“Uno spazio che potrebbe essere a Berlino, a Londra, o magari a Milano, e invece si trova a Verona”. Potrebbe essere questo l’incipit enfatico – e a dire il vero un po’ abusato – di un pezzo su Habitat Ottantatre, coworking artistico e culturale nato nell’ottobre 2020 a Verona, quartiere di Santa Lucia, periferia sud-ovest della città. Potrebbe, appunto, se non fosse che progetti come questo, in giro, se ne trovano pochi, addirittura nessuno, anche molto lontano dai confini scaligeri. A spiegarcelo, pur senza abbandonare un certo understatement, è Zeno Massignan, ideatore di un progetto nato – come molte ottime idee che stanno cambiando il nostro modo di vivere – sull’onda del lockdown, inevitabile spartiacque soprattutto per chi fa parte di quella generazione di trentenni che, nel giro di meno di dieci anni, ha dovuto fronteggiare due crisi epocali per l’economia e società che hanno imposto riflessioni e ripensamenti profondi su carriere, professioni, stili e percorsi di vita.

Zeno Massignan

Quello di Zeno Massignan – classe 1988, una laurea in Lettere a Verona e in Gestione ed Economia dell’Arte a Ca’ Foscari – è tutto interno al mondo dell’arte e della cultura. Un territorio vasto, che Massignan ha esplorato in lungo in largo, partendo dalle prime esperienze giovanili nella piccola bottega antiquaria Lugo e Poiesi, e arrivando fino ai nomi dell’arte contemporanea più blasonati, come la Galleria dello Scudo, dove ha lavorato per tre anni prima di lanciare i progetti Habitat. Nel mezzo, oltre agli studi universitari, esperienze di stage al MART di Rovereto e di Servizio Civile al Museo di Castelvecchio, che gli hanno consentito di osservare dall’interno anche le istituzioni museali pubbliche.

Possiamo dire che il progetto Habitat Ottantatre debba qualcosa a queste esperienze?

«Senza dubbio: Habitat Ottantatre è frutto in larga parte di riflessioni nate a seguito del mio lavoro nell’antiquariato, in galleria o nei musei. Ognuno di questi ambienti, così diversi seppur interconnessi da specifici legami, mi ha consentito di osservare il mondo dell’arte da una prospettiva differente, facendomi apprezzare e, soprattutto, sperimentare modalità di lavoro profondamente differenti. È stato come un percorso di avvicinamento: nella bottega antiquaria Lugo-Poiesi ho incontrato per la prima volta gli oggetti d’arte del passato, lavorare nei musei mi ha fatto entrare in contatto con istituzioni complesse, dove si produce cultura a diversi livelli, facendomi vedere da vicino cosa significa allestire una mostra, o ragionare su un progetto espositivo. Infine l’esperienza della Galleria dello Scudo mi ha proiettato nella frenesia dell’arte contemporanea, dove processi creativi ancora in corso si intrecciano con la necessità di spiegare, comunicare, promuovere, valorizzare. Ho sperimentato in prima persona l’importanza di poter disporre di competenze differenziate, ma anche quella di cambiare ruolo e compiti al momento opportuno. Sono tutti elementi che desidero portare in Habitat Ottantatre, perché il primo obbiettivo è mettere insieme professionalità diverse capaci di lavorare in maniera coordinata su progetti culturali unitari, seguendone ogni aspetto.»

Giusto, perché non abbiamo ancora detto che Habitat Ottantatre è un coworking culturale…

«Esattamente, ed è questa la peculiarità che non ho ritrovato in altre esperienze simili in giro per l’Italia o per l’Europa, dove pure esistono altri esempi di coworking di settore. L’idea che sta dietro ad Habitat è quella di mettere a fattor comune capacità, professionalità e talenti diversi che ruotano attorno al mondo dell’arte e della cultura, con un doppio obbiettivo. Da un lato, fornire a giovani professionisti in campo artistico uno spazio di lavoro a un prezzo accessibile, in un ambiente stimolante, e dall’altro far sì che all’interno del coworking l’attività non sia limitata a quella delle singole realtà, ma possano nascere sinergie per lavorare, con competenze differenziate, su un unico progetto. Per questo Habitat Ottantatre è soprattutto uno spazio ibrido.»

A proposito di spazio, la storia di quello che ospita Habitat Ottantatre trasuda da questi ambienti, che per molto tempo ospitarono un mobilificio e uno show room. Cosa resta di questo passato?

