Un 8 marzo illuminante. Mario Draghi in uno slancio di originalità ricorre a un videomessaggio per dire agli italiani che sulla parità di genere il nostro Paese è indietro e che bisogna accelerare sui vaccini per uscire dall’incubo della pandemia. Amen. La stessa cosa ce la diceva pochi giorni prima di Natale il Mauri, servendoci il caffè al banco del suo bar, che ora glielo hanno chiuso perché sul suo lato del cubo di Rubik è venuto fuori l’arancione. Ma il Mauri non è il Mario, il supereroe che a ogni sua parola dispensa pillole di paracetamolo e diclofenac. «Io sò io e voi non siete un cazzo” disse il Marchese del Grillo. Son passati secoli, ma funziona ancora più o meno così. Quando colori e numeri li dava il povero Giuseppi veniva lapidato dai giornaloni mainstream e dato in pasto alle fauci schiumose di rabbia del popolo feroce, se invece a darli è Supermario il suo discorso di altissimo profilo passa alla storia come quello di Jfk a Berlino. Parla e appare poco Mario, il banchiere di Dio e di Goldman Sachs, ma se per spezzare il digiuno deve ricorrere a simili banalità, forse sarebbe più opportuno perseverare nel tenere la lingua in tana. Basta il Mauri, quello del bar. Sennò qui si rischia di fare la stessa figura di Barbara Palombelli a Sanremo. Ectoplasma in fioriera. E diciamo che non sarebbