Il Consiglio dell’Unione (ambiente) Europeo, a causa delle posizioni contrarie di alcuni Paesi dell’Unione, fra cui l’Italia, il 7 marzo scorso ha rinviato a data da destinarsi il voto definitivo sulla normativa europea secondo cui tutte le nuove auto vendute in Europa, dopo il 2035, dovrebbero essere a zero emissioni di CO2.

La normativa rientra nel più ampio pacchetto Fit for 55 per abbattere del 55% le emissioni gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, che a sua volta fa parte del Green Deal europeo.

Un provvedimento importante nella lotta ai cambiamenti climatici visto che il trasporto privato su strada è responsabile di circa il 12% delle emissioni globali di CO2.

Il documento sospeso era frutto di un compromesso che contemplava  l’urgenza di lottare contro i cambiamenti climatici con un graduale, programmato adeguamento dell’apparato produttivo e logistico alla mobilità elettrica rinnovabile.

Secondo la Commissione e il Parlamento europei, dodici anni sono sufficienti, oltre che necessari, per completare la transizione di uno dei settori industriali più grandi del continente: 2,6 milioni di persone impiegate direttamente (13,8 milioni con l’indotto) e un fatturato pari a  oltre il 7% del PIL dell’UE

La posizione del nostro governo

Non la pensano così i nostri governanti che, con incredibili commenti, hanno voluto intestarsi lo stop del provvedimento.

Quella che si configura come una battaglia di retroguardia, per  Giorgia Meloni diventa «un nostro successo», mentre il ministro Adolfo Urso annuncia trionfante che in questo modo: «Abbiamo svegliato l’Europa».

La diffusione dell’auto elettrica

Confronto efficienza energetica auto a combustione interna verso auto ad energia elettrica rinnovabile

Il mercato dell’auto elettrica BEV è in rapida crescita su scala mondiale: nel 2022 con 10 milioni di auto vendute hanno raggiunto il 13% di quota di mercato (era il 4% nel 2020).

Nello stesso anno la Germania, con 400 mila di auto elettriche BEV immatricolate, ha segnato una quota di mercato del 18% (+32% rispetto all’anno precedente), il Regno Unito, 30 mila BEV vendute, una quota del 17% (+ 40%), la Francia, 190 mila auto vendute, copre il 13% del mercato, per non parlare della Norvegia dove ormai su dieci auto vendute otto sono elettriche.

In Italia nel 2022 sono state immatricolate solo 49 mila BEV pari al 3.7% del mercato (- 27% rispetto all’anno precedente): una performance scarsa e in controtendenza rispetto tutti  agli altri Paesi.

I politici e gli industriali

I nostri politici temono le difficoltà della transizione energetica e l’impatto che questa potrebbe avere sull’industria dell’auto italiana.

Gli industriali invece sentono l’incertezza del momento e guardano nervosamente al futuro, avvertono che il mercato dell’auto è in declino (meno auto private più servizi pubblici e mobilità dolce) e percepiscono il rischio di rimanere ai margini nell’industria mondiale dell’automotive.

Per scongiurare una battaglia di retroguardia del governo interviene  Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, l’associazione italiana che riunisce aziende, università e centri di ricerca attivi sul fronte della mobilità elettrica:

«Ricordo sommessamente che in Italia non produciamo più di 420-450 mila veicoli all’anno (nel 1998 erano 1,4 milioni ndr). Secondo varie stime, già nel 2023 un quarto di questi (ca. 100 mila ndr) saranno elettrici. Operiamo soprattutto nella componentistica: circa il 40% di quello che produciamo va a Stellantis (ex FIAT, ndr.) e il 60% viene esportato, specie in Germania. Stellantis ha annunciato che punta a vendere il 100% di veicoli elettrici in Europa al 2030. La stessa Volkswagen intende elettrificare l’intera linea prima del 2035, così come tanti altri costruttori. In un panorama come questo sarebbe folle non supportare in tempi rapidi la riconversione della filiera italiana: si rischia di arrivare tra qualche anno a produrre componenti che non avranno più mercato. Il costo più alto è quello dell’immobilismo».

