Esiste una profonda ma tangibile spinta democratica nell’elettorato turco. Questo raccontano i risultati imprevisti, almeno nell’intensità, delle elezioni amministrative tenutesi in 81 città della Turchia una decina di giorni fa. Per la prima volta in molti anni, ben 37 per la precisione, il principale partito turco ha perso. O meglio, non ha stravinto e ha proprio perso (male) nelle principali città del Paese.

La performance delle opposizioni è stata spettacolare, raccontata dai media come una volontà di cambiamento, di riportare la Turchia dove si trovava prima della “cura Erdoğan”, la deriva autoritaria che ha visto erose le fondamentali libertà civili e i diritti umani. Il Partito AKP (Giustizia e Sviluppo) del Presidente-Sultano si è scontrato stavolta con una opposizione che ha abbandonato divisioni interne e rassegnazione per combattere unita e coraggiosa.

Numeri da sogno

Hanno votato 61 milioni di turchi, con un’adesione del 77%, tra cui molte più del solito le donne – a rivendicare quel diritto che ancora non è sparito – e un milione circa di nuovi elettori giovani. AKP continua a dominare nella parte centrale del paese e nel sud-est, riuscendo a tenere le città di Kahramanmaras e Gaziantep, mentre Adiyaman è andata all’opposizione.

Il partito filo-curdo DEM ha vinto come atteso in gran parte del sud-est e l’elettorato curdo ha fornito grande supporto all’altro grande partito di opposizione CHP nel successo delle grandi città come Istanbul e Andara. Queste ultime, oltre alla liberale Izmir ma anche Adana, Antalya, Bursa e Balikesir, sono ora governate da CHP che, complessivamente, si è preso 36 comuni su 81 e 13 distretti (una sorta di aree urbane allargate) su 30. CHP ha vinto nelle aree “liberal” ma anche in alcune roccaforti del Sultano, perfino a Uskudar, il distretto di Istanbul dove ha la residenza (vinto da una donna, signora mia!).

Istanbul, la bella

A Istanbul vive il 20% della popolazione turca e la città conta per circa un terzo del PIL nazionale. Quando ne era sindaco lui, l’attuale presidente Erdoğan ebbe a dire che «chi vince Istanbul, ha vinto la Turchia» ma forse non la pensa più così, dopo che il sindaco uscente Ekrem İmamoğlu è stato riconfermato con oltre un milione di voti in più dello sfidante AKP. E pensare che il Sultano aveva perfino riesumato un’usanza ottomana, la preghiera in Hagia Sophia che si faceva prima di iniziare una guerra.

Incidentalmente, Santa Sofia è stata nei secoli luogo di culto per varie religioni, prima di diventare un museo a testimonianza della laicità dello Stato con Atatürk e di essere trasformata in moschea da Erdoğan stesso. Le preghiere non hanno impedito la peggior sconfitta di sempre del candidato islamista conservatore, in una sorta di divertente “vendetta” divina. Dieci punti di distacco, mai così tanti dal 1977.

Sono noti i numerosi capi d’accusa pendenti sul capo di İmamoğlu, che potrebbe essere incarcerato o bandito dalle cariche pubbliche a un piccolo movimento del mignolo di AKP. Ma lui non mostra alcuna paura mentre declama il suo discorso a una folla festante: «Da domani – dice – la Turchia sarà una Turchia diversa. Avete aperto la porta alla rinascita di democrazia, equità e libertà. Istanbul è un faro di speranza, un testamento della resistenza dei valori democratici a dispetto del crescente autoritarismo».

Le ragioni del cambio di rotta

Sicuramente ci sono motivazioni economiche alla base di tanti voti contrari, si tratta di una dichiarazione forte di dissenso verso le politiche assurde che il presidente ha imposto per anni, passando più di recente a un eccesso di interventismo il cui prezzo viene pagato dalla gente comune. Tassi al 50% per frenare i consumi e il credito, inflazione intorno al 70% e inflazione reale anche peggio. La svalutazione della moneta che ha un grande impatto sulle aziende di tutte le dimensioni e ridotto molte famiglie in semi povertà.

Ma c’è un’altra corrente sotterranea, il ritorno a una visione di Turchia inclusiva, moderna e pluralistica. E uno degli indicatori più efficaci di tale cambio culturale si trova nel numero crescente di donne tra i candidati a queste elezioni, dopo dieci anni in cui erano progressivamente sparite dalla scena pubblica.

Non è un Paese per femmine

Non è un Paese facile per una donna, almeno non lo è stato negli ultimi vent’anni. Si ricorderà come il governo AKP si sia ritirato unilateralmente dalla convenzione che protegge le donne dalle violenze, firmata per ironia drammatica proprio a Istanbul. Ad oggi un terzo dei matrimoni riguardano spose bambine e secondo la piattaforma “we will stop femicide” nel 2023 almeno 563 donne sono state uccise o hanno perso la vita in circostanze sospette o non indagate. Il Paese ha un elevato tasso di suicidi tra le donne: 2,4 donne ogni 100.000 (e si alza per le ragazze, anche se mancano fonti ufficiali).

In questa Turchia ora governano 11 nuove sindache che potranno sembrare nulla su un totale di 81 comuni, ma restano tantissime rispetto alle 4 elette nella tornata precedente nel 2019. Dieci di queste sindache sono di partiti di opposizione e si sono guadagnate mediamente il 53% dei voti validi. Un esempio virtuoso è la trentunenne Gulistan Sonuk, del Partito pro-Curdo per l’Uguaglianza e la Democrazia (DEM).

Batman e le sue donne

Batman è una città della Turchia sud-orientale, parte del Kurdistan turco. Si colloca nella valle di confluenza del fiume omonimo nel Tigri dei nostri sussidiari delle elementari. Ci vivono quasi 500.000 persone, il 65% delle quali ha deciso di dire basta. Basta alla società patriarcale, all’ultra-islamismo, ai troppi suicidi tra le sue bambine e ragazze. Basta a un partito che l’ha da sempre governata, quel Huda Par (partito della Causa) di estrazione ultra-conservatrice, islamista di fede sunnita, il cui candidato ha fatto propaganda elettorale al grido di «dopo la mia elezione faremo scegliere alle donne, il colore del chador». Ora non ride più, poveretto.

La nuova sindaca Sonuk ha dichiarato candidamente che Huda non l’ha «nemmeno vista arrivare come una minaccia, solo perché donna. E hanno perso contro la loro nemesi: una donna giovane e molto, molto orgogliosa». La sua vittoria è stata accolta da una folla (di uomini e donne) che cantava gli slogan “women, life, freedom” e la canzone patriottica traducibile in “Il Paese è bello, bello”. Tutte le associazioni di difesa delle donne hanno marciato insieme e accompagnato la curda Sonuk ad insediarsi in comune, tra loro donne con il chador, donne con il velo bianco e anche tanti, tantissimi capelli al vento.

Nessuno di noi è tanto ingenuo da credere alla favola di una tornata elettorale che pone davvero fine dell’èra Erdoğan, come un colpo di bacchetta magica. Samuel Beckett fa dire a uno dei personaggi del suo “Godot” che l’essenziale non cambia e probabilmente anche la Turchia non è cambiata. Ma una picconata  al muro di gomma dittatoriale e anti-democratico è arrivata forte e chiara; la popolazione è stanca di “aspettare Godot”, vuole una Turchia di nuovo prosperosa, laica e amica delle sue donne. La vuole adesso.

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