Nelle sale dei cinema un po’ intimi Kasia Smutniak entra in punta dei piedi e presenta al pubblico la sua prima creazione come regista. Bastano davvero pochi secondi per capire che davanti alla platea curiosa c’è una donna determinata e coraggiosa.

Con la talentuosa spalla di Marella Bombini, ha avuto il coraggio di raccontare sul campo la situazione in cui versano i profughi che tentano di arrivare in Polonia dal confine bielorusso. Soprattutto, però, descrive come lo Stato risponda, o non risponda, a tutto questo.

Raccontare il confine polacco

Tutto ha inizio con la difficoltà di reperire notizie dalla stampa italiana ed europea. Poco trapela in Italia di questa barriera e di come la Polonia non solo non accolga ma respinga i profughi.

MUR è un documentario girato con mezzi spesso non professionali. La protagonista indiscussa è la regista in prima persona. Attraverso un viaggio in Polonia con l’amica e collaboratrice, Kasia Smutniak mischia immagini familiari nella terra natale, ricordi d’infanzia, interviste ad attivisti, la vicina guerra in Ucraina e la disperazione dei migranti provenienti dalla nuova rotta mediorientale.

Il paese che ha primeggiato nell’accogliere le persone in fuga dall’Ucraina, è lo stesso che ha iniziato la costruzione di una barriera per i migranti che scappano dalle guerre in Medioriente.

Le premesse

A seguito dell’incremento di persone provenienti da Siria, Afganistan e paesi limitrofi, soprattutto dopo l’abbandono degli USA e delle truppe dell’ONU da quei territori, la Polonia ha irrigidito la propria posizione di accoglienza. Ridotto in frantumi anche l’ultimo baluardo di umanità, è arrivata al punto di iniziare la costruzione di una barriera di filo spinato, nel mezzo della foresta, per bloccare gli arrivi dei disperati che fuggono dalle situazioni di guerra, miseria e persecuzione. Il respingimento è arrivato persino ad utilizzare mezzi militari.

Il primo “muro” che i migranti devono affrontare è un ostacolo naturale. La foresta più antica e grande d’Europa, il Puszcza Białowieża è un’enorme distesa verde che a vederla dall’alto sembra un mare.

E questo mare i migranti lo devono attraversare, sopportando il freddo e l’ostilità del territorio, per arrivare ad un paese che li possa accogliere. Ma non saranno bastati tutta la fatica e gli stenti per ricevere asilo politico. Anche quello sarà negato.

La reazione della Polonia

Per meglio controllare, è stata creata una zona rossa lungo il confine con la Bielorussia entro la quale a nessuno è consentito entrare, nemmeno alle organizzazioni umanitarie o ai giornalisti. Nessuno può legalmente entrare in quest’area, eccetto che non sia abitante o lavoratore.

Sono stati allestiti check point per il controllo dei mezzi e delle persone che vi accedono. Questo territorio è controllato da droni e mezzi militari. Ben spiegano la situazioni alcuni attivisti ed abitanti della zona, intervistati dalla regista.

Smutniak ha deciso di raccontare e descrivere con le riprese la situazione a ridosso del muro. Si è messa in contatto con gruppi di attivisti che quotidianamente operano per il salvataggio dei migranti nella foresta. Si recano nel bosco per salvare o portare soccorso alle persone che sono arrivate fin lì senza cibo né alcun genere di conforto. Spesso arrivano con vestiti inadatti alle basse temperature polacche e trascorrono giorni all’addiaccio e senza alcun ristoro. Molte sono famiglie con bambini. In alcuni video si vedono come a queste persone venga insegnata in inglese la frase per la richiesta di asilo politico, ma di come sistematicamente questa richiesta venga ignorata.

Cos’è il muro

Nel documentario vengono mostrate le difficoltà di accesso alla zona rossa, tentata anche per via aerea, pur di riuscire a catturare qualche immagine da vicino dell’erigendo muro. Il film non ha un lieto fine.

Le ultime immagini infatti mostrano di quando, con il pass per giornalisti, riesce a raggiungere il muro dalla parte della legge, scortata ed accompagnata dalla polizia di frontiera. Questi momenti del documentario mostrano bene lo stridore tra il versante del muro controllato dalla polizia e la parte che dà sul bosco, laddove arrivano i disperati. Di qui tutto è molto ordinato, ci sono mezzi tecnologici, militari sorridenti, ben vestiti e attrezzature all’avanguardia. Dall’altra parte freddo, nascondigli e morte.

La Polonia della regista

La narrazione prettamente documentaristica di MUR viene interrotta da scene di vita familiare. La regista ha approfittato per andare a trovare i nonni materni ed incontrare il padre con alcuni parenti. Viene mostrata così anche la vita delle persone semplici, che cercano, forse per non far riaffiorare il dolore della storia, di non curarsi della guerra in Ucraina. Allo stesso tempo però sono pronte ad aiutare chi dalla guerra fugge fornendo beni di conforto.

Il lavoro degli attivisti

Altri intervalli sono dati dalle interviste agli attivisti incontrati sul posto. Persone normalissime, con lavoro ordinario e spesso con famiglia, che dedicano ore e talvolta anche giorni alle missioni di salvataggio. Ci sono casette nel bosco in cui vengono raccolti i beni di prima necessità da portare ai migranti. Vengono organizzati turni ed è stato creato un sistema di tracciamento per agevolare i prelievi dei migranti. Alcuni hanno raccontato di come si diventa attivisti e di quanto impegnarsi a salvare persone possa diventare un vortice dal quale è difficile uscire. Più si impegnano e più sentono il bisogno di impegnarsi. Ogni tanto sono costretti a staccarsi completamente staccarsi da questa realtà per non perdere la lucidità e mantenere l’efficienza nelle missioni.

Un padre di famiglia, impegnato in una di queste organizzazioni, ha spiegato di quanto ogni giorno si consumano emotivamente, dovendo di continuo far fronte a situazioni limite. Lo stress di superare i check point, dover nascondere i mezzi per potersi poi addentrare nel bosco a piedi, percorrere kilometri con zaini pesantissimi, pieni di vestiti, coperte e cibo, cercare senza essere visti le persone da soccorrere. Tutto questo diventa più che un compito. Contemporaneamente, non si riesce a farne a meno perché consapevole che ogni minuto lontano dal bosco potrebbe significare una vita salvata in meno.

Cos’è MUR

MUR non è un documentario finemente realizzato o montato, ma l’urgenza del tema fa scorrere in secondo piano le mancanze tecniche. I momenti di tensione che si percepiscono nei video delle missioni, la realtà di un paese che ha già in passato vissuto con un muro al suo interno (il riferimento appunto al muro del ghetto ebraico), la vita degli attivisti che scorre tra la normalità e la straordinaria forza che impiegano nei salvataggi… ogni momento è emozionalmente intenso.

Al termine della proiezione passano alcuni dati sui muri in Europa, sulle date di inizio costruzione, sulle risoluzioni delle Comunità Europea al problema dei migranti. Compaiono cifre che nel 2023 sembrano decisamente anacronistiche. Non vengono però date opinioni o giudizi, ma lasciata allo spettatore ogni conclusione. Questa la vera finalità del progetto: instillare curiosità su un tema molto delicato e sollecitare il pubblico all’informazione da fonti internazionali.

Il film è visibile in selezionate sale in tutta Italia. Le date e i biglietti sono disponibili sulla pagina instagram di Kasia Smutniak, cliccabile qui.

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