Sul  Ilfattoquotidiano.it  Francesco Zirpoli, docente di Economia e Gestione d’impresa dell’Università Ca’ Foscari precisa: «Su circa 2.400 fornitori italiani di componentistica meno di un centinaio sono in grado di produrre esclusivamente per motori endotermici, gli altri 2.300 hanno già le competenze per entrare nella filiera dell’auto elettrica».

Il timore della Cina

Matteo Salvini  la pensa diversamente e interviene affermando che il blocco del 2035 sarebbe un regalo alla Cina. Ma è esattamente l’opposto.

I produttori di auto elettriche cinesi coprono ora circa il 50% del mercato mondiale. Disponendo di una crescente domanda domestica, si stanno affacciando in Europa essenzialmente su segmenti premium in concorrenza con Tesla. Pertanto non c’è, e non ci sarà a breve, un’inondazione di auto cinesi a prezzo medio/basso.

Certo è che se si continua a non affrontare il tema, non si spinge per una produzione in tempi rapidi di auto europee e non si favorisce la costruzione di fabbriche di batterie, l’Italia subirà non solo la concorrenza cinese ma anche quella americana.

Fumo o del parlare d’altro

Purtroppo dal governo arrivano anche altri segnali sconfortanti.

Pur di  evitare scelte coraggiose sul fronte industriale si preferisce buttare “la palla in tribuna” come fa l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti: «Il destino dell’auto non è solo elettrico» e aggiunge: «L’ho detto più volte, io scommetto sull’idrogeno». 

Giorgetti parla di idrogeno ma intende supposte tecnologie alternative che si basano sull’utilizzo di carburanti sintetici (e-fuels) e biocarburanti (bio-fuels).

Il ministro probabilmente non sa che l’auto elettrica rappresenta la migliore soluzione disponibile  semplicemente perché usa meno energia e sfrutta facilmente, senza dispersioni intermedie, quella rinnovabile mentre i sistemi che prevedono l’utilizzo dei carburanti ottenuti combinando idrogeno e anidride carbonica (e-fuels) o l’idrogeno verde, sono decisamente più costosi ed energeticamente meno efficienti.

Secondo Transport & Environment inoltre nel 2035, sulla base dei dati resi noti dalla stessa industria della raffinazione, in Europa la disponibilità di carburanti sintetici sarà nella migliore delle ipotesi talmente limitata da alimentare appena il 2% delle auto in circolazione.

Il costo più alto è l’immobilismo

In realtà il governo Meloni sta perdendo tempo a discutere sul 2035 quando il tema vero è la capacità dell’Italia di competere su una tecnologia dilagante che cambierà la vita dei cittadini.

Lo sconsiderato attacco del governo alla transizione verso l’elettrico segnala in definitiva la sua inadeguatezza ad affrontare la complessità del cambiamento della nostra società e conferma dubbi sulla capacità di favorire:

  • la conversione dei sistemi produttivi, con azioni di formazione del personale tecnico e del management d’impresa
  • l’organizzazione della Supply chain e dei processi di riciclo dei materiali critici per batterie e non solo;
  • l’aumento della produzione di energia elettrica rinnovabile e sostituzione di quella fossile;
  • lo sviluppo in modo diffuso delle infrastrutture di ricarica dei mezzi elettrici;
  • la riduzione dei costi delle auto BEV;
  • la realizzazione di una diversa mobilità urbana che, favorendo il trasporto pubblico e un cambiamento nel comportamento del consumatore, riduca la domanda di trasporto privato.

Stare fermi, ingaggiare guerre di posizione con l’Europa e favorire scelte fuorvianti tengono l’Italia ai margini di un’evoluzione che potrebbe vederla invece protagonista.

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