Dopo l’appuntamento di questa mattina in Sala Maffeiana, al Teatro Filarmonico, con il concerto dell’Orchestra Machiavelli diretto da Pietro Battistoni e il soprano Eva Dworschak dedicato alle musiche composte esattamente 250 anni fa, nel 1770, dall’allora quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart, nel pomeriggio al Teatro Fucina Machiavelli (ex Centro Mazziano in via Madonna del Terraglio, 6 – zona Ponte Pietra) andrà invece in scena “La Sirenetta” di Caesura Teatro, in collaborazione con la stessa Fucina Culturale Machiavelli.

Un appuntamento, questo, dedicato ai più piccoli, ma che rappresenta anche una bella occasione per i “grandi” di approfondire un classico di Andersen senza età. Insomma, la startup culturale nata nel 2015 su iniziativa di quattro giovani artisti veronesi, continua a inventare, produrre e proporre senza sosta alla città la sua particolare idea di arte.

L’associazione culturale, d’altronde, fin dal nome rivela la sua mission: una Fucina per questo continuo ribollire di idee e ispirazioni, e Machiavelli per quell’antico gioco di carte che oltre al concetto di azzardo e rischio (proprio di chi si butta in questo tipo di attività, non sempre remunerative), si fonda sull’interazione dei quattro semi (cuori, quadri, fiori, picche), che rappresentano idealmente i quattro pilastri su cui è imperniata l’attività dell’associazione, ovvero il teatro, la musica, la formazione e le arti visive. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti in questa giovane realtà scaligera, che ha avuto anche il merito di rivalutare uno storico spazio come il Centro Mazziano, quel luogo quasi mitologico che ha formato fior fiore di appassionati di cinema nel corso dei decenni e che purtroppo da qualche tempo era uscito dai circuiti culturali cittadini. Ne parliamo con la direttrice artistica della parte teatrale della Fucina Culturale Macchiavelli Sara Meneghetti.

Sara Meneghetti

Meneghetti, com’è nata quest’idea?

«Tutto è nato da persone che hanno dedicato gli anni della formazione e dello studio all’arte. Chi alla musica, come Stefano Soardo, direttore artistico della sezione musicale di Fucina Machiavelli, e chi al teatro come me. Personalmente ho studiato lettere a Verona e poi mi sono spostata a Milano, alla Scuola Civica Paolo Grassi, forse il più importante corso di drammaturgia in Italia. Nel 2014 ci siamo tutti diplomati, ma con un grande punto interrogativo su cosa fare del nostro futuro. Annunci di lavoro per drammaturghi, ad esempio, non se ne trovano e anche per le orchestre, quelle poche volte che aprono le audizioni, arrivano musicisti da tutto il mondo per partecipare e diventa molto difficile riuscire ad entrarvi.»

Eravate consapevoli delle difficoltà che avreste incontrato una volta finiti gli studi?

«Quando sei giovane e sognatore pensi che se devi dedicare gran parte del tempo a qualcosa sia meglio scegliere quello che ti appassiona di più. Finiti gli studi, ci siamo sposati e abbiamo cercato lavori che ci permettessero di creare una casa e pagare le bollette. Io sono entrata in un ufficio marketing di un’azienda, mentre Stefano è diventato agente venditore, In realtà non volevamo far morire questa parte artistica, per noi molto importante. Abbiamo così deciso di provare a creare qualcosa di nostro.»

È così è nata la “Fucina”…

«Si. All’inizio dovevamo collaborare con un altro spazio teatrale che, casualmente, ha aperto a Verona nello stesso 2015, ma all’ultimo ci è stato detto che non se ne sarebbe fatto più nulla, avendo loro scelto altre strade. A quel punto ci è stato suggerito lo spazio del Centro Mazziano, in disuso da anni. Abbiamo incontrato l’allora responsabile della Congregazione Don Mazza, proprietaria dello stabile e delle scuole. Abbiamo trovato subito grande disponibilità e desiderio di collaborare. Ci è stato accordato un affitto calmierato, mentre noi ci siamo occupati interamente della ristrutturazione e sistemazione del cinema, adattandolo alle nuove esigenze teatrali e musicali. Si tratta di uno spazio molto amato dai veronesi e ancora oggi a volte chi viene ai nostri spettacoli ci ricorda di quando, tempo fa, veniva per frequentare il celebre cineforum. All’inizio abbiamo lavorato gratuitamente, destinando tutto ciò che, tolte le spese, entrava per la retribuzione degli artisti, tutti professionisti, il che è sempre stato uno dei cardini del nostro progetto. Per fortuna nel tempo siamo cresciuti e io nel 2018 mi sono potuta permettere di licenziarmi dal precedente lavoro, mentre ora, dopo altri due anni, abbiamo finalmente potuto assumere due persone, due ragazze, di cui una è tirocinante. Per noi si tratta di una grande conquista.»

La città come ha reagito a questa vostra iniziativa?

