L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’UNHCR, ha riferito dell’arrivo di circa 1.200 persone tra l’1 e il 2 marzo sulle isole greche dell’Egeo orientale. Si tratta di un aumento superiore al limite consentito negli accampamenti, che ha generato una serie di violenti scontri tra gruppi di migranti e polizia greca. Una situazione del tutto analoga a quanto sta accadendo in altre zone del Paese ellenico, come al confine con la Turchia. Dopo aver descritto l’impegno di One Bridge to Idomeni nell’articolo di Elena Guerra) raccontiamo di un’altra realtà, che proprio l’associazione veronese supporta. Si tratta dell’italiana La luna di Vasilika – Onlus, che da quattro anni fornisce assistenza medica e organizza lezioni e attività ludico-ricreative per le donne e i bambini che vivono nel campo rifugiati di Diavata, vicino Salonicco. Ne parliamo con Nathalie Bini, giovane dottoressa bresciana, fondatrice della onlus.

Bini, qual è la situazione nel campo in questi giorni?
«Hanno aperto un piccolo ambulatorio per fornire assistenza medica alle più di mille persone che ci sono nel campo, ma è una soluzione molto sommaria: ai rifugiati vengono date le solite prescrizioni mediche di sciroppi anche se non ne hanno bisogno, e non servono, però non vengono forniti gratuitamente i farmaci prescritti, necessari e i migranti non hanno i soldi per procurarseli.»

Grazie alla Caritas e a piccole associazioni come La luna di Vasilika molti rifugiati ricevono assistenza e calore umano…
«Le nostre spese più grandi sono proprio queste: farmaci e beni di prima necessità quali latte in polvere, assorbenti e occhiali da vista. Tutto quello che facciamo è possibile grazie alle donazioni di privati. Non siamo partner del governo, ma semplicemente un gruppo di persone che cerca di fare qualcosa. I nostri medici e infermieri girano tutti i giorni nei vari accampamenti  raccogliendo le necessità e intervenendo laddove è necessario, anche solo per le medicazioni di ferite.»

Da dove nasce il nome “La luna di Vasilika”?
«Fa riferimento al luogo in cui abbiamo iniziato la nostra attività: Vasilika, dove vi era un campo, ora chiuso. Lì, oltre al materiale sanitario, distribuivamo anche capi di abbigliamento perché non vi era nessun servizio che coprisse questa necessità. A Diavata, dove operiamo attualmente, la Caritas, assieme ad altre associazioni, si occupa di questi fabbisogni. Per questo motivo abbiamo deciso di concentrarci sull’ambito sanitario ed educativo fornendo assistenza medica e offrendo lezioni di inglese, geografia, matematica ai bambini e adolescenti.»

Come nasce la vostra associazione?
«Il progetto è iniziato come un qualcosa di molto semplice. Ero partita come volontaria con un’associazione di ostetriche che opera soprattutto in Africa, ma che aveva avviato un progetto in Grecia in seguito alla situazione che si era creata dopo Idomeni. In quel periodo avevano bisogno di personale medico generico e io avevo appena finito di studiare medicina, perciò ho deciso di partire con loro. Il progetto poi è stato abbandonato perché non riuscivano a giustificare una missione sul posto, dal momento che non c’era una grande necessità di ostetriche. Quando sono tornata in Italia volevo continuare a darmi da fare. Inizialmente ho organizzato piccole raccolte fondi, poi ho deciso di fondare La Luna di Vasilika insieme a due ragazze italiane che avevo conosciuto in Grecia.»

Da chi è composto il vostro gruppo?
«Attualmente gestisco l’associazione da Torino, dove vivo e mi occupo della partenza dei volontari e di tutto ciò che riguarda la raccolta fondi. A Diavata, invece, ci sono il nostro coordinatore Maurizio – un ex fotoreporter che aveva seguito la rotta balcanica e ha deciso di fermarsi in Grecia per aiutare localmente – e Lorenzo, che un anno e mezzo fa ha deciso di vivere stabilmente in Grecia per affiancare il nostro coordinatore locale e imparare la gestione di situazioni di questo tipo. Piano piano siamo diventati sempre di più: dieci o dodici volontari durante l’anno e d’estate raggiungiamo anche i diciotto membri.»

