Con il Global Stocktake sarà valutata la coerenza tra gli impegni volontari degli stati firmatari dell’accordo di Parigi del 2015, chiamati Nationally Determined Contribution (NDC), definiti in assoluta autonomia per contenere il riscaldamento globale del pianeta al di sotto di 1,5°C e la loro effettiva realizzazione.

Nel caso in cui si verificasse un disallineamento, i governi dovrebbero obbligatoriamente rivedere al rialzo le proprie ambizioni e trasmettere nuovi NDC con obiettivi e target più sfidanti.

In attesa di conoscere i risultati del Global Stocktake e, soprattutto, quali nuovi impegni si assumeranno gli stati, è utile riassumere  la situazione dei maggiori Stati inquinatori.

Stati Inquinatori

Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea con il 45% della popolazione e il 62% del Pil globale rappresentano  oltre la metà delle emissioni di gas serra, sono i Paesi che più hanno tratto vantaggio dall’uso dei combustibili fossili  e perciò maggiormente  responsabili  del cambiamento climatico. Alla COP28 si confrontano con nazioni che stanno subendo le conseguenze climatiche senza aver contribuito a causarla. 

Se Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea decidessero concretamente di puntare alla neutralità climatica entro il 2050, potrebbero efficacemente invertire il trend delle emissioni globali e spingere gli altri Paesi a fare lo stesso.  

Qual è secondo i dati aggiornati dal progetto Edgar del Joint Research Center della Commissione Europea il biglietto da visita con cui questi Paesi si sono presentati alla COP28?  

La Cina ago della bilancia climatica

La Cina è da ormai vent’anni il primo Paese al mondo per le emissioni di gas serra: da sola rappresenta il 30% delle emissioni globali. Il cittadino cinese, con 11 tonnellate all’anno di gas serra per abitante, ha emissioni pro-capite ben superiori a quelle di un europeo.

A partire dagli anni ’90 la rapida espansione della sua economia ha portato questo Paese a svolgere un ruolo determinante all’interno degli equilibri climatici.

Considerando i suoi obiettivi climatici, la Cina è ancora indietro rispetto alle altre economie avanzate: si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, quindi oltre il 2050 indicato dall’accordo di Parigi.

Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia. La Cina si è presentata alla COP28 non solo come il più importante emettitore di gas serra, ma anche di gran lunga come il più grande investitore nella transizione energetica.

Secondo Bloomberg gli investimenti cinesi nell’energia rinnovabile, nello stoccaggio, nei trasporti elettrificati e nell’economia circolare rappresentano un primato globale e nel 2022 hanno superato  quelli dei successivi dieci paesi leader messi insieme.

Gli esperti però reputano che gli sforzi del governo di Pechino siano ancora largamente insufficienti e le ambizioni climatiche cinesi non si possono ancora considerare adeguate ali impegni sottoscritti con l’Accordo di Parigi.

Gli Stati Uniti non riescono a tagliare le emissioni 

Gli Stati Uniti, la prima economia globale, sono il secondo grande emettitore al mondo, con il 12% delle emissioni di gas serra.  

Sono anche, di gran lunga, il primo Paese per emissioni pro-capite: un cittadino americano in media è responsabile dell’emissione in atmosfera di 18 tonnellate di gas serra l’anno, il 60% in più di un cittadino cinese, più del doppio di un europeo e sei volte un indiano. 

Diversamente da altre economie avanzate, gli Stati Uniti hanno raggiunto tra il 1990 e il 2022 obiettivi di decarbonizzazione ancora modesti, conseguendo un taglio delle emissioni di gas serra di appena il 2%. Inoltre, per molti anni la posizione statunitense ai tavoli delle trattative internazionali sul clima è stata spesso di freno piuttosto che di accelerazione al contrasto al climate change.

Tuttavia, negli ultimi anni, per il fatto che la transizione energetica sta diventando sempre più un nuovo terreno di competizione industriale con la Cina gli Stati Uniti sembrano aver voltato pagina e aver deciso di puntare con più decisione sulla transizione green.

Diversi provvedimenti dell’Inflation Reduction Act, stanno imprimendo una forte accelerazione agli investimenti nella transizione energetica, soprattutto nell’ottica di costruire e consolidare una filiera nazionale su molte tecnologie relative alle rinnovabili, alle batterie e alle auto elettriche. 

Il Presidente Biden si è presentato alla COP28 con l’obiettivo di neutralità climatica per il proprio Paese entro il 2050 e con l’impegno di tagliare del 42% le emissioni climalteranti entro il 2030, ma questo suo contributo non è ancora giudicato sufficiente per contenere l’aumento della temperatura entro +1,5°C. 