«È stata un po’ un’onda. I primi anni per la città era una “cosa” un po’ nuova, perché a livello teatrale, a parte il Teatro Scientifico, non c’era nessuno che portasse teatro cosiddetto “off”: professionale, indipendente, con drammaturgia contemporanea, con testi fruibili e scritti con il linguaggio di oggi. La risposta della città ci ha permesso di arrivare fino al quinto anno, anche grazie a una serie di reti, sponsor, fondazioni che ci stanno danno una grossa mano. Le prime due fondazioni che ci hanno aiutato inizialmente sono state Fondazione Zanotto e Fondazione Cattolica, arrivate a colmare gli inevitabili buchi delle prime due stagioni. Eravamo dei ventenni con un’idea e una convinzione precisa e abbiamo dimostrato di poter portare avanti i nostri progetti con concretezza. Li abbiamo stupiti. Raggiunti i due anni di vita abbiamo a quel punto potuto accedere ai bandi culturali di Fondazione Cariverona, che oggi ci permettono di proseguire nella nostra attività.»

A dicembre 2015 si è svolta la serata inaugurale.

«Abbiamo iniziato con un concerto dell’Orchestra Machiavelli, che si è costituita quello stesso anno con musicisti italiani, europei e del resto del mondo, diretta da Stefano Soardo e da Rebecca Saggin. Ricordo che fu una bellissima emozione.»

Per la parte teatrale, portate qui a Verona produzioni teatrali off, ma producete anche spettacoli vostri. Quali ad esempio?

«Ce ne sono stati diversi. Fra questi ricorderei “Serata ingiusta”, uno spettacolo che ha visto tre attori portare in scena tre monologhi in tre lingue diverse: italiano, rumeno e catalano. L’idea era quella di rappresentare un’udienza di un tribunale, in cui il pubblico era la corte che poteva decidere l’innocenza o la colpevolezza dei tre imputati. Purtroppo non sempre le energie che abbiamo ci permettono di far circuitare le nostre produzioni, che magari all’epoca debuttavano e poi morivano. Oggi siamo più strutturati e stiamo lavorando meglio anche su quest’aspetto. Un’altra produzione che mi piace ricordare è “Cecità”, tratta dal romanzo di José Saramago, portato a Forte Sofia. Avevo selezionato la parte della storia in cui la popolazione viene rinchiusa nel manicomio per arginare l’epidemia. Qui si arriva all’abbrutimento del genere umano. Abbiamo cercato di ricreare quella situazione, in uno scenario naturale che ci ha aiutato non poco, bendando venticinque spettatori alla volta e ricreando grazie ad attori professionisti le situazioni descritte nel libro del Nobel portoghese. Alla fine dello spettacolo gli spettatori venivano sbendati e fatti salire sulla terrazza del Forte Sofia da dove è possibile ammirare una liberatoria vista su Verona. È uno spettacolo che ci ha sempre dato delle soddisfazioni a livello di pubblico e sono in molti a richiedercelo ancora. Ci piacerebbe rifarlo, in futuro, ma vedremo.»

Cosa significa per una città come Verona poter vivere questo tipo di esperienze che voi proponete?

«Il nuovo da una parte attrae e dall’altra spaventa. Ci sono entrambi questi sentimenti nei veronesi. All’inizio la ventata di novità ha portato tantissimi spettatori ad avvicinarsi a noi, ma nel tempo c’è stato anche un fisiologico calo delle presenze. Adesso per noi è arrivato il momento di cominciare a lavorare bene sulla comunicazione di quello che stiamo proponendo alla città. Non vogliamo essere solo un cartellone di spettacoli, ma vogliamo proporre un percorso, un’idea, spaziando fra le varie discipline e unire teatro, figura, danza, musica, monologhi e via dicendo in un discorso più ampio, che va oltre il singolo spettacolo. Questo modo di operare ci ha aiutato nel costruire un rapporto con la città.»

Avete in quest’ottica dovuto rinunciare a qualche rappresentazione?

«Ci sono spettacoli che ho nel cuore e che vorrei portare presto a Verona, ma aspetto perché penso che, in qualche caso, sia ancora troppo presto. Temo che la città ancora non sia pronta per un certo tipo di idee e rappresentazioni. Secondo me c’è ancora bisogno di un po’ di formazione. E poi noi vorremmo portare a teatro chi magari di solito a teatro non ci va. Una volta che le persone iniziano a capire che il teatro può parlare una lingua diversa, fresca, quotidiana se ne interessano certamente di più.»

Rispetto al percorso che avete in testa, dove si colloca oggi Fucina Culturale Machiavelli?

