Con i suoi 32 anni è uno dei più giovani consiglieri a Palazzo Barbieri. Insieme ad Elisa La Paglia e Stefano Vallani rappresenta, in particolare, il nucleo di eletti nelle file del Partito Democratico, che cerca ti portare in Consiglio comunale le istanze della minoranza insieme ai colleghi del gruppo di Flavio Tosi (Fare Verona e Lista Tosi), del Movimento Cinque Stelle, del movimento civico Traguardi e della Sinistra. Stiamo parlando di Federico Benini, classe 1989, eletto nel 2017 in Comune a Verona. Da ben 14 anni, da quando cioè ne aveva solo 17, è iscritto al Partito Democratico, di cui è stato anche segretario cittadino dei Giovani Democratici. Il suo partito sabato e domenica sarà in Assemblea Nazionale per eleggere il nuovo segretario dopo le recenti dimissioni di Nicola Zingaretti.

Benini, partiamo dalla stretta attualità, visto che è ormai imminente la vostra Assemblea. Innanzitutto cosa pensa delle dimissioni di Zingaretti?

Federico Benini

«Posso capire che una persona si dimetta per aver ricevuto critiche molto forti. Critiche che, però, derivano anche da una sorta di anomalia interna al partito. Zingaretti è stato un segretario eletto con una larga maggioranza in Assemblea ma in minoranza nel gruppo parlamentare, nominato quando il segretario era Matteo Renzi. Il gruppo dirigente del PD, in Parlamento, insomma, è in contrapposizione al suo segretario. Ci sono due grandi correnti all’interno del partito quella Riformista e quella dei Giovani Turchi, che attaccano Zingaretti perché non vogliono che sia lui a fare le liste in vista delle elezioni del 2023. Pensavo inizialmente che le dimissioni di Zingaretti rappresentassero più che altro una mossa strategica per andare in Assemblea e farsi rieleggere, in modo da vedersi rafforzato nella sua posizione, ma alla fine le ha confermate e se da una parte posso capire Zingaretti dal punto di vista umano e personale, dall’altra penso che abbia sbagliato a dimettersi in questo particolare frangente. Sono membro del PD da tanti anni e ho dato il mio sostegno a Zingaretti, perché penso che sia un segretario che abbia tendenzialmente fatto bene, in un momento storico di emergenza e con la Lega al suo massimo. Ricordo che ha recuperato circa l’8%, portando il partito sì dal 18 al 20% ma tenendo conto che il 6% se lo sono in realtà portati via Renzi e Calenda, entrambi accreditati circa al 3%. Inoltre con lui il PD ha finalmente ricominciato a vincere le amministrative e le regionali, dove ha segnato importanti vittorie in Puglia e Campania e dove, in Toscana ed Emilia Romagna, ha arginato la temuta valanga di Salvini. Zingaretti, insomma, doveva salvare le aree storicamente forti per il centro-sinistra, perse in buona parte con Renzi, e doveva poi fare una politica di crescita elettorale, cosa che a mio avviso gli stava riuscendo.»

Nicola Zingaretti

Quali errori imputa, invece, a Zingaretti?

«Penso che sia una figura che in un contesto politico e culturale come quello attuale abbia mancato un po’ di carisma, caratteristica fondamentale per poter essere incisivi dal punto di vista politico e mediatico. In altri contesti questa sua caratteristica può essere vista come un pregio. Ad esempio anche Prodi non era dotato di particolare carisma ma ha sempre vinto le elezioni. Lo stesso Zingaretti, a dire il vero, ha vinto a sua volta in tutte le elezioni in cui si è presentato. L’unico personaggio carismatico all’interno del partito, oggi, è Vincenzo De Luca, che ha portato il PD in Campania dal 28 al 69%, con un salto di oltre 40 punti percentuali. È stato un fenomeno, in questo senso, rispetto ad esempio a Luca Zaia, che nel contesto in cui opera, il Veneto, porta in realtà una dote di circa il 10% rispetto al 66% che già può vantare senza di lui il centro-destra nella nostra regione. De Luca ha un carisma, insomma, che è valso quattro volte in più rispetto a Zaia. Questo è, numeri alla mano, il dato di oggi. Il problema è che i personaggi carismatici si amano, ma spesso vanno di moda per un periodo e poi “passano”.»

