Ricorderemo per anni una frase inserita al capitolo 28 dell’accordo raggiunto alla ventottesima Conferenza della parti COP28 conclusasi il 12 dicembre scorso a Dubai.

Preceduta dall’incipit «Si riconosce inoltre la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra in linea con il percorso di 1,5 °C» dell’accordo di Parigi del 2015, al punto f la frase da ricordare impegna gli Stati a una:

«TRANSITIONING AWAY FROM FOSSIL FUELS in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelareting action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science».

Che tradotta si legge: «Abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza».

Ci sono voluti 28 anni di discussioni, confronti, negoziazioni, sei report dell’IPCC, per inserire l’abbandono dei combustibili fossili nei programmi dei governi per la mitigazione della crisi climatica.

Chi se lo sarebbe aspettato?

Risultato insperato, non scontato se si considera che la conferenza si è tenuta a Dubai, capitale dell’Arabia Saudita il maggior produttore di combustibili fossili oltre che leader dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) e la presidenza della conferenza è stata affidata ad Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati Arabi.

Per la prima volta nella storia delle COP inoltre è stata prevista la partecipazione dell’ OPEC con un proprio padiglione e una delegazione di esperti sulle questioni ambientali guidata dal loro Segretariato Generale Haitham Al Ghais.

Sorprendente anche il numero dei lobbisti del fossile accreditati. Secondo Global Witness alla COP 28 si è raggiunto un record di 2456 (duemilaquattrocentocinquantasei!) rappresentanti dell”oil&gas contro i 626 della COP27 a Sharm el-Sheikh (nel 2022) e i 503 della COP26 a Glasgow (nel 2021).

A Dubai si è quindi manifestata una partecipazione molto forte del business fossile, compatibile forse con una strategia negazionista dei cambiamenti climatici che, sorprendentemente, non c’è stata.

Come può essere successo?

Come interpretare quindi l’impegno da parte delle grandi compagnie e degli Stati, che hanno nell’ Oil&gas la loro mission, l’abbandono dei combustibili fossili, seppur in modo graduale?

Verosimilmente si potrebbe pensare che nelle direzioni strategiche delle compagnie fossili, da tempo, stesse maturando la convinzione che il mercato globale dell’energia si stia avvicinando alla classica situazione in cui nuovi prodotti, fortemente competitivi, stanno sostituendo irrimediabilmente i vecchi.

Le energie rinnovabili, rispetto ai combustibili fossili, indubbiamente rappresentano una disruptive innovationesattamente come lo sono state la fotografia digitale per la pellicola o la stampa con il pc per la macchina da scrivere.

È lecito supporre che nelle loro segrete stanze questo pensiero sia stato inizialmente solo un argomento di discussione, poi, man mano che la consapevolezza del cambiamento climatico cresceva nel mondo e l’utilizzo delle energie rinnovabili si affermava, abbiano iniziato a preparare piani alternativi.

È l’annuncio di una svolta

Una loro partecipazione così vistosa alla conferenza potrebbe essere la prova che siamo a un punto di svolta di questa lunga e articolata vicenda umana nel rinegoziare oltre due secoli di rivoluzione industriale su basi nuove, che non mettano a rischio la nostra civiltà.

Ora che persino la IEA (International Energy Agency), tramite il suo Direttore esecutivoFatih Birol, prevede «la domanda di prodotti petroliferi destinata a raggiungere il picco prima del 2030 per poi diminuire» è forse tempo per il mondo degli idrocarburi di venire allo scoperto e cercare di dominare la nuova situazione per non farsi travolgere.

Un esempio emblematico è proprio rappresentato dal presidente COP 28, Ahmed Al Jaber, il quale è amministratore delegato di ADNOC (National Oil Comany) la compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti (EAU) dodicesima più grande del mondo per la produzione di petrolio, e contemporaneamente presidente di Masdar,  una delle più grandi aziende mondiali di energia rinnovabile, leader nell’idrogeno verde, attiva in più di 40 paesi in sei continenti.

Significativo anche che Susana Muhamad, ministra colombiana, abbia manifestato  preoccupazione per le sorti a medio termine del suo Paese. L’economia della Colombia, membro OPEC, è basata su produzione ed export di petrolio, sarebbe compromessa se la domanda fossile diminuisse. A Dubai Muhamad ha dichiarato: «questo è il tempo della politica, dobbiamo allineare i sistemi finanziari alla transizione».

Inizia quindi una nuova fase storica con un nuovo posizionamento di tutti i soggetti coinvolti nella transizione energetica, compresi i movimenti ambientalisti.

La prossima tappa

Dopo la COP 28 la discussione non sarà più sulla necessità di una transizione energetica, ma in quali tempi e modi si farà, se nei trent’anni come chiede la scienza per contenere l’aumento di temperature e mantenere la Terra abitabile, o in tempi molto più lunghi che sembrano servire all’industria fossile per massimizzare i profitti.

Discussione nuova che dovrà dare risposta a domande rimaste aperte alla COP28:

  • Chi saranno i veri motori del cambiamento? I produttori o i consumatori di energia? Quale ruolo avranno i cittadini, le istituzioni locali, gli Stati, i movimenti ambientalisti?
  • Chi finanzierà la transizione? I paesi che si sono finora arricchiti utilizzando i fossili o anche quelli che ne hanno subìto le conseguenze?  
  • Come si formerà il nuovo potere mondiale dell’energia? Rimarrà come ora concentrato in poche mani o verrà distribuito alle comunità locali, parcellizzato, reso democratico come permesso dalla tecnologia rinnovabile?

Domande che sono un “arrivederci alla COP29“, nel 2024, questa volta a Baku, capitale dell’Azerbaigian.

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