Recentemente la deputata del PD Alessia Rotta ha scritto in un post su Facebook che “il tema della rappresentanza femminile dentro il PD nasce da lontano e non certo oggi. Sapevamo tutti molto bene i nomi su cui si sarebbe orientato il partito (riguardo le nomine nel governo Draghi, nda), ma la rappresentazione plastica della nostra marginalità – sia rispetto alle scelte degli altri partiti, sia nella composizione della delegazione che ha partecipato alle consultazioni – apre un problema politico enorme che non potrà essere rinviato ancora una volta, con l’ennesima dichiarazione di intenti e buoni propositi”. Secca e tagliente è stata la risposta della Consigliera comunale di Verona Elisa La Paglia: “Finché la fedeltà alla corrente verrà prima del merito, il risultato non cambierà. Essere una donna fedele invece che libera è una scelta, non un destino imprescindibile. Chi chiede il cambiamento e allo stesso tempo difende il sistema delle cordate di potere di oggi è alquanto incongruente”.

La Paglia, ci può spiegare meglio a cosa si riferiva con quel commento?

«Le dinamiche interne dei partiti dipendono dai metodi elettorali. In Italia dal 2005 ci sono le liste bloccate per Camera e Senato quindi tutto il potere è in mano ai segretari dei partiti. Nel PD sono il Segretario e i capi corrente, ognuno per la sua quota, che decidono, chiusi in una stanza, chi sarà eletto parlamentare e chi no. L’effetto delle liste bloccate è stato calmierato da Bersani quando, da segretario del partito, ha avuto la coerenza e il coraggio di indire le primarie per i parlamentari e le parlamentari e nel 2013 il PD ha portato in parlamento tantissimi giovani e donne, mai così tanti nella sua storia.

Poi Renzi non le fece, per questo il suo gruppo e quello dei suoi “quasi amici” rimasti nel PD sono così numerosi in Parlamento. E per questo Franceschini e Guerrini sono ministri: erano a quel tavolo come parte della maggioranza renziana e comunque molti parlamentari devono a loro la propria elezione. Orlando era al tavolo come area di minoranza e ora è il referente del segretario Zingaretti, e questo rende tutti e tre “non contestabili” da chi ambisce a tornare in Parlamento. Quindi ora nel Pd essere fedeli ai capi bastone, posizionarsi in una cordata, premia di più che avere meriti politici, amministrativi o elettorali. Anzi, averli è un limite agli occhi dei boss, anche sul territorio, che temono il sorpasso e si riducono a selezionare i loro con criteri inversi al merito.

Io penso che questa sia la malattia del PD, un morbo che ci consuma da dentro, perché la guerra interna è costante e la partecipazione e la trasparenza sono osteggiate da chi ha rendite di posizione da difendere.

Ritengo quindi incongruente contestare l’assenza di una donna PD al Governo, difendendo e promuovendo il sistema che ha portato a questo risultato, senza metterlo in discussione. Questa è la grande incoerenza tra il Pd e le sue politiche sulla parità di genere.»

Elisa La Paglia

Che ruolo ha la Conferenza della donne nel Partito Democratico?

«Per me è fondamentale, è il luogo della crescita delle donne democratiche perché è un ambiente di confronto plurale, trasversale alle diverse correnti e alle generazioni, aperto anche alle donne non iscritte al PD. Lì ho imparato, trovato stimoli e forza. Per anni è stata boicottata, poi con Zingaretti è rinata e abbiamo eletto la portavoce nazionale Cecilia D’Elia. Ora siamo pronte, Covid permettendo, per ricreare le conferenze in ogni provincia e regione. La Conferenza ha promosso il piano Woman New Deal, un piano di rilancio del Paese, dalla sanità al lavoro, dal welfare all’educazione, dalla sostenibilità ambientale alla qualità della vita nelle città. È lo sguardo delle donne per una società più equa e giusta, a beneficio di tutti e tutte, reso ancor più necessario alla luce dei disastrosi numeri della pandemia. È un piano utile per gli investimenti del Recovery Fund. C’è chi vorrebbe portare nella Conferenza gli stessi metodi di conta tra correnti che ci sono nel partito. Ma nella politica delle donne la pluralità e l’ascolto reciproco sono una ricchezza e sono la base per una sintesi al rialzo.

Con il metodo delle correnti la diversità di idee è esacerbata per creare conflitto e scontro atto a giustificare gruppi distinti in eterna rivalità e competizione tra loro. Quando ci si conta si selezionano le persone per appartenenza e fedeltà.

