Che cosa sia l’autismo abbiamo imparato a chiedercelo perché nella percezione comune si avverte che il problema è in aumento, ma sovente non sappiamo risponderci.

È un fatto che la maggiore formazione dei medici e le modifiche introdotte nei criteri diagnostici hanno effettivamente portato, in questi anni, a diagnosi più precoci, almeno entro i primi quattro anni d’età.

Ne parliamo con Cristina Bosio, presidente della neonata Fondazione Cuore Blu, mamma di un ragazzo con autismo e impegnata da anni nella costruzione di rete tra associazioni ed enti pubblici per dare risposte utili alle famiglie.

Vocazione in rete

Cristina Bosio, presidente della neonata Fondazione Cuore Blu.

«La Fondazione nasce nel giugno scorso, ma è stata lanciata mediaticamente solo nel mese di aprile. Nasce con una vocazione interprovinciale da una costola di Autismo Triveneto, con sede a Vicenza e Ants (Associazione Nuovi Talenti Speciali per l’autismo) con sede a Sona, in provincia di Verona» dichiara Bosio, a poche settimane dalla presentazione ufficiale.

Le due associazioni, con venti anni di attività alle spalle, ed esperienze parallele, simili eppure diverse, mettono così a sistema le proprie competenze per proporre modelli virtuosi da replicare nelle due province.

«Questo è l’intento: cercare di dare risposte con servizi qualificati all’adulto autistico mantenendo costante l’attenzione sui problemi posti da questo disturbo nell’età evolutiva».

Bosio ha dato le dimissioni da vicepresidente di Ants, fondata nel 2008 e nata da un’idea di quattro genitori e due sostenitrici: ad oggi raccoglie più di cento famiglie e ha come presidente Federica Costa. Autismo Triveneto, invece, promuove la formazione permanente di persone e istituzioni che si fanno carico di soggetti con autismo, specializzata nelle azioni rivolte all’autismo adulto. Ne è presidente Antonella Dalla Pozza.

La cassetta degli attrezzi

Quando i genitori ricevono la diagnosi di disturbo da spettro autistico per il proprio bambino o bambina, si rivolgono ai servizi territoriali, ma la lista d’attesa per la presa in carico specialistica può durare fino a ventiquattro mesi. Solo le associazioni volontarie di genitori possono rispondere ai loro dubbi e forniscono i primi strumenti per rapportarsi al proprio figlio/a in modo costruttivo.

«Ants e altre associazioni hanno approntato un progetto di Parent couching» racconta Bosio «per aiutare i genitori nel momento di massimo disagio. Un ciclo di dieci incontri, dopo l’osservazione diretta del bambino/a e poi il coinvolgimento di un’insegnante della scuola dell’infanzia, fissando pochi chiari obiettivi raggiungibili. Il parent couching si configura pertanto come un percorso formativo che dà “la cassetta degli attrezzi” nel periodo di latenza della Asl.

Un’attività didattica con ragazzi e ragazze affetti da autismo, foto Ants onlus.

Questo significa non perdere tempo prezioso, far uscire il soggetto autistico dai suoi condizionamenti, dalle sue ossessività, e fornire supporto alla famiglia nel momento in cui è più smarrita».

L’autismo, questo sconosciuto

Il ministero della Salute stima che in Italia un bambino su 77, tra i 7 e 9 anni, sia affetto da disturbo dello spettro autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD), un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzato da deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale, accompagnato da comportamenti e attività ripetitive.

Tuttavia esiste una grande varietà nella severità del disturbo che, nelle forme più lievi, non intacca l’area cognitiva. Rimane il fatto che bambine e bambini autistici hanno il diritto di fruire di tutti i servizi e le opportunità che offre il luogo in cui vivono, ma le loro difficoltà sono enormi e i loro comportamenti, incompresi, vengono sovente bollati come “bizzarri”.

«Purtroppo la “velocità” della vita in cui siamo inseriti non aiuta l’autismo» prosegue Bosio, «i figli normodotati sono subissati da stimoli e persino loro, a volte, sono in difficoltà. Pensiamo alle società sportive, per esempio, al loro messaggio competitivo, se vi entra un ragazzo autistico ha bisogno di tempi più lunghi per elaborare le consegne, deve poter adottare quelle strategie che gli permettono di soddisfare le richieste. Bisogna aiutarlo con la Comunicazione aumentativa alternativa, che comprende immagini e disegni internazionalmente codificati e, in alcuni casi, anche del linguaggio dei segni».

Un impegno concreto della città

Per una famiglia con un figlio/a autistico/a diventa difficile anche andare a mangiare una pizza, portarlo/a dal parrucchiere, andare a fare la spesa insieme, prendersi un gelato.

Welcome Blu ha cercato di dare una risposta concreta a questi problemi. Approvato dal Consiglio Comunale di Verona nel gennaio 2020, e appoggiato dalla Provincia, è un progetto per sensibilizzare gli esercizi commerciali e artigianali sul tema dell’autismo (le informazioni per i negozi che vogliono aderire si possono trovare qui, nda).

Il logo che contraddistingue i punti commerciali che aderiscono al progetto Welcome blu.

Propone di mettere in atto, da parte degli esercenti, degli accorgimenti per rendere fruibile e confortevole la permanenza delle persone con disturbo dello spettro autistico all’interno dei loro spazi.

Da un tavolo di lavoro aperto al Centro Regionale per l’autismo, l’Azienda ospedaliera Ulss 9 Scaligera, Aeroporto Valerio Catullo, Supermercato Esselunga, Centro Commerciale Adigeo, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, hanno dato vita a un protocollo ora a disposizione di tutte le amministrazioni comunali della provincia.

Il Comune di Verona si occupa del coordinamento e il Centro regionale per l’autismo predispone il materiale didattico e informativo e supporta gli aderenti all’iniziativa, rispondendo alle loro necessità.

I problemi non sono sempre gli stessi

«Si dice figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi» prosegue Bosio «per i giovani adulti affetti da autismo, alla fine della scuola superiore, ammesso che vi arrivino, c’è il nulla. Non solo, perdono anche la tutela dei servizi territoriali, vengono inseriti nel Dipartimento di Salute mentale, non sono più autistici, diventano psicotici o altro.

Come Fondazione, valendoci anche dell’esperienza di Autismo Triveneto, vogliamo proprio pensare a loro, continuando a offrire qualcosa di più dell’assistenza comunemente data dai Centri diurni. Ci proponiamo un servizio, in un ambiente a loro dedicato, che mantenga il focus sull’apprendimento, per non disperdere le abilità conseguite».

Creatività e manualità sono pratiche formative molto importanti nella crescita di ragazzi e ragazze con autismo. Foto Ants onlus.

E conclude: «Come società civile occorre, a mio parere, lavorare sempre su due aspetti: quello sanitario, della presa in carico specialistica, e quello dell’informazione, della consapevolezza. Non siamo pazzi, non siamo visionari: non si può uscire dall’autismo, ma si può viverlo e accoglierlo con più serenità. É un lavoro faticoso, ma importante, i cui frutti si vedono nel tempo».

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