenti agli articoli di giornale, nei post, etc. Oggi, però, quando mi chiedono dove vedo i fascisti rispondo che non c’è bisogno di andarli a scovare chissà dove… sono arrivati a Palazzo Chigi.»

Com’è potuto succedere?

«Nel mio nuovo libro provo a raccontare questa sorta di mutazione antropologica del Paese. L’Italia è cambiata profondamente in questi anni e non in meglio, purtroppo. Racconto non tanto del ritorno del fascismo, del fez, della camicia nera o del manganello (anche se quest’ultimo viene glorificato da qualche generale dell’esercito che afferma che gli studenti che vanno a protestare se lo meritino, citando il Santo Manganello di mussoliniana memoria) e non mi riferisco nemmeno al fascismo delle purghe di chi disturba, dell’epurazione del dissenso, che non viene più tollerato e viene messo in un angolo o dato in pasto a una rete di picchiatori, virtuali e in qualche caso reali. Il fascismo a cui mi riferisco, in realtà, quello che chiamo Bestia, è un fascismo che ha profondamente cambiato pelle. È un fascismo nuovo, che si confonde… lo chiamo fascismo pop, da fast food o discount, che si mescola e mimetizza nel senso comune. Anzi, rappresenta proprio la “fascistizzazione” del senso comune, di un modo di pensare che ci è entrato sottopelle, quasi a nostra insaputa, e che ha portato un degrado non soltanto linguistico ma anche a una regressione democratica sul terreno dei diritti, delle battaglie che ritenevamo definitive e invece non lo sono più. Basti pensare al tema dell’aborto o dei diritti delle comunità LGBTQ+. Ci siamo accorti che la democrazia, la nostra democrazia, è fragile e anche un po’ malata. E un paziente fragile ha bisogno di cure maggiori, altrimenti dopo un po’ non ce la fa più.»

Nel 2024, in Italia, ci sono ancora manifestazioni di piazza come i saluti romani ad Acca Larentia o a Milano per Sergio Ramelli…

«Sono vecchie liturgie fasciste che in realtà ci sono sempre state e non sono mai scomparse. Nel libro parlo di questo ma anche di tutto quello che, a cascata, è tornato, con certe pulsioni fascistoidi e certe fascinazioni per alcuni governi illiberali (si pensi all’Ungheria di Orban, tanto coccolata da Meloni e Salvini) che questa destra di governo sta facendo. Giorgia Meloni ha chiuso di fatto un cerchio iniziato da Berlusconi e proseguito proprio da Salvini. Come lo ha chiuso? Facendo tornare al potere quelli che negli anni ha lei stessa definito come “persone che dovevano abbassare la testa altrimenti avrebbero dovuto perdere il posto di lavoro”.»

Immagine generata dall’intelligenza artificiale

A proposito di Meloni, lei descrive la nostra Premier come una persona coerente con gli ideali in cui è cresciuta e si è formata. A cosa si riferisce?

«All’inizio del libro ci sono due epigrafi. Una di Primo Levi che dice che “ogni tempo ha il suo fascismo”. E a noi ne tocca uno rieditato, subdolo, per molti aspetti mascherato. E l’altra è proprio una frase di Giorgia Meloni che, subito dopo aver vinto le elezioni politiche del 2022, afferma “Noi non tradiremo”. Non si riferiva, ovviamente, agli italiani in generale tout court, ma alla comunità missina, quella della fiamma tricolore che è ancora il simbolo di Fratelli d’Italia, il partito che guida. Non faremo, dice fra le righe, come Gianfranco Fini, che disconobbe l’eredità del Fascismo. Lei, al contrario, non ha mai tradito quella comunità e continua a portare avanti gli ideali, le parole d’ordine, le radici che sono alla base di quella comunità.»

Noi ci troviamo cento anni dopo con un fascismo che non è stato sconfitto culturalmente.

«Esatto. Torna come un virus mai debellato. Lo disse bene Andrea Camilleri: in Italia abbiamo una destra che non rinnega, anzi conferma, non restaura ma in qualche modo sdogana la bestia, che alla fine è riuscita a far uscire dal recinto. Abbiamo persone alle istituzioni che celebrano “gli eroi e i martiri del fascismo”. Abbiamo persone che sdoganano il razzismo, l’omolesbotransfobia, l’avversione e l’intolleranza verso il diverso. Abbiamo il ritorno di qualcosa che pensavamo sepolto nella storia. Aver ritenuto il fascismo storico un fatto archeologico e ormai sepolto è stato un errore gravissimo, perché quella certezza è stata la chiave di volta per chi non vedeva l’ora che quella roba lì potesse tornare. Questo è stato lo scenario. Ed ecco perché, ribadisco, i fascisti oggi li abbiamo al governo. Si chiamano LaRussa, Lollobrigida, Frassinetti, Colosimo, Montaruli. Si chiamano anche – e me ne assumo la responsabilità – Giorgia Meloni. Dietro la parvenza di cui si copre nelle cancellerie europee è tanto fascista quanto lo era Giorgio Almirante. Non casualmente il simbolo del partito, la fiamma tricolore, è rimasto lo stesso e non casualmente le politiche e le proposte sono le stesse, a iniziare dal premierato, uno degli obiettivi principali di Almirante che all’epoca, però, non era a capo di un partito che guidava il Paese, al contrario di Meloni.»

Fra l’altro, nonostante i numerosi tentativi da parte di chi li ha intervistati, Giorgia Meloni e Ignazio Benito LaRussa non si sono mai definiti antifascisti…

Paolo Berizzi

«E qui bisognerebbe bacchettare la categoria a cui appartengo. I giornalisti continuano a fare loro la stessa domanda e cioè: “lei è antifascista?”. Bisognerebbe chiedere il contrario: “scusi, ma lei è fascista?”. Il problema che abbiamo in Italia è che siamo l’unica democrazia europea dove gli eredi ideologici del fascismo governano il Paese. Fateci caso. Non troverete nessun altro caso dove gli eredi di quella storia (l’Italia ha prodotto ed esportato il fascismo all’estero, da Hitler a Franco, ndr) sono ormai stabilmente al governo. Questo è un punto dirimente, perché a cascata ne conseguono un sacco di episodi sconcertanti, oscenità, abitudini all’odio. L’allevamento a cui hanno lavorato sodo per anni, da Berlusconi a Salvini fino a Giorgia Meloni. Con lei, però, torna l’originale, che vince sempre sul “tarocco-Salvini”. E ora il cerchio si è chiuso e la trasformazione si è completata.»

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