Invece quando ci si ascolta con lealtà si premiano l’impegno e le idee. Non sarei quella che sono se non avessi potuto lavorare con tutte le donne del PD, al di là delle personali appartenenze. Io spero che la Conferenza resti il luogo libero di confronto che è stato, per dare forza alle donne democratiche impegnate nei diversi fronti della lotta politica, che permetta di sperimentare quel differente metodo di selezione della classe dirigente che potrebbe guarire anche il Pd.»

Nel suo discorso di insediamento il 17 febbraio scorso il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto: “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e a un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”. Ennesimo specchietto per le allodole o dichiarazione d’intenti, dunque?

«Poco elegante definire “un formalismo” il sistema delle quote rosa, dato che è dimostrata la sua efficacia per scardinare la pigrizia e l’incapacità di trovare le medesime competenze in una donna. La non parità di genere è stato un brutto inizio per questo Governo, ma avremo modo di valutarne i fatti dai suoi prossimi provvedimenti. Ormai è dimostrato che la parità salariale delle donne e i servizi di welfare (ad esempio per quanto riguarda infanzia, disabilità e anziani) aumentano i posti di lavoro e portano miglioramenti in campo economico e sociale, riducendo la violenza domestica. Che tu sia donna o uomo, se sai leggere i dati Istat sai che questa è la via maestra per guarire il nostro Paese. Gli effetti sarebbero la diminuzione della disoccupazione, pari opportunità educativa, aumento dei consumi, aumento del benessere dei soggetti oggetto di cura e dei loro familiari, non dispersione di competenze e maggiore equità nelle relazioni familiari.

Eppure fino ad ora non è stata la priorità, perché c’è anche chi combatte l’autonomia economica e decisionale delle donne: sono i partiti di estrema destra, sovranisti e fanatici religiosi, e anche se hanno a capo una donna in Italia le loro politiche rimangono contro le donne. Perché in politica c’è solo una cosa che fa più paura di una donna: una donna libera.»

Nel 2020 l’Italia perdeva sei delle dodici posizioni guadagnate l’anno precedente nella classifica del World Economic Forum sulle differenze di genere. Secondo lo studio annuale del Wef, che misura le differenze di genere in campo sanitario e della salute, della partecipazione e opportunità economiche, dell’istruzione e della partecipazione politica, nel nostro Paese il gap è pari al 70,7% e siamo al 17esimo posto su 20 Paesi nell’area dell’Europa occidentale, davanti solamente a Grecia, Malta e Cipro. Nel campo della valorizzazione politica, il divario da recuperare sarebbe di oltre il 73% e il Wef parla di 99,5 anni per colmarlo. Quali potrebbero essere i cosiddetti “acceleratori” in grado di accorciare questi tempi biblici?

«Premiamo il merito e non la fedeltà, le capacità e non l’omertà, la trasparenza e l’equità e le donne sfonderanno tutti i tetti di cristallo. Le ragazze in Italia vivono la parità nel mondo scolastico fino all’università. È nel confronto con la società, le aspettative familiari e il mondo del lavoro che scoprono i disequilibri. I numeri di chi è costretta a lasciare il lavoro dopo il matrimonio e dopo i figli sono impietosi. Ci sono ancora tante barriere culturali da abbattere, investire sulle donne e sugli uomini di domani è la chiave, per questo l’educazione di genere nelle scuole è tanto osteggiata dai vari Zelger e Pillon.»

Nel nuovo Governo la gestione del Recovery plan, che tra le altre cose dovrebbe essere orientato a colmare il gender gap, sembra essere saldamente in mani maschili. E in generale, la battaglia delle donne per la parità potrà contare poco sui partiti tradizionali, almeno a sinistra. Secondo il gruppo di economiste e studiose che fanno capo alla rivista on line inGenere, questa dovrà concentrarsi sui contenuti e sui modi per comunicarli e imporli dal basso, senza più attendersi che dall’alto qualcuno apprezzi e conceda la benedizione. Cosa pensa del femminismo oggi e del ruolo di movimenti per i diritti civili che da questo traggono ispirazione, come il collettivo NonUnaDiMeno?

«Ho iniziato a far politica nei movimenti studenteschi e poi ho conosciuto il femminismo con il collettivo SeNonOraQuando. Quindi sono di parte, li ritengo fondamentali per portare alla luce le istanze di una base poco ascoltata dalla nostra politica.

