Tra le varie forme di violenza sulle donne, l’aggressione con acido è forse quella numericamente meno frequente (anche se i dati Istat ci dicono che nel 2021 c’è stato un aumento del 35%). L’ultimo episodio è avvenuto a Perugia, a marzo di quest’anno, ai danni di una donna Ucraina.

A novembre 2021, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, nella Galleria degli Uffizi di Firenze, c’è stata un’interessante mostra fotografica dal titolo Lo sfregio. L’artista Ilaria Sagaria ha esposto delle foto artistiche di donne dal volto coperto, attorno al busto scultoreo di Costanza Piccolomini Bonarelli.

Mostra “Lo sfregio” di Ilaria Sagaria. Foto dell’ufficio stampa della Galleria degli Uffizi Firenze

Il busto fu scolpito nel marmo da Bernini, i per omaggiare l’amata, poi deturpata al volto proprio dallo stesso artista. Come a dire che nella storia molto spesso le violenze si ripetono, se non vengono identificate o peggio, se vengono costantemente giustificate. Come nel caso di Bernini, che ferì al volto Costanza, ma nessuno disse niente perché in fondo si sa che gli artisti hanno caratteri esuberanti e il suo gesto fu mosso da un attacco di gelosia.

Gli effetti dell’aggressione con l’acido sono terribili sia sul piano fisico che psicologico. Le donne sfregiate in volto infatti, sono costrette a subire innumerevoli operazioni chirurgiche al volto. Le ustioni sono dolorose, le cicatrici cambiano i lineamenti in modo drammatico e le operazioni chirurgiche sono complicate.

Sul piano psicologico le conseguenze sono altrettanto feroci: la donna non si riconosce più. Il suo volto, l’essenza della nostra identità personale, attraverso il quale ci riconosciamo e veniamo riconosciuti, non esiste più. Al suo posto c’è una maschera segnata da cicatrici spesse, gli occhi assumono lineamenti non naturali, la bocca spesso si stira in un smorfia di dolore permanente.

Non è infrequente sentire che le vittime di aggressioni con l’acido, si definiscono delle “morte che respirano ancora”.

Particolare della mostra Mostra “Lo sfregio” di Ilaria Sagaria. Foto dell’ufficio stampa della Galleria degli Uffizi Firenze

Ovviamente sul piano relazionale e sociale, la ripresa di una vita cosiddetta normale da parte di chi si ritrova con il volto deturpato, non è affatto semplice. Oltre all’imbarazzo personale, c’è la reazione turbata di chi guarda.

C’è chi cerca di portare questo tema e le sue complesse conseguenze, nel dibattito pubblico. L’8 febbraio per esempio, c’è stata l’audizione presso la Camera dei Deputati, della dottoressa, Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istituto Nazionale di Ricerca. C’è stata infatti la proposta di istituire dei benefìci fiscali a favore delle aziende che assumono donne vittime di violenza di genere, così come già previsto per gli orfani delle vittime di femminicidio.

Anche il Comune di Verona il 5 maggio, tramite un comunicato stampa, ha reso noto di aver avviato l’iter per chiedere al Parlamento di modificare la legge 68 del 1999, dedicata alle “Norme per il diritto al lavoro dei disabili“, per far inserire tra le categorie protette anche le vittime di aggressione con l’acido.

Abbiamo intervistato l’avvocato Francesca Briani, assessore alle Pari opportunità, Cultura, Turismo e Politiche Giovanili del Comune di Verona.

Assessore Briani, come è nata l’idea di questa proposta?

Francesca Briani. Foto ufficiale

«Il Comune di Verona è da sempre impegnato nei servizi di contrasto e prevenzione della violenza contro le donne. Abbiamo molti servizi pubblici ormai storici: dalle case rifugio, ai centri antiviolenza, al percorso per uomini maltrattanti. Inoltre è ormai collaudata la collaborazione con scuole, istituti sanitari e organi della polizia.

Volevamo comunque avviare un’azione concreta, occupandoci di un reato di violenza forse poco frequente ma davvero drammatico: lo sfregio con acido.

L’introduzione di questo reato nel Codice rosso, è un gran passo in avanti. Tuttavia, il rientro nella società di chi è stata vittima di aggressione, non è ancora seguito nè agevolato.

Grazie alla consigliera comunale Paola Bressan, abbiamo incontrato e ascoltato la storia di Barbara Bartolotti.

Barbara nel 2003 è stata quasi uccisa da un collega di lavoro. Sposata, mamma di due bimbi, in attesa del terzo, era impiegata in una azienda edile. Un giorno, un collega che lavorava con lei, le chiese un incontro e a tradimento, la portò in un luogo sconosciuto. La colpì con martello e coltello, per poi darle fuoco. L’uomo venne condannato a 21 anni ma grazie a sconti di pena e indulto, ha fatto solo pochissimi giorni di carcere. Oggi lui ha un normale lavoro da impiegato, mentre Barbara, dopo aver perso il bambino che aveva in grembo, non ha più trovato un’occupazione.

Ecco la vera sconfitta per noi, di questi episodi terribili. La vittima paga le conseguenze di quell’atto subito, per il resto della sua vita.

Ora io sono al termine del mio mandato. Ma so che la strada che abbiamo tracciato è buona e di gran valore. Mi auguro che chi la continuerà, abbia a cuore questa proposta e ne monitori a l’iter legislativo, visto che comunque in consiglio è arrivata come iniziativa bipartisan e votata all’unanimità».

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