Enrico Letta

Letta, accreditato come possibile nuovo segretario, sarebbe una sorta di “cavallo di ritorno”. È la persona giusta secondo lei?

«Sicuramente è una figura autorevole, l’unica forse che in questo periodo complicato può ricoprire il ruolo di segretario del PD. Se il PD fosse veramente coraggioso e volesse fare una sorta di “scommessa dirompente” rispetto alle correnti precostituite, penso che dovrebbe valutare l’ipotesi di nominare proprio De Luca, che anche al nord è stato molto apprezzato per il suo operato. Magari criticabile dal punto di vista amministrativo, sia chiaro, ma io sto parlando del De Luca leader di partito, non del governatore, che ha sicuramente fatto alcuni sbagli. Manca nel PD una persona che sappia parlare alle persone di problemi comuni e che sappia risultare empatico. Questo è il motivo che porta quasi sempre il PD a perdere nelle periferie e magari vincere nei centri storici. C’è uno scollamento evidente fra quelli che sono i “palazzi romani” con l’ambiente periferico. Non c’è stata mai davvero una lettura su questo tema. Letta è stato Presidente del Consiglio e ha avuto ruoli importanti in Europa. Si tratta di una persona molto autorevole e un profilo di continuità con il Governo Draghi. Ritengo, però, che Letta sia il profilo ideale come candidato alla presidenza del Consiglio per il PD, ma non vorrei che alla fine facesse la stessa fine di Zingaretti. Sono convinto che dopo la pace di qualche settimana, le correnti renziane torneranno a fare la guerra anche a Letta, esattamente come l’hanno fatta a Zingaretti, per evitare in definitiva che faccia lui le liste in vista le prossime politiche. Appare evidente che abbiamo purtroppo perso la cultura che vuole il partito venire prima dell’individuo. Sia chiaro: la discussione è sempre legittima e il segretario può sbagliare e si può e si deve criticare, ma la discussione va fatta nelle sedi appropriate. Non mi piace, inoltre, questo logoramento continuo. Ci fa perdere di vista l’obiettivo»

E Bonaccini, Presidente dell’Emilia Romagna, come lo giudica?

«A Bonaccini consiglio di stare tranquillo. È un bravissimo governatore, eletto un anno fa presidente dell’Emilia Romagna, ma non ha vinto in Veneto, dove sarebbe stata effettivamente un’impresa. In Emilia Romagna il centro-sinistra governa moltissime realtà territoriali e l’altra candidata, la Borgonzoni, era onestamente debole. Insomma, non ha fatto un miracolo, che invece aveva fatto proprio Zingaretti in Lazio: quando si è votato per le Politiche del 2018, lo stesso giorno si è votato per le regionali in Lazio e lì ci sono state 350mila persone che hanno votato alle Politiche per i 5Stelle o addirittura il centro-destra, ma alle Regionali hanno votato per Zingaretti. Dati incontrovertibili, che si trovano sul sito del Viminale.»

Il governo Draghi è appoggiato da una larga maggioranza. Durerà?

«Io sono convinto di una cosa. Il governo Draghi ha la stessa maggioranza di Conte ma con in più Forza Italia e Lega. La cultura economica di Forza Italia è quella di Draghi, quindi non rappresenta un problema. Il problema vero potrebbe essere rappresentato dalla Lega, che però deve scommettere sulla bontà del governo Draghi, perché ha un competitor interno nel centro-destra che si chiama Giorgia Meloni. La quale, a sua volta, ha scommesso tutto sul fallimento dello stesso governo. Se Draghi farà bene Salvini verrà incoronato come leader del centro-destra; se farà male sarà al contrario la Meloni la numero uno. Confido nell’interesse personale di Salvini.»

Benini, al centro, con La Paglia e Vallani

Veniamo a Verona. In questi giorni le cronache cittadine parlano di una sorta di “calciomercato di riparazione” dei vari consiglieri che passano da una formazione all’altra e – in qualche caso come Gennari e Drudi – anche dalla maggioranza alla minoranza e viceversa. Che ne pensa?