«Moltissimo, a partire dal fatto che senza il supporto della mia famiglia, che ha creduto nel progetto fin da subito concedendomi condizioni particolarmente favorevoli per l’affitto, Habitat Ottantatre non esisterebbe. Ma non è solo una questione di costi: siamo in questo quartiere da tre generazioni, e io fin da bambino ho frequentato questi luoghi per venire al mobilificio di famiglia. Ho visto Santa Lucia trasformarsi, e penso sia importante riuscire a mantenere un legame con questo quartiere così vicino al centro e, al contempo, percepito come tanto distante. È una zona della città con grandi punti di forza, a partire dalla sua posizione strategica, comodissima per i trasporti, vicina alla fiera e non distante dal centro storico. Ed è un quartiere che negli anni è diventato fortemente multietnico, con tutto ciò che questo significa anche dal punto di vista dei linguaggi, degli approcci e delle culture diverse. Ecco, piacerebbe che Habitat Ottantatre instaurasse un dialogo con chi abita qui vicino. Che diventasse un luogo aperto e vissuto, perché la nostra fame di novità è strettamente legata a questo tipo di dinamiche.»

In che senso?

«Habitat è nato durante il lockdown, e quel passaggio, come tutta l’esperienza del covid, ha mostrato come il nostro futuro dovrà essere necessariamente diverso dal nostro passato. È stato un evento dirompente non solo perché ci ha costretti a chiuderci in casa per mesi, o per le conseguenze economiche, ma perché per la prima volta ha coinvolto tutti, a qualsiasi latitudine, a prescindere dal reddito o dalla posizione sociale. Un’esperienza traumatica ma unificante, che non può non trasformarsi in un profondo cambiamento anche valoriale e culturale. Meno barriere, meno divisioni sostituite da una capacità di vedere l’insieme delle cose, unendo punti di vista differenti che prima non consideravamo. Il nostro obbiettivo, con questo progetto, è anche questo. Ambizioso, ma capace di concretizzarsi anche nella pratica quotidiana.»

In effetti Habitat sembra un po’ il luogo dove apparenti contraddizioni convivono e coesistono, come nel caso della natura profit e no-profit.

«È proprio così: in questa visione riescono a stare insieme professionisti che lavorano in modo indipendente, ma anche che collaborano a un progetto collettivo. Così come coesistono un’anima imprenditoriale del progetto, che mira ad essere sostenibile anche economicamente, nel giro di qualche anno, e un’anima puramente no profit, che ha invece l’obbiettivo di produrre cultura e condividerla con tutta la cittadinanza, con il quartiere in cui operiamo ma non solo.»

Dunque, nel concreto, il progetto imprenditoriale di Habitat Ottantatre in cosa consiste, al di là dell’affitto degli spazi del coworking?

«Come dicevo, l’affitto è solo il primo tassello: i prezzi agevolati consentono a un mondo perennemente in bilico sul filo del precariato, come quello della cultura, di avere un po’ di stabilità, ma la contropartita è un investimento da parte di tutti coloro che lavorano nel coworking su un progetto collettivo. Mi spiego meglio: Habitat Ottantatre vuole diventare una realtà in grado di fornire a potenziali partner e clienti una sorta di “pacchetto completo” in ambito artistico e culturale, grazie a professionisti che possono occuparsi di ogni aspetto dell’organizzazione di un evento, ad esempio un festival, un premio o una mostra. Dalla fotografia alla grafica, dalla segreteria organizzativa all’attività curatoriale, addirittura alla produzione artistica vera e propria, puntiamo a formare una squadra operativa capace di prendere in carico qualsiasi organizzazione complessa. E questa collaborazione non si limita ai lavori che arrivano dall’esterno, ma si estende anche alle attività interne ad Habitat, come l’organizzazione di corsi o di mostre. Anche le attività redditizie, insomma, come l’affitto di spazi, non sono puro e semplice “business”, ma rientrano in questo progetto comune, in cui tutti rischiamo e ci impegniamo insieme.»

E per quanto riguarda la programmazione culturale ospitata nello spazio?