Infine, essendo gli Stati Uniti ancora oggi il primo produttore mondiale di petrolio e gas, nonostante l’ambizioso programma di investimenti dell’Inflation Reduction Act (IRA) dovranno affrontare sfide strutturali importanti.

L’India, il terzo inquinatore globale 

L’India da qualche anno ha superato l’Europa ed è ora il terzo emettitore mondiale di gas a effetto serra, con 3.5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente, le sue emissioni pro-capite però sono di gran lunga le più basse: un settimo di un cittadino americano e un terzo di un europeo.

Sul fronte degli impegni climatici, l’India si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2070, dunque molto fuori tempo massimo per raggiungere gli obiettivi di Parigi e per il 2030 ha posto solo un obiettivo di riduzione dell’intensità carbonica (ossia del rapporto tra emissioni e PIL).

Il più grande problema dell’India è rappresentato dall’utilizzo di carbone, che non accenna a diminuire: oggi il 70% dell’energia elettrica indiana proviene dal carbone e secondo le analisi di Climate Action Tracker, nel 2030 rimarrà ancora sopra il 50%.

Pur rimanendo dipendente dalla fonte fossile e senza un vero piano per diminuirne gradualmente l’utilizzo, l’India sta compiendo progressi significativi nella crescita di energia rinnovabile: il solare e l’eolico sono diventati la fonte di energia a più basso costo del Paese, anche senza sussidi.

L’India è un Paese sotto osservazione non solo perché con 1,48 miliardi di persone è il Paese più popoloso al mondo, ma anche perché se replicasse il modello di crescita economica cinese causerebbe un irrimediabile disastro ambientale. Non ci si può permettere una nuova super potenza industriale fossile.  

Si è di fronte a un enorme esperimento, il primo del suo genere: quello di trasformare un Paese fondamentalmente agricolo in una potenza industriale senza passare per decenni di forte dipendenza fossile.

L’Unione Europea “pesa” solo per il 6,8% delle emissioni globali

Alla COP28 all’Unione Europea  si è presentata da leader indiscusso della transizione verso le zero emissioni perché è l’unica economia avanzata, insieme al Regno Unito, a essere riuscita a ridurre le emissioni di gas serra dal 1990 (del 28%) ed è l’unica ad avere, con il Green Deal,  un pacchetto di obiettivi e di misure ambizioso e allineato con le indicazioni della comunità scientifica. 

Rispetto agli altri grandi emettitori mondiali, l’UE ha le emissioni decisamente più contenute sia in valore assoluto, con circa 3,5 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno, sia in valori pro-capite, molto più bassi di Stati Uniti e Cina, con 8,1 tonnellate di gas serra per abitante.

Com’è noto, il Green Deal europeo include l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050, un taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 (rispetto al 1990) e vari target settoriali per accompagnare il percorso di decarbonizzazione in tutti i settori.

Inoltre nel 2023 l’Europa ha rafforzato i propri obiettivi, intendendo raggiungere una quota del 42,5% di energia (per elettricità, calore e trasporti) fornita da fonti rinnovabili al 2030.

Anche in termini di realizzazione della transizione energetica l’UE sta mantenendo un ruolo di primo piano: nel 2022 è stato il secondo Paese, dopo la Cina, per investimenti complessivi nella transizione, nella crescita di auto elettriche e nelle rinnovabili.

L’Unione Europea, nonostante il suo impegno climatico, continua però a investire nelle fonti fossili, un trend che andrebbe invertito perché soltanto con la transizione green potrebbe acquisire un’indipendenza energetica che le rinnovabili possono garantirle.

Quali saranno le conclusioni di COP28?

Da un recente rapporto delle Nazioni Unite, si evince che lo scostamento fra quello che gli stati si erano impegnati a fare e quello che hanno realizzato è impressionante.

Per rispettare nel 2030 il limite indicato nell’Accordo di Parigi a livello globale si dovrebbe  emettere meno di 30 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno, ma quanto finora realizzato e quanto indicato nei piani da realizzare, fanno prevedere emissioni globali comprese tra 48 e 55 miliardi di tonnellate di gas serra. Un gap molto ampio che richiederà un notevole impegno per colmarlo.

Detto in altro modo, senza sostanziali interventi correttivi, nel secolo in corso l’aumento della temperatura media globale, invece di essere compreso tra 1,5 e 2°C, potrà sfiorare i 3°C: secondo l’IPCC sarebbe un disastro climatico assoluto.

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