In un interessante articolo apparso alcune settimane fa su L’Adige di Verona, Paolo Danieli ripropone una questione di cui si è già dibattuto in passato e che periodicamente torna in auge. Quella della “Grande Verona“. Lo spunto, in questo caso, è legato ad alcuni paesi limitrofi alla città capoluogo di provincia che non sono ancora stati inglobati e inseriti sotto il cappello di Palazzo Barbieri. Nello specifico, poi, il “La” alla riflessione di Danieli viene dato dall’imminente referendum della frazione di Rizza, chiamata a scegliere a quale municipio intende aggregarsi: Verona, Villafranca o Castel d’Azzano.

Cosa decideranno i duemila abitanti del piccolo paesino situato alle porte di Verona? Al momento non è dato sapere, ma Danieli spiega che probabilmente si sta sbagliando prospettiva. Nell’articolo l’autore osserva quanto “in epoca di transizione ecologica sia sempre più necessaria una razionalizzazione dei servizi per ridurre consumi e inquinamento, oltre che per rispondere alle esigenze dei cittadini. Razionalizzazione che prevede, per esempio, per i trasporti, per la gestione dei rifiuti, per la distribuzione dell’energia, per l’istruzione primaria un coordinamento che per funzionare ha bisogno di una massa critica di un certo peso. Altrimenti si generano sprechi e disfunzioni”.

Il castello scaligero di Villafranca, Foto Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

Danieli afferma che più che dividersi in tante frazioni e frazioncelle, Comuni e comunelli, sarebbe finalmente ora di pensare in grande e a una città che – inglobando amministrativamente i paesi nel suo hinterland – potrebbe un giorno ambire anche ai vantaggi dell’essere promossa a “metropolitana”, al pari non solo delle grandi città italiane capoluogo di regione, ma anche delle ben più piccole Reggio Calabria, Cagliari o Catania (quest’ultime due, va detto, appartenenti a Regioni a statuto speciale, con regole tutte proprie).

Quindi non sarebbero gli abitanti di Rizza a dover scegliere con chi andare, ma anzi spetterebbe ai Comuni di Villafranca e Castel D’Azzano, oltre a quello di Rizza, ça van sans dire, unirsi a Verona nell’ambito di un grande progetto aggregativo che possiamo chiamare, appunto, della “Grande Verona”.

A un soffio dalla top ten delle città più popolose

Se pensiamo a Comuni come San Giovanni Lupatoto o Castel d’Azzano (geograficamente pressoché equidistanti da Palazzo Barbieri rispetto, ad esempio, a Marzana o Montorio, già compresi nell’ottava circoscrizione di Verona) e all’apporto in termini di popolazione e possibile razionalizzazione dei servizi che questo tipo di operazione regalerebbe, si potrebbe tranquillamente aspirare a entrare nella top 10 delle città più popolose d’Italia (al momento Verona occupa infatti l’undicesima posizione, dietro a Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania) e provare così a ottenere i vantaggi in termini di poteri, autonomia (per l’ambiente, il governo del territorio, la mobilità, la sanità, lo sviluppo economico e sociale dei confini amministrativi dei Comuni) e risorse economiche che attribuisce appunto la qualifica di “città metropolitana”, (oggi in Veneto ad appannaggio della sola Venezia unita a Mestre), che peraltro per numero di abitanti è attualmente già inferiore a Verona, essendo il capoluogo veneto fermo a 255mila contro i 257 della città scaligera.

Grande Verona da fare se si cambia mentalità

A margine di tutto questo, due considerazioni. La qualifica di città metropolitana non si ottiene solo con il dato demografico. Regioni a Statuto speciale a parte (Sicilia e Sardegna, in particolare), l’altra unica città “continentale” non capoluogo di Regione e che risulta oggi città metropolitana è Reggio Calabria, che ha ottenuto questa qualifica anche per dare più poteri al proprio sindaco al fine di contrastare degrado, povertà e malavita organizzata. I parametri che vengono utilizzati sono legati, quindi, a tanti fattori e non è detto che anche al termine di questo processo Verona possa rientrare nei parametri. Diciamo che l’operazione dovrebbe essere fatta a prescindere, come direbbe Totò, allo scopo comunque di ottimizzare i servizi.

Un mercato rionale, foto di Gabriella Clare Marino, Unsplash

Inoltre, ed è forse la questione più importante, in caso di allargamento della cinta cittadina bisognerebbe operare un deciso cambio di mentalità. La proposta dell’ex senatore Danieli, infatti, ha davvero senso solo se i paesi annessi a Verona invece che finire ai margini dell’impero vengono interessati da politiche di assoluta cura. E non stiamo parlando solo delle strade o del ritiro della pattumiera, ovviamente, ma di politiche ambientali, culturali e aggregative di vero interesse. Perché partecipare alla grandezza di Verona non può e non deve diventare un boomerang e tramutarsi in un peggioramento delle condizioni generali, con disservizi o, peggio, totale abbandono.

Periferie da rigenerare

Le periferie di Verona (Borgo Roma, Borgo Milano, Borgo Venezia e via dicendo) continuano a mostrare profonde ferite, soprattutto in ambito culturale. Non ci sono proposte di rilievo se non sporadiche iniziative nate da volenterose associazioni private o gruppi di cittadini, che non si arrendono alla situazione generale imperante. Recentemente, per fare un esempio, in zona Santa Lucia è stato inaugurato il nuovo spazio “Habitat 83” su iniziativa di Zeno Massignan. Si tratta di un polo culturale che può dare molto a quella zona, ma che senza l’impulso di un singolo cittadino – che ha deciso di investire in un luogo di aggregazione e arte da regalare ai suoi “vicini” – non sarebbe mai nato.

Un’importante possibilità viene data dall’amministrazione Sboarina dalla “Variante 29“, che pur con tutti i suoi aspetti oggettivamente migliorabili (come una sovrabbondante presenza di alberghi a fronte di iniziative legate al mondo della cultura in qualche caso difficili da comprendere) rappresenta una novità mai vista in città prima d’ora. Certo, anche in questo caso il privato deve fare la parte del leone, ma almeno dall’amministrazione sono state promesse agevolazioni amministrative e aiuti finanziari importanti. L’idea, insomma, è buona e va sviluppata. Probabilmente è quello il futuro delle città, con un sapiente mix di pubblico e privato. Per fare grande Verona bisogna rendere grandi le sue aree periferiche. E da lì, come si suol dire, non si scappa.

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