Dove operate ora?
«La nostra base è vicino al campo di Diavata, a nord-ovest di Salonicco, dove abbiamo affittato uno spazio successivamente sistemato e in cui abbiamo allestito un’aula molto ampia per tenere regolarmente le nostre lezioni. A giorni alterni, a seconda delle necessità, lavoriamo in altri campi e hotspot e tutti i mercoledì, su invito dell’UNHCR, andiamo a dare una mano in un centro che ospita minori.»

Quante sono le persone assistite? 
«È molto difficile dare delle cifre perché un numero molto elevato di assistiti non è registrato e gli stessi rifugiati non vogliono essere identificati per la paura di dover rimanere in Grecia e di non poter arrivare in altri Paesi europei, e in parte perché c’è un flusso continuo di persone e famiglie. Ci sono tantissimi bambini.»

Qual è il numero di minori presenti nel campo?
«Nel campo di Diavata delle 1.200 persone ci sono circa 400 minori. La maggior parte di loro arriva con le proprie famiglie, ma ci sono anche alcuni minori non accompagnati.»

Qual è la situazione attuale nel vostro campo?
«A Salonicco la situazione è piuttosto tranquilla, la popolazione greca non è numerosa e non c’è una situazione di alta densità come si verifica nelle isole. A volte, quando andiamo a fare la spesa e i greci ci chiedono dove lavoriamo, ci danno una mano. Da quando alle elezioni ha vinto la Destra, però, si avverte nell’aria una grande tensione e sono state disposte misure restrittive. Anche perché i greci non sanno più cosa fare, sono in difficoltà anche loro e ne nasce una sorta di “guerra tra poveri”.»

Qual è l’atteggiamento delle forze dell’ordine nei vostri confronti? 
«Ultimamente la polizia è molto più presente all’interno del campo ed è più severa. Nel campo di Diavata si erano sviluppati dei piccoli scambi in forma di baratto di viveri, ma di recente la polizia ha vietato queste attività per cercare di tenere tutto sotto controllo.»

Un articolo della “Repubblica” del 2018 riporta «Grecia, autolesionismo e suicidio: a Lesbo, l’isola dove i bambini rifugiati vogliono morire». Come descriveresti la condizione psicologica dei minori che assistite?
«La situazione in Grecia sta cambiando: prima i minori non accompagnati venivano ospitati in strutture apposite. Molti alberghi abbandonati dai turisti venivano trasformati in luoghi di accoglienza, ma da quando la Destra è andata al governo, si sta cercando sempre di più di chiudere questi luoghi dato che costano molto allo Stato greco in termini di mantenimento e personale. Anche nei nostri bambini e adolescenti abbiamo visto delle situazioni di malcontento. Gli adolescenti sono tutti molto depressi, dicono spesso “Io non farò niente nella vita. Voglio tornare a casa. Cosa ne sarà di me?”. Dal punto di vista medico, invece, sono denutriti, sottopeso, più bassi di quello che dovrebbero essere. Ci sono dei rifugiati che provano ad avere delle alternative. Per esempio, c’era una ragazzina che aveva aperto un blog in cui raccontava quello che aveva vissuto. A un certo punto ha smesso perché i suoi lettori, ponendole un sacco di domande, la mettevano in crisi, facendola stare troppo male imponendole di ricordare quello che le era successo. Questi sono bambini straordinari perché riescono ad avere ancora sorrisi e a partecipare attivamente durante le attività che proponi loro, ma poi pronunciano parole che ti fanno capire che sono persone che rimarranno segnate a vita da questa situazione, anche se un giorno verranno assegnate in un altro Paese in un’altra condizione di vita. D’altronde, non c’è alcun tipo di assistenza psicologica. Il governo greco deve attivarsi nei campi solo in casi estremi, come per esempio gli incidenti. Non può e non riesce a farsi carico di tutto come per esempio mettere a disposizione spazi con psicologi che parlano greco con delle persone che parlano a malapena l’inglese. È una situazione di crisi umanitaria non facilmente gestibile, in cui il governo greco si impegna per mettere delle tende e dare più o meno da mangiare ai rifugiati. E già questo è complicato.» 