Sono il veicolo per chiamare alla partecipazione i cittadini e le cittadine. Sono azione e non solo opinione. Fanno quello che i partiti non fanno più, per le ragioni dette prima, ma la democrazia è partecipazione. E le più importanti riforme che hanno incrementato la parità di genere sono arrivate grazie alla collaborazione tra donne delle istituzioni e movimenti.

Mi dà ancora energia il ricordo dei volti e della gioia della manifestazione del 13 febbraio 2011, tutte le piazze d’Italia erano piene oltre ogni immaginazione, a Verona riempimmo piazza Isolo e poi piazza Bra non ci contenne nemmeno tutte. Grazie a NonUnadiMeno e alle altre organizzazioni che hanno aderito, nel 2019 il Congresso Mondiale della Famiglia ha trovato Verona più che pronta a rispondere nel merito delle loro follie e capace di accogliere la marea umana che ha risposto per le rime.»

Quanto pesa la percezione che le donne hanno di sé stesse e delle altre donne, in generale, sul conservatorismo e la miopia delle formazioni politiche, anche progressiste?

«Gli uomini non sono i nostri nemici, la quota del 50% negli organismi interni del Pd l’abbiamo ottenuta anche grazie alla lungimiranza degli uomini, e così per le politiche economiche e di welfare che ora chiediamo. Con loro deve esserci alleanza. Tra donne invece dovremmo stringere un nuovo patto, per un approccio al potere che non ricalchi quello che gli uomini hanno costruito in duemila anni di gestione. Ci sta anche che parliamo di quanta consapevolezza le donne abbiano di sé e dei loro ritmi. Solo recentemente ho imparato ad ascoltare il mio corpo e ho capito come riconoscere il valore e lo scopo delle sue diverse fasi. Abbiamo uno strumento potentissimo dalla nostra parte, ma è come una macchina di Formula Uno di cui non sappiamo ancora usare i comandi, viviamo il nostro corpo come un limite perché non è in linea con i ritmi standardizzati dell’organizzazione delle società attuali. Quando lo capiremo e daremo già alle adolescenti il libretto di istruzioni allora cambierà il mondo.»

Giorgia Meloni, leader donna di un partito maschilista in un paese maschilista. È evidente che politicamente siate agli antipodi, ma cosa pensa di lei rispetto alla sua ascesa in un contesto obiettivamente difficile?

«È un’ottima comunicatrice, è leader di un partito che non attacca il suo capo più degli avversari, ma ha scelto, penso per opportunità elettorale, di rappresentare i sovranisti e gli integralisti italiani, in cordata con i sovranisti internazionali, la lotta contro i diritti civili e la libera scelta delle donne in tema di aborto. Sarà anche donna ma non fa gli interessi delle donne.»

Nel 2014 il deputato grillino Massimo De Rosa commentò così su Twitter la presenza delle donne in commissione giustizia alla Camera: “Se siete qui è perché siete brave a fare i pompini”. La deputata del PD Giuditta Pini gli rispose: “Ho preso 7.100 preferenze in 3 giorni. Mi fa ancora male la mascella” e lo querelò assieme alle colleghe, ricevendo dalla rete incoraggiamento e solidarietà trasversali. Oggi come oggi, il web è in grado di muovere interessi e posizioni che prima erano relegati alla discussione interna alla ristretta cerchia degli “eletti”. Quanto i social network possono aiutare le donne che fanno politica a raggiungere l’opinione pubblica, restituendo un’idea di sé meno stereotipata?

«Comunicare sui social è un lavoro extra, richiede molto tempo e preparazione, chi ci riesce si emancipa da dinamiche di selezione delle informazioni che per forza vigono per la stampa o la comunicazione interna dei Partiti. Il filo diretto con l’elettorato fa bene in entrambe le direzioni. Durante l’ultima campagna elettorale delle regionali mi hanno aiutato e seguito dei ragazzi davvero in gamba. Inoltre ho in gran parte sospeso il lavoro, per questo avevo il tempo di scrivere sui miei social almeno un post al giorno.

Dal giorno dopo lo spoglio sono tornata in ufficio e la mia comunicazione sui social ha subìto una brusca frenata. So bene che importanza hanno i social, ma spesso devo scegliere se fare politica o raccontarla. È mio dovere fare entrambe le cose, ma la prima mi piace molto più della seconda. Spero di potervi raccontare presto su cosa ho lavorato negli ultimi mesi. Per gli stereotipi dipende dall’uso che si fa dei social, e per ora secondo me si usano ancora troppi filtri, in tutti i sensi.»

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