«In lontananza sì

Latrano i cani

Ma intanto il sonno è passato»

Pur continuando con ostentata indifferenza d ignorare l’elefante nella stanza, ovvero un sistema economico che pretende una crescita infinita in un ecosistema chiuso, il 2020 si è chiuso con un aumento della ricchezza globale intorno ai 431 trilioni di dollari. Il vero problema rimane la sua distribuzione: la concentrazione nelle tasche di pochi è un fatto accertato anche dal recente rapporto OXFAM sia a livello mondiale sia a livello italiano; anche il progressivo affievolirsi degli effetti economici della pandemia, di fatto, mostra che in Italia a crescere in modo consistente sono stati solo gli stipendi dei dirigenti, mentre rimangono al palo le altre retribuzioni. Un bel problema: già Henry Ford aveva intuito che, dopo l’invenzione della catena di montaggio, il modello di produzione avrebbe dato i suoi frutti all’interno di un’economia di consumo di massa. Se però non solo i ceti più popolari ma anche il ceto medio perde progressivamente e in modo consistente potere d’acquisto e si trova così nella necessità di contrarre i consumi, la stagnazione e la crisi del sistema è inevitabile.

La diseguaglianza

Il quadro attuale è noto e chiaro: l’1% della popolazione mondiale detiene più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Una concentrazione di risorse figlia di una strategia di investimento ora meno focalizzata all’esclusiva creazione di bisogni superflui e più attenta, invece, alla creazione di cartelli o monopoli in settori sempre più strategici per la vita quotidiana come il cibo, l’acqua, la farmaceutica, il settore dei media, la finanza e, non ultimo la tecnologia: spese che, è evidente, non possono essere evitate nemmeno da coloro che percepiscono retribuzioni medio-basse. Un sistema, questo, che non insegue più solo la volubilità dei consumatori ma li intercetta e imbriglia nei loro bisogni fondamentali; è sintomatico, ad esempio, che in Italia non si sia data attuazione alcuna alla decisione del Referendum sull’acqua pubblica del giugno 2011.

L’Italia

«L’Italia è al quarto posto per ricchezza finanziaria nell’Europa occidentale, confermando la rilevanza per il nostro paese del risparmio come asset strategico, con un totale di 5,9 trilioni di dollari nel 2020. Le previsioni indicano una crescita del 2,4% all’anno fino al 2025, quando saranno raggiunti 6,6 trilioni di dollari» afferma in un’intervista Edoardo Palmisani.

La distribuzione delle risorse economiche, in linea con l’andamento mondiale, segue sempre più una partizione da Paese sudamericano in cui la divaricazione tra ricchi e poveri si fa più marcata. Andamento che si riscontra anche nella progressione di stipendi e salari: negli ultimi 40 anni (dati al 2019), secondo l’EPI, i guadagni dei Ceo sono cresciuti oltre 1000 volte rispetto a quelli dei lavoratori medi, limitati al 13,7%.

Effetti sul commercio mondiale

Non è dunque un caso che, a fronte di questa concentrazione delle risorse, sia ripartita con forza la richiesta dei prodotti di lusso che dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi già entro il 2023, con il popolo cinese come primo consumatore mondiale del lusso. Significativo l’aumento anche dei consumi dei prodotti entry-price per i marchi più rinomati, che sono una fetta importante dei loro introiti e dimostrano come il mito del benessere passi attraverso l’esposizione di brand per i wannabe benestanti, nella modalità vorrei ma non posso oppure, sempre nell’ottima della divaricazione delle risorse e contrazione del numero dei privilegiati, una forma di resistenza al declassamento sociale attraverso i simboli ancora alla loro portata.

Se queste sono le premesse generali del sistema economico, come evitare che la prospettiva di lungo periodo si concretizzi in masse di lavoratori che lottano (al ribasso) per attività volte al benessere e al godimento di un ristrettissimo gruppo di abbienti – quasi servi della gleba del neofeudalesimo – mentre incalza la robotizzazione? E magari gilde di artigiani iperspecializzati per gli articoli più ricercati?

La crisi del pubblico impiego

Appendice Statistica Settembre 2021 – Dati INPS

Perché, intanto, l’accessibilità all’acquisto si riduce venendo a mancare il lavoro come fonte di reddito. Come dimostrano i dati INPS del settembre 2021, 1.673.775 nuclei percepiscono il Reddito di Cittadinanza (istituito prima della pandemia, il 28 gennaio 2019), ovvero 3.764.530 individui per una media di 547,39 euro. Non proprio una rendita agiata. Eppure, da settimane, il mantra è che i percettori di reddito sono dei mangiapane a tradimento, come ci ricordano quotidianamente le pagine social della Lega e gli appelli accorati degli imprenditori che non trovano stagionali (forse qualcuno in mondo strumentale, come ci insegna la vicenda del Twiga di Briatore): il problema, com’è oramai evidente, è la crisi degli stipendi, non la mancanza di lavoro in sé. Una crisi che negli U.S.A., vede ben 780.000 posti vacantinel settore pubblico, per una micidiale combinazione tra basse retribuzioni e concorrenza del privato; in Francia la questione dei bassi stipendi viene sottolineata dal ministro dell’economia francese Le Maire. In Italia, il recente concorso al Sud – solitamente attento a questo genere di possibilità – è risultato fallimentare (2800 posti, 821 assunti) tanto da far dire al Ministro Brunetta che sarebbe il caso di ripensare retribuzioni e carriera nel pubblico impiego.

La soluzione è il privato?

