Qualche giorno fa il Corriere della Sera riportava in evidenza uno studio di Sara Gandini che mirava a dimostrare come le scuole, rispetto al Covid, fossero da ritenersi sicure e che quindi la Didattica a Distanza, prima parziale con Governo Conte e ora totale con il Governo Draghi, fosse di fatto un inutile e ingiusto accanimento nei confronti degli studenti italiani.

Subito dopo quest’articolo, molti esponenti politici, sentendo che il vento stava cambiando, si sono così esposti a favore del ritorno alla didattica in presenza. Il Corriere si allinea così alla linea editoriale di Repubblica, che preme da mesi sul tema e anche recentemente, ad esempio, segnala come la didattica in presenza ai soli disabili o certificati non sia inclusiva e che anche così siano “soli e discriminati“. Dall’altra parte della barricata, ad esempio, IlTempo, rivista di altra collocazione politica, smentisce senza mezzi termini il lavoro della Gandini.

Un bel problema quindi: ma chi ha ragione? Il punto è proprio questo: stiamo facendo campagne per il rientro o per la DAD ad oltranza con dati non organizzati, estemporanei, eterogenei e spesso ricavati da fonti non ufficiali. Quindi, siamo di fronte a una battaglia non legata ai numeri dell’emergenza quanto piuttosto di mero principio.

Perché se è vero che i dati della Gandini sembrano rassicuranti, di contro sullo stesso periodo l’analisi di Science divulgata dall’Università di Padova afferma che “il secondo intervento più efficace è invece la chiusura delle scuole e delle università, insieme, che porta a una riduzione dell’Rt del 38% (qui il margine di incertezza varia dal 16% al 54%)”, tenendo conto ovviamente non solo della presenza a scuola ma di altre variabili come i trasporti. Inoltre, secondo Davide Tosi e Alessandro Sirocampi, ricercatori universitari, autori di recentissimo studio riportato da Panorama che riguarda Lombardia, Campania ed Emilia Romagna, la scuola è una delle cause dell’aumento dei contagi per molti motivi, tra cui l’essere semplicemente un luogo chiuso. Soprattutto, l’elemento che – a detta dei due studiosi – è stato minimizzato è l’assenza o l’incompletezza dei dati forniti dalle scuole al Ministero e che il fatto che “il 75% dei minori di 18 anni è asintomatico”, sfuggendo così al tracciamento.

Grafico tratto dal monitoraggio della Regione Veneto al 4 marzo 2021

I dati del Veneto (gennaio-marzo 2021), all’opposto, ci parlano di circa mille positivi su una popolazione di 586.938 alunni di cui 17.594 disabili (dati MIUR), ovvero una quantità molto bassa anche se con trend in crescita. Pochi? Sì. Però è pur vero che i ragazzi delle superiori erano presenti al 50%. Sullo sfondo, il Presidente Luca Zaia che, in tutte le ordinanze non ha mai fatto mistero – e lo avrà fatto alla luce di qualche dato in suo possesso e non per propensione personale (speriamo) – di voler chiudere le scuole il più possibile: su questo il 26 marzo il Premier Mario Draghi ha chiarito ai governatori delle Regioni che “le vostre scelte dovranno essere riconsiderate alla luce dell’affermazione dell’esecutivo che la scuola in presenza è obiettivo primario della politica del governo”. Se poi il Governo di Roma abbia davvero il potere per imporre le proprie scelte alle Regioni e alla loro autonomia è altra questione.

Ora, anche la recente manifestazione in Piazza Brà che vedeva presente il comitato Ridateci la scuola, seguita anche da questo giornale, rivendica che “La scuola si fa a scuola!”. Visti i contraccolpi didattici ma soprattutto psicologici, con forza chiede di riammettere a scuola i bambini della primaria (che al 4 marzo erano tra i primi per i contagi), ma pure i ragazzi delle superiori, penalizzati oramai da due anni (che sono, però, i secondi per contagi e con la crescita maggiore).

Grafico tratto dal monitoraggio della Regione Veneto al 4 marzo 2021

DAD sì o no? Alla fine di questa analisi, il fatto evidente è che manca un ente che dia una linea chiara improntata alla verità scientifica e con la necessaria autorevolezza e imparzialità. E dire che avremmo il Ministero della Salute o quello dell’Istruzione che potrebbero – e dovrebbero – a pieno titolo prendere posizione; invece, silenzio assoluto. Così, nella Babele in cui ci troviamo e in attesa che i vaccini facciano ciò che l’organizzazione non è riuscita a fare, ci troviamo a constatare un semplice fatto: la scuola in presenza o a distanza, in queste condizioni, non ha a che fare con l’epidemia ma è, qualunque sia, una decisione puramente politica.

©RIPRODUZIONE RISERVATA