I manifestanti nelle strade di Mosca nel luglio 2019 volevano solo una cosa: elezioni più eque. Nonostante la loro protesta pacifica, 2.700 attivisti vennero arrestati e centinaia rimasero feriti a causa delle violenze della polizia. Da allora sono passati oltre tre anni e mezzo, ma non molto è cambiato in Russia. E questo è il contesto in cui opera ancora oggi l’avvocata Maria Eismont, 47 anni, protagonista del docufilm “The Case” che questa sera alle 21 inaugura alla Fucina Culturale Machiavelli (via Madonna del Terraglio, 10 a Verona, in zona Santo Stefano-Ponte Pietra) la dodicesima edizione di Mondivisioni, la rassegna di cinema che porta a Verona i documentari di Internazionale e che ha in Heraldo il media partner.

In The Case, la regista Nina Guseva va al cuore del nichilismo legale creato durante il lungo governo di Vladimir Putin. Strutturato attorno alla storia della carismatica avvocata, che difende i giovani arrestati per le numerose proteste contro il deficit democratico sempre più evidente in Russia, la pellicola è un film duro ed essenziale, che beneficia della presenza assidua della sua eroina e quella, più assente (ma giustificata) dell’eroe Konstantin Kotov, un attivista sociale condannato a ben quattro anni di carcere dopo essere stato arrestato durante una manifestazione anti-Putin nel centro di Mosca.

Il film si apre proprio sul fronte della protesta, con la telecamera (gestita a spalla dalla stessa Guseva) che scivola in mezzo alla folla durante una manifestazione dichiarata illegale, proprio mentre la polizia antisommossa con l’elmetto si fa avanti contro persone indifese brandendo lunghi manganelli di gomma: «Siamo disarmati!» cantano i manifestanti, facendo riferimento all’articolo 31 della Costituzione russa che consente specificamente di protestare pacificamente.

Una situazione “kafkiana”

Le autorità affermano che Kotov è stato arrestato in quattro occasioni per lo stesso crimine, il che significa che sta affrontando un’accusa penale, per “recidiva”. Eismont e il suo team lavorano instancabilmente per smentire questa assurda accusa, ma il giudice lo condanna comunque. Ogni appello successivo, in una morsa giudiziaria dal sapore kafkiano, viene respinto.

In un tribunale di Mosca, l’avvocato Eismont – forse tra le ultime figure in Russia inclini all’opposizione e disponibili a testimoniare apertamente che lo spazio per le critiche si sta riducendo sempre più – assiste sbalordita alle accuse rivolte al suo cliente, “reo” di aver diffamato l’esercito russo. Kotov viene a più riprese definito un “bugiardo” e parte di una “setta” anti-russa, nonostante non venga prodotto lo straccio di una prova per affermare ciò.

Il sistema giudiziario del Paese era fortemente contrario ai “critici del Cremlino” ben prima che Mosca inviasse truppe in Ucraina a febbraio 2022, ma quell’equilibrio nell’ultimo anno si è ulteriormente spostato. La maggior parte dei manifestanti che partecipano a proteste di questo tipo in Russia viene portata davanti a un giudice e condannati a una punizione «amministrativa» – di solito una multa o 15 giorni di detenzione. Nel caso di Kotov, però, si è usata in maniera subdola una legge poco utilizzata e introdotta alcuni anni fa, il famigerato articolo 212.1 noto come «articolo di Dadin» (dal nome della prima persona processata secondo quella norma), che aumenta la pena rispetto a quelle previste dal codice penale, rendendole più severe. Il «reato» di Kotov è stato quello di «infrangere ripetutamente la legge» partecipando a numerose proteste antigovernative e pro-democrazia.

Inizialmente detenuto per due notti in una cella della polizia, Kotov viene poi trasferito nella prigione di Matrosskaya Tishina di Mosca per essere tenuto in custodia cautelare per oltre due mesi in attesa del processo. Personaggio silenzioso ma coraggioso, Kotov non ha lasciato che questo “inghippo” ostacolasse il suo tanto atteso matrimonio con la dolce metà. La scena in cui la sposa fa il suo ingresso nel carcere, in completo abito bianco, è uno dei pochi momenti di gioia all’interno di un film per il resto estremamente cupo. Eismont e Kotov, d’altronde, sono personaggi dotati di una bussola morale cristallina: entrambi sono votati alla causa che vuole una Russia in grado di raggiungere, un giorno, libertà democratiche per tutti, e non solo ad appannaggio di una piccola minoranza di oligarchi, vicina ai circoli interni del Cremlino.

Quattro stagioni, una vicenda

Anche se strutturato in base alle stagioni, dalla fine del 2019 fino al primo anno della peste virale globale, è proprio nella seconda parte che The Case entra davvero nel vivo, in quanto la vicenda si trasforma da “semplice” vicenda di un avvocato e il suo cliente che combattono una condanna ingiusta a storia ben più profonda e oscura. Perché emerge, in poche parole, il grado in cui tutto è determinato dai burattinai del sistema gestito da Vladimir Putin. Come spiega la stessa Eismont nei suoi interventi, l’esercizio del governo dell’attuale società russa non è affatto di tipo democratico; semmai, il leader alla guida del Paese viene definito come uno ‘zar’, anche per il suo anomalo lungo periodo di permanenza al governo della Federazione Russa, che dura di fatto dal 1999. Un termine forte per indicare lo status quo, in cui viene messa in atto una gestione esercitata con il pugno di ferro, ovviamente giustificata in nome del bene e del progresso di tutta la collettività.

Durante una recente visita alla prigione di Butyrka a Mosca per incontrare l’esponente dell’opposizione Ilya Yashin – detenuto a giugno per aver osato criticare l’offensiva in Ucraina – Eismont ha parlato di come il conflitto con l’Ucraina  abbia colpito nel segno. «Le nostre vite sono state completamente capovolte», ha spiegato. «Questa terribile guerra è in corso e noi piangiamo. Siamo demoralizzati. Vediamo questa tragedia consumarsi ogni giorno… eppure il sistema rimane lo stesso. Dimostrare che una persona in Russia è innocente è stato impossibile per molto tempo», ha poi aggiunto.

La regista e il diplomatico

Nina Guseva

La sua storia è stata coraggiosamente raccontata dall’attrice e regista Nina Guseva, nata a Mosca nel 1988. Guseva si è diplomata alla Moscow Art Theatre School nel 2011 con lode (specialità attrice) e poi è entrata a far parte della compagnia del Moscow Art Theatre e da allora ha lavorato lì e recitato in produzioni cinematografiche. È entrata alla School of Documentary Film di Marina Razbezhkina nel 2018. Guseva ha pubblicato il suo primo documentario Rosa nel 2019, mentre The Case è stato presentato in anteprima all’IDFA film festival nel 2021.

Al termine della proiezione si terrà l’approfondimento, a cura di Heraldo, insieme a Lelio Crivellaro, diplomatico del Ministero degli Affari Esteri. Crivellaro vanta una lunga carriera con incarichi di prestigio in una decina di sedi internazionali, tra cui la Turchia, il Marocco, l’Egitto e l’Arabia Saudita, oltre a Germania e India. Al Ministero si è occupato di italiani all’estero, di Africa sub-sahariana e di Stati Uniti.  

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