«Siamo davanti a due aspetti, uno figlio dell’altro. A un riposizionamento personale, da una parte, in vista delle prossime elezioni per poter scegliere il partito più conveniente con il quale candidarsi e giocarsi le migliori chance di rielezione, accompagnato dall’altra da una disinvoltura sconcertante nel passare da un partito all’altro, senza alcuno scrupolo, come se niente fosse. Se è vero che i partiti sono ancora oggi – almeno sulla carta – portatori di valori, com’è possibile che accada ciò, con questa frequenza, come se si cambiasse semplicemente una giacca? Non so se esista un tale “trasformismo” in altre parti d’Italia. Di certo c’è che nella nostra città ormai stiamo assistendo ogni settimana a un nuovo cambio di casacca, nell’indifferenza generale. Non ho mai visto una situazione del genere e sono molto imbarazzato per Verona. In un contesto politico e democratico normale questi trasformismi sarebbero sbattuti tutti i giorni sulle prime pagine dei giornali locali. E invece queste notizie vengono quasi sempre relegate in articoletti di duemila battute, poste in fondo alla pagina e di lato. In modo che siano più invisibili possibile. Compito dell’opposizione, ovviamente, è far emergere queste contraddizioni, ma sono i veronesi a doversi interessare di come vengono rappresentati i loro voti.»

Questo conferma ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che la corsa alle prossime elezioni amministrative a Verona del 2022 è di fatto già partita. Quali scenari possiamo ipotizzare per il centro-sinistra?

«Il centro-sinistra si trova in particolare difficoltà a livello nazionale e purtroppo questo avrà ripercussioni anche a livello elettorale locale. Oggi però c’è una opportunità. A Verona per quanto riguarda il centro-destra non c’è più l’aspettativa di qualcosa di nuovo, come invece avveniva quattro anni fa. Se all’epoca Sboarina poteva essere visto come un motivo di novità rispetto alla precedente amministrazione Tosi, oggi abbiamo davanti a noi la storia di Sboarina e la storia di Tosi a confronto. E personalmente confido nell’elemento di novità che può rappresentare, al contrario, il centro-sinistra, cosa che il centro-destra ora non può più portare avanti. L’elemento di criticità è che in senso ideologico il centro-sinistra rimane minoritario all’interno del panorama politico veronese. Riuscirà ad essere competitivo solo se verrà rappresentato da una coalizione, da un candidato sindaco e da un programma che verranno percepiti come novità, appunto. Se avrà un candidato sindaco debole e un programma non accattivante si perderà già in partenza. Il PD è, comunque, protagonista in questo periodo di un dialogo con tutti i partiti che possono entrare nella coalizione di centro-sinistra e attendiamo il risultato di questo dialogo.»

Damiano Tommasi

A differenza del centro-destra rappresentato da Tosi e dal centro-destra rappresentato dal sindaco uscente Sboarina, però, al momento il centro-sinistra non ha ancora individuato ufficialmente un vostro candidato, anche se da più parti si è fatto il nome di Damiano Tommasi. State studiando eventuali alternative?

«So che sono state sondate alcune personalità importanti all’interno del panorama veronese e del mondo civico, fra cui appunto il nome di Tommasi. Attualmente sembra essere l’unico nome competitivo che non ha espresso un chiaro no alla nostra proposta. Ovvio che se viene a decadere l’ipotesi di Tommasi e se non si riesce a trovare in alternativa nessuna figura del mondo civico e associativo che possa generare un surplus di valore, non possiamo puntare su un soggetto appartenente alla società civile che non sia di alto livello. L’idea di fondo deve essere quella di presentare come candidato una persona nota e autorevole e se non c’è la disponibilità di qualcuno appartenente al mondo civico non credo sia sbagliato trovare quella persona all’interno dei partiti e dei movimenti civici. Non dev’essere, insomma, un tabu.»

Ma non rischiate di arrivare tardi anche questa volta? Quando pensate di annunciare il vostro candidato?

«Non arriveremo a settembre o ottobre. Questa volta ci siamo presi per tempo. Ci stiamo lavorando da tre mesi e penso che l’annuncio ufficiale arriverà verso maggio o giugno. Avremo, in quel caso, circa un anno di tempo per lavorare sul programma e sulla campagna.»

La sindaca di Torino Chiara Appendino

Vi presenterete compatti? Esperimenti, come ad esempio quello della Appendino a Torino – che sulla falsa riga delle alleanze nazionali, cerca di portare insieme PD, M5S e Leu – rappresentano una strada percorribile anche a Verona?