«Quella è, al momento, la parte meno “profit”, ma non per questo meno importante. Anzi. Abbiamo voluto esordire con una mostra proprio per dimostrare come l’intento del progetto sia pienamente culturale, e la mostra “Gesto movimento militanza” curata dall’associazione In Habitat è intimamente legata a questa nostra visione. Non si tratta semplicemente di “fare una mostra”, ma di proporre una concezione diversa dell’arte e della sua funzione. Una mostra contemporanea “vera”, perché espone solo artisti viventi, spesso giovani ed emergenti, e affronta senza timore tematiche urgenti, quotidiane, che parlano del nostro tempo. L’idea del gesto spontaneo che si trasforma, nella sua dimensione collettiva e partecipata, in movimento, e quindi genera militanza ha una chiara connotazione politica, e vuole suggerire come l’arte non sia soltanto qualcosa di “bello” da osservare, ma un’azione creativa e generativa capace di coinvolgere il pubblico, e dunque la società, in un percorso finalizzato lo status quo. Un po’ quello che vorremmo fare con Habitat.»

Da dove provengono le opere?

«Questo è forse uno degli aspetti che ci ha lusingato maggiormente, e che ci ha convinti che la strada che avevamo intrapreso era quella giusta. Tutte le opere in mostra, infatti, sono state prestate gratuitamente da collezionisti come Giorgio Fasol, Alberto Geremia o Simone Carcereri, e da artisti quali Collettivo Plurale, Chiara Ventura, Jhafis Quintero. Un segnale di grande fiducia nei confronti del nostro progetto, che ci ha consentito di allestire una mostra interessante e ricca fuori dagli itinerari già battuti della cultura veronese. Anche da un punto di vista geografico.»

In effetti, la sensazione è che a Verona la cultura e l’arte fatichino a uscire dalle mura del centro storico, addirittura da quelle della città romana. Habitat Ottantatre vorrebbe essere una risposta a questa tendenza?

«È inevitabile che sia così, e crediamo che la nostra decisione di fare cultura qui, in un quartiere percepito come distante, come puramente residenziale e carente di istituzioni cultuali, faccia parte di questo cambiamento di prospettiva. In fondo, è anche un’operazione di democrazia, perché vogliamo aprire il mondo dell’arte contemporanea a chi ancora non ne fa pienamente parte, che si tratti di artisti emergenti e giovani che hanno bisogno di spazi e occasioni per esporre le proprie creazioni (l’esposizione da poco inaugurata della scultrice quattordicenne Anna Paolini ne è la prova, ndr), o di un pubblico che fino ad oggi si è sempre sentito poco a suo agio nelle gallerie o nei musei. Si tratta, in fin dei conti, di offrire ad ognuno delle chiavi di lettura adeguate per entrare in contatto con l’arte, agevolando quella condivisione di idee e di prospettive che deve nutrire il nostro metterci in discussione, influenzando il nostro stile di vita.»

Un progetto ambizioso, che potrà incidere positivamente non soltanto sul quartiere di Santa Lucia, ma su tutto il sistema-cultura veronese. Quali sono i prossimi passi, e gli obbiettivi per il futuro?

«Il primo passo è sicuramente l’avvio dei corsi, che abbiamo presentato venerdì 8 ottobre. Anche qui, si uniscono le due anime del progetto, da un lato la necessità di sostenerci economicamente, dall’altro la volontà di costruire un’offerta didattica ricca e trasversale. Corsi teorici e pratici, per adulti e per bambini, tenuti anche da alcuni dei professionisti che lavorano nel nostro coworking. Si spazia dal modellato in argilla all’incisione, dal banco ottico alla stampa calcografica, fino alla sartoria e al trucco per cinema e teatro. Una proposta ampia che mira a fare di Habitat Ottantatre una vera e propria “officina di contenuti”. Ed è questo il nostro vero obbiettivo per il prossimo futuro: trasformare questi spazi in un luogo vivo e aperto, sfidando i residenti del quartiere e i visitatori a immaginare insieme a noi il suo sviluppo futuro. Questa è anche l’idea dietro alla scelta di lasciare accessibili gli ambienti del “loft”, una porzione della struttura non ancora riallestita, che potrebbe diventare una sala per spettacoli e performance, un’aula didattica, un laboratorio, uno spazio per eventi o mille altre cose ancora. Sempre nel segno del dialogo, dell’apertura e della compartecipazione.»

Habitat Ottantatre si trova in via Mantovana 83/a Verona. Fino al 7 novembre è possibile visitare la mostra “Gesto movimento militanza” prenotando su info@habitatottantatre.com. Sarò inoltre visibile il percorso espositivo con i lavori di Anna Paolini, giovane scultrice di 14 anni. Il programma dei corsi e dell’offerta didattica è reperibile su https://habitatottantatre.com/corsi-workshop/

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