«Siamo cresciuti nel corso del tempo. Stiamo proseguendo con il nostro progetto di dare spazio alle compagnie veronesi e a quelle giovani che girano un po’ nel nord Italia e, in qualche caso, che si stanno affacciando alla scena. Accanto a ciò, però, siamo riusciti a portare una serie di nomi del teatro off che per me sono delle vere e proprie star, ma che magari a Verona non sono molto conosciute. Esempio tipico è Andrea Cosentino, genio assoluto, che però ancora non riesce a fare il pienone ed è un peccato, perché i suoi spettacoli sono davvero eccezionali. Un altro è Marco Balliani, che a Verona in pochi conoscono. A livello teatrale un po’ è vero quello che scrisse il grande bardo Shakespeare, che per i veronesi “non c’è mondo fuori dalle mura di Verona”.»

Siamo a febbraio e metà cartellone se n’è già andato. Parliamo dell’altra metà?

«Dal 10 al 12 febbraio arriva il Teatro del Lemming che porta il loro storico spettacolo “Edipo – Tragedia dei sensi per uno spettatore”, ovviamente ispirato a Sofocle. Si tratta di una messa in scena a cui assiste uno spettatore per volta, che riscuote sempre un grande apprezzamento. Poi ancora il Lemming porta il “Giulietta e Romeo”, il 15 febbraio, in una versione un po’ particolare e con riferimenti interessanti al “mondo liquido” di Zygmunt Bauman. A grande richiesta, poi, torna anche il Teatro Clandestino. Qui il pubblico deve avere fiducia della direzione artistica e degli spettatori, che in un esperimento partito quest’anno ci hanno dato una mano a selezionare gli spettacoli: in poche parole si acquista il biglietto, si conosce la data dello spettacolo (28 febbraio) e il giorno stesso si ricevono le indicazioni sulla location, l’ora, ecc. Uno spettacolo “a scatola chiusa”, insomma, ma che ha sempre riscontrato grande successo. Poi il 7 marzo arriva “Peppa Pig prende coscienza di essere un suino” con Davide Carnevali che porta in scena uno spettacolo di drammaturgia molto interessante che, a dispetto del nome, non è dedicato ai bambini. Poi il 20 marzo ci sarà Marco Balliani con il suo storico spettacolo “Kohlhaas”, che gira da anni e anni ma, non era mai arrivato a Verona. Infine due collaborazioni con “Are we human” con un progetto di Fanny&Alexander su Primo Levi (“I Sommersi e i salvati”, il 23 aprile) e un altro di Ateliersi Teatro dal titolo “Cos’è un GAP?” incentrato sulla conoscenza, in programma l’8 maggio. In programma, infine, c’è una grossa produzione teatrale a cui stiamo lavorando, ma al momento non posso ancora dire nulla. La ufficializzeremo il prossimo mese.»

Visto il luogo che utilizzate avete mai pensato di rinverdire i fasti del cinema che fu?

«Si. Già quest’anno abbiamo ridotato lo spazio di telo e proiettore. Ogni volta che abbiamo qualche fondo a disposizione lo investiamo sulle nostre dotazioni tecniche. Siamo ancora in una fase iniziale, con una rassegna molto piccolina di quattro appuntamenti, che abbiamo organizzato insieme a Are We Human, al Circolo del Cinema e Bridge Film Festival, per trovare insieme a loro un fil rouge da proporre al pubblico.  Dopo i primi due, abbiamo altri due appuntamenti in programma: il 21 febbraio con “La scomparsa di mia madre” e il 13 marzo, con “Theatron. Romeo Castellucci”.

Tralasciando per il momento il cartellone musicale, c’è anche la sezione dedicata ai bambini da citare…

«Per i bambini debutta oggi “La Sirenetta”, di cui abbiamo curato la parte musicale grazie ad un bando che ci ha permesso di scovare un compositore iraniano qui a Verona, autore della colonna sonora dello spettacolo. Il 16 febbraio arriva “Nido” del Teatro Telaio e infine a marzo ci sarà un’altra nostra produzione con il “Il Carnevale degli Animali” tratto da Saint-Saëns.»

Una stagione corposa. Sei mesi abbondanti di teatro ed eventi mensili, a volte anche con due o tre appuntamenti nel corso di un mese, in cui si propone alla città qualcosa di diverso. Ne è valsa la pena?

«Si, anche se lo è di più quando hai una bella sala piena. Il nostro, però, è un duplice obiettivo, che si rivolge sicuramente al pubblico, ma anche agli artisti. A volte, non lo nego, ci sono momenti di difficoltà. Il nostro è un ambiente tosto, non sempre facile da scardinare. Ma il bello è che ogni anno arrivano a scoprire la Fucina Culturale Machiavelli persone che non ci conoscevano e noi crediamo nella moltiplicazione del pubblico, perché c’è sempre qualcuno di nuovo da coinvolgere. La soddisfazione degli applausi che ci arrivano è enorme, ma la nostra crescita non può essere solo nel pubblico. Con poco, fino ad ora, abbiamo già fatto molto. Abbiamo creato lavoro e in generale penso che una piccola differenza per questo territorio la stiamo facendo. E ne siamo orgogliosi.»