«I segretari hanno già fatto in queste settimane gli incontri con tutti i partiti che fanno riferimento al mondo del centro-sinistra tradizionale. Il dialogo con i 5Stelle c’è e non c’è nessuna preclusione nei loro confronti. Cerchiamo solo di capire cosa intendono fare anche loro, anche perché con il passaggio di Gennari alla Lega di qualche settimana fa, hanno di fatto dimezzato la loro rappresentanza in Comune, dove è rimasta la sola Marta Vanzetto.»

E se al ballottaggio finissero ancora una volta Sboarina e Tosi, cosa faranno Benini e il PD?

«Io spero che al ballottaggio arrivi il centro-sinistra.»

All’interno del PD scaligero che tipo di situazione state vivendo? Alcuni giorni fa Elisa La Paglia, in una intervista, aveva parlato delle difficoltà vissute all’interno del partito.

«All’origine del “male” c’è l’attuale legge elettorale. È una legge che con la mancanza di preferenze non porta più ad avere il contatto con l’elettore, ma solo con il capo-corrente, che ti deve garantire l’elezione inserendoti nella lista. È un errore che paghiamo a tutti i livello e quindi anche nel PD. Al contrario dei consiglieri regionali e comunali, che rispondono direttamente agli elettori, il parlamentare non può avere un rapporto diretto con il territorio.»

Benini protesta per il taglio degli alberi in via Emo

A proposito: lei è indubbiamente molto impegnato sul territorio…

«Da alcuni anni ho aperto una attività legata alle ricerche di mercato. Ho venti collaboratori, che mi danno una grossa mano e mi permettono di ritagliarmi il tempo per questo tipo di “battaglie”. Questa è una fortuna, perché non saprei come altro interpretare il ruolo di consigliere comunale, se dovessi lavorare otto ore al giorno. Non sarebbe possibile. Vorrebbe dire non farlo o comunque non farlo bene. Ho sempre fatto così, fin da quando sono entrato in circoscrizione nel 2012. E noto che questo modo di fare politica è stato apprezzato. Il contatto con i cittadini, d’altronde, è fondamentale per capire le loro esigenze. Io di certo non m’invento di notte cosa fare il giorno dopo. Tante persone mi segnalano direttamente cosa va e cosa non va nelle loro realtà. In alcune di queste, come quella legata all’edilizia popolare, mi chiamano spesso anche per questioni che magari non mi competono nemmeno, ma è per me emblematico del fatto che vedono in me una persona di fiducia e un punto di riferimento. Peraltro gli inquilini Agec e Ater, ad esempio, hanno spesso problemi ad apparire nei confronti dell’azienda ed è difficile che qualcuno di loro decida di esporsi, mettendoci direttamente la faccia. In questo senso il mio lavoro è importante. Non è che, quando mi sono iscritto al PD 14 anni fa, tutti mi chiamassero. Questa cosa è cresciuta con gli anni e grazie al passaparola. E lato mio cerco di essere sempre presente.»

A livello personale che tipo di esperienza è stata ed è questa sua attività politica?

«Mi ha cambiato perché sono diventato più sensibile a certe tematiche. Ho potuto toccare con mano delle realtà della nostra città che non pensavo nemmeno esistessero o comunque non fino a quel punto. Sono diventato persona più attenta alle piccole cose. Il cittadino comune è sì contento della grande opera, ma non vuole sentirsi abbandonato. Sapere che c’è qualcuno che possa aiutarli a risolvere i piccoli problemi quotidiani per i cittadini è fondamentale. I veronesi non sono stupidi e sono stanchi dei politici che si comportano così solo quando mancano soltanto nove mesi alle elezioni e apprezzano chi lo fa costantemente. La spinta che mi da la forza a continuare a fare politica è proprio l’affetto che tante persone hanno nei miei confronti. Se dall’altra parte non avessi nulla probabilmente avrei già abbandonato da tempo. Sono sempre stato all’opposizione ed è una situazione alla lunga frustrante. Vorresti fare tante cose ma non ce n’è mai davvero la possibilità, finché permane questa situazione. Inoltre nel mio caso stiamo parlando di una piccola minoranza, circa mille persone sostenitori su 260mila abitanti, quindi il mio, sia chiaro, è un consenso estremamente limitato, che però mi da le forze per andare avanti.»

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