Se il pubblico perde di attrattività e competitività, il privato garantisce sì spesso retribuzioni adeguate ma anche qui la prospettiva non è incoraggiante, con o senza le delocalizzazioni. Come segnala il Bureau of Labour Statistics, negli U.S.A. le aziende stanno tornando ai livelli pre-epidemia con meno ore di lavoro e, quindi, con un minor bisogno di dipendenti e sempre in attesa di poter esplorare le possibilità delle IA in termini di applicazione a lavori tipici dei “colletti bianchi”. Se i piani intermedi non hanno da star tranquilli, per i lavori meno qualificati è già giunta da tempo la robotizzazione della produzione e ora si sta sviluppando anche quella della distribuzione che, in alcune città (come Torino, con il progetto della Leonardo), si prepara a rimpiazzare coloro che avevano trovato rifugio in uno dei lavori simbolo dell’epidemia, ovvero i riders. Persino gli operatori dei call center si vedono progressivamente sostituire nel telemarketing da telefonate robotizzate.

Statalizzare le perdite e privatizzare gli utili? Il caso italiano.

Il problema della progressiva marginalizzazione delle masse dalle ricchezze e la polarizzazione retributiva del mondo del lavoro non si risolve con lo scaricare i costi sociali della disoccupazione e della povertà sul pubblico impiego, come visto non competitivo, né su redditi di emergenza, pensioni sociali e altri strumenti perché questi pesano sul bilancio pubblico e, di conseguenza, ritornano come costo sociale con un aumento delle tasse (e quindi diminuzione della competitività delle imprese, che delocalizzano anche ma non solo per questo) e/o taglio dei servizi sociali. Segnala infatti l’Istat che:

“Nel 2019, per la prima volta dal 1995, non sono più le prestazioni a invalidi civili, ciechi e sordomuti ad assorbire la quota maggiore di spesa (35,2%, 16,5 miliardi) ma la categoria degli altri assegni e sussidi (37,8%, 19,9 miliardi).”

A cui bisogna aggiungere, però, il Reddito di Emergenza, per i mesi di giugno, luglio, agosto e settembre 2021, e pure il Reddito di Cittadinanza. E non parliamo di bruscolini: “considerando che nella relazione tecnica del decreto legge istitutivo di questa misura (4/2019) si ipotizzava «un profilo temporale della spesa aggiuntiva connessa al reddito e alla pensione di cittadinanza» con un orizzonte 2023 e con costi di quasi 22 miliardi, il conto per i prossimi 9 anni salirebbe già a quasi 27 miliardi (circa 20 quelli effettivamente già «contabilizzati»). In aggiunta ai 12,7 miliardi di stanziamenti all’epoca previsti per il biennio 2019-2020.” E, a livello di raccolta di risorse, va segnalato il mancato apporto dei Neet, giovani che non studiano né cercano lavoro, che nel nostro Paese sono la ragguardevole cifra di 2.066.000 (1 giovane su 4, dati Istat), primi nell’UE.

La questione così si fa seria, perché le risorse (ovvero le tasse) sui capitali diventano sempre più difficili da riscuotere per la possibilità offerta dalla globalizzazione di spostare sedi aziendali e capitali con estrema facilità, facendo fruttare il dumping fiscale che mette in competizione (al ribasso) gli Stati nazionali. Per l’Italia, l’ultimo colosso nazionale a trasferire in Olanda la propria sede legale è Mediaset, che segue così l’esempio della FIAT (assorbita dal gruppo Stellantis).

Qualcuno sta facendo qualcosa?

In Italia il ministro dell’Economia Daniele Franco, nell’ambito della riforma fiscale, sta pensando di eliminare l’Irap, rimodulare l’Irperf e ridurre il cuneo fiscale per favore l’occupazione. Ma si tratterebbe di “rimodulazione” e non di riduzione delle tasse, sicché è esclusa la ridistribuzione delle risorse in quanto le rendite rimarranno intonse (“Credo di avere già detto che non è nel documento”, dichiara alla Commissione Bilancio riguardo la patrimoniale). Se le tasse scenderanno, questo comporterà “razionalizzazioni di spesa” come si diceva una volta, ovvero il prevedibile taglio della spesa pubblica: sussidi, scuola, cultura, pubblica sicurezza, turnover, blocco dei salari pubblici, sanità etc.; insomma, la ricetta degli ultimi vent’anni. Tagli che, come sappiamo, colpiscono soprattutto chi non ha risorse per rivolgersi al privato e che ci riportano al punto di partenza in termini di potere d’acquisto. Salvo riscoprire poi con rimpianto quanto è bello avere una sanità pubblica funzionate quando succede qualcosa di imprevisto come, ad esempio, un’epidemia mondiale.

Tutto il mondo è paese: anche in Cina molti industriali lamentano che i giovani, spesso con un buon titolo di studio e che pertanto aspirano a ruoli impiegatizi o dirigenziali, non sono più disponibili ad alcuni tipi di lavoro. Lungi però dal definire questa una generazione di svogliati e dal ritenere fonti di sostegno del reddito a «misura da divano», il presidente Xi Jinping ad agosto 2021 dichiarava che la Cina intende ridistribuire le ricchezze in una logica di “prosperità comune”. Ora, pur riconoscendo la storica incompatibilità tra il Partito Comunista Cinese e la verità, rimane il fatto che uno Stato non democratico e che demograficamente governa più di 1/7 degli abitanti del pianeta si sta ponendo la questione, certo anche per questioni di tenuta interna del potere. L’Occidente, al momento, non pervenuto.

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