Come si può far fronte a questa situazione? 
«A Diavata offriamo in modo continuativo lezioni di inglese, scienze, matematica e geografia a seconda della ricezione dei bambini. È necessario considerare che i nostri bambini non sono più abituati a prestare attenzione durante una lezione per più di un quarto d’ora, quindi è molto difficile immaginare di fare una scuola come noi la percepiamo in Italia. Organizziamo, parallelamente alle lezioni, anche delle attività ludico-ricreative per le donne, i bambini, ma soprattutto per gli adolescenti, che sono una fascia molto a rischio.»

Come possono sostenervi i cittadini privati?
«A Verona collabora con noi, da circa sei mesi, l’associazione One Bridge to Idomeni, che ricerca volontari che vogliano darci una mano. Non raccogliamo materiale dall’Italia perché conservarlo comporta una grande responsabilità: non si sa mai cosa può succedere e potremmo spostarci in un’altra zona a seconda delle necessità, per cui spostare anche del materiale è faticoso e non ha senso. Ci piace, inoltre, aiutare l’economia greca comprando in loco ciò che occorre, per esempio pannolini, farmaci e latte in polvere, che è anche più economico. Per sostenerci organizziamo regolarmente raccolte fondi in Italia. Le persone, poi, possono aiutarci attraverso bonifici e paypal, di cui si trovano le coordinate sulla nostra pagina Facebook.» 

Quali sono i profili di volontari che cercate?
«Per candidarsi, chiediamo di inviarci una mail con una breve presentazione e il proprio CV al nostro indirizzo lalunadivasilika@gmail.com. Siamo sempre alla ricerca di personale sanitario per il quale non poniamo alcun limite di giorni perché sappiamo bene come funzionano i turni e i permessi in ospedale. Per il volontario generico invece, la permanenza minima è di quindici giorni durante l’anno e almeno venti giorni durante l’estate per due motivi ben precisi: da una parte serve al volontario per ambientarsi e comprendere la situazione e dall’altra ci permette di dare continuità ai progetti facilitandone l’organizzazione. In partenza eravamo una onlus molto piccola e accettavamo tutti quelli che volevano darci una mano anche per periodi molto brevi, ma adesso che ci stiamo evolvendo, vogliamo migliorare la qualità di ciò che offriamo ai nostri assistiti. Rispetto a chi lavora, gli studenti hanno chiaramente una maggior libertà di prendersi anche tre settimane, ma cerchiamo a ogni modo delle persone che abbiano una grande sensibilità e consapevolezza di quella che è la situazione nei campi. Per questioni organizzative non accettiamo minorenni né gruppi scout perché sono troppo numerosi per le nostre capacità di gestione al momento. Da un anno abbiamo delle convenzioni con diverse università italiane. Per questo motivo abbiamo molti studenti in Erasmus o in tirocinio che riescono a fermarsi per mesi. Studiano materie inerenti a questo campo, come  psicologia o relazioni internazionali, ma non solo: tempo fa sono venute a darci una mano due studentesse dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, che sono rimaste tre mesi con noi, riuscendo quindi a realizzare diversi laboratori con donne e adolescenti in cui avevano la possibilità di esprimere il dolore, la mancanza di casa e le situazioni vissute realizzando piccole opere d’arte con la creta.» 

Quali sono i vostri progetti per il futuro?
«Con Lorenzo vorremmo aprire una seconda missione, un secondo campo, perché abbiamo molte richieste di volontari e vogliamo sfruttare questo nostro potenziale per poter aiutare più persone possibili.»

Che ruolo pensate abbiano i governi nel contesto più recente?
«Il ruolo della politica è fondamentale, i governi dovrebbero gestire la situazione che porta queste persone a doversi allontanare dai propri Paesi di origine. Non si può pensare di sistemare le cose una volta che i migranti partono. È chiaramente più difficile. Dovrebbero gestire la situazione direttamente in Siria ma non c’è nessuna volontà di farlo.»