Un dibattito molto documentato quello dell’incontro “Tra un traforo e l’altro. Opinioni a confronto sulla mobilità veronese” svoltosi online martedì 22 febbraio e organizzato dall’associazione La città che sale. Protagonisti dell’evento Luciano Butti, docente di Diritto ambientale internazionale presso l’Unipd, Giorgio Massignan, Responsabile dell’Osservatorio Verona Polis, Giulio Saturni, urbanista e Giorgio Zanoni, già direttore dell’Area lavori pubblici del Comune di Verona. A condurrei lavori Alberto Battaggia, presidente de La città che sale.

Battaggia, dopo aver mostrato i tre progetti abortiti del traforo dell’era Tosi, segnala che nel Pums è ricomparsa l’idea di un traforo, anche se corto. Quindi, la domanda rivolta a tutti i relatori: quello dell’attraversamento rapido della città a nord è davvero una questione ineludibile?

Secondo Luciano Butti, un quartiere da “liberare” è Veronetta, che ha necessità di alleggerire il traffico: è evidente, ad esempio, come la passeggiata verso Veronetta da Ponte Pietra sia impraticabile per tutti, turisti, ciclisti, cittadini e che così il quartiere, oltre ad estraniarsi dalla vita cittadina, perde molte possibili risorse. L’idea per il rilancio sarebbe il modello Friburgo, ovvero con zone a 20km/h e a 30km/h per mettere insieme auto (residenti) e altri mezzi sostenibili; in questo contesto potrebbe risultare allora utile un traforo, corto e da finanziare col pedaggio, per dirottare il traffico prettamente urbano. Di fatto, afferma il professore, Verona con il suo immobilismo politico ha scelto di non diventare una città sostenibile sul modello delle città del nord Europa né di dotarsi di un sistema di mobilità di massa comparabile con le altre città del nord Italia. Ora la questione torna in capo alla politica, che se vuole realizzare il filobus deve farlo adesso per non perdere le risorse messe a disposizione dallo Stato.

Uno dei progetti proposti

Giorgio Massignan è contrario all’idea che il traforo sia, come la mediana, la panacea di tutti i mali e che singole grandi opere possano essere risolutive. Il traforo, per esempio, lungo o corto che sia, chiuderebbe in un anello la città, con effetti negativi notevoli in termini di impatto ambientale che di inquinamento. Sono arrivate anche critiche al PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile): Massignan, infatti, sottolinea che la riproposizione del traforo pare legata a motivi elettorali e che la previsione di riduzione dell’inquinamento nel 2030 è comunque la metà di quanto chiesto dall’Europa.

Secondo Giorgio Zanoni, il traforo – magari lungo, che superi la città – deve essere un progetto che va oltre la singola amministrazione, perché coinvolge tutti i cittadini ed è un progetto di lunga durata di realizzazione; i capitali necessari, da ricercare dai privati, non possono essere separati da un ritorno economico per gli investitori e, in questo, il Comune svolge un essenziale ruolo di mediazione di interessi tra il pubblico e privato. Riprendendo la vicenda del primo traforo Tosi, Zanoni sottolinea la necessità di competenze precise e di qualità all’interno dell’amministrazione nel redigere il piano: tra l’agosto 2011 e il novembre 2011 la crisi finanziaria colpi l’Italia e l’Europa, cadde il governo Berlusconi e il piano economico-finanziario non era più sostenibile per il mutare delle condizioni generali; l’ANAC bocciò tutte le proposte di variazione perché il progetto, già in partenza, avrebbe dovuto prevedere uno scenario economico mutevole. Giudizio negativo sul filobus, in quanto non compatibile con un “trasporto rapido di massa”.

Il piano Marconi in una slide dell’urbanista Saturni

L’urbanista Giulio Saturni parte da una domanda: Verona ha bisogno di un anello circonvallatorio? Osservando molte città comparabili a Verona, l’esempio da seguire sarebbe Brescia che ha sviluppato una tangenziale a tre corsie e un collegamento metropolitano nord-sud senza intervenire sulle colline; lo stesso è accaduto a Bergamo e, fuori dall’Italia, a Salisburgo e Pamplona. Verona, invece, sembra da anni aver rinunciato a pianificare lo sviluppo urbano, già subito dopo il non concretizzato piano Marconi (degli anni ’70).

Per Saturni, il progetto del traforo è anacronistico; di fatto, la città ha preferito i quartieri alle infrastrutture e il PUMS non incide sul traffico automobilistico. Per risolvere la situazione di Veronetta, allora, la soluzione non sarebbe spostare il traffico su Avesa o su via Preare, ma rendere più conveniente (in termini economici e di tempo) il trasporto pubblico o privato sostenibile (bici o monopattino) anche perché, osserva Saturni con i dati di altre città, l’investimento pubblico sul trasporto pubblico attrae investimenti privati in opere di rigenerazione urbana.

Escluso il traforo, come rendere più fluido il pesante traffico est-ovest, ovvero San Giorgio/Piazza Isolo? La proposta di Saturni prevederebbe sottopassi a Piazza Isolo e s. Giorgio e, per incidere anche sulla mole del traffico, lo spostamento delle scuole superiori magari presso il nascente Central Park. Resta tuttavia il nodo teatro romano: qui il sottopasso non è fattibile; viene proposto tuttavia un allargamento del marciapiede per rendere meno pericoloso il transito dei pedoni, oggi molto sacrificati.

La sensazione complessiva, quindi, è che la vera risposta sarebbe la mobilità di massa (metropolitana, tram) ma che l’occasione sia stata oramai perduta e che la soluzione oggi debba forzatamente passare, a differenza di quanto previsto dal PUMS, da un doloroso, impopolare ma deciso intervento per limitare e disincentivare il trasporto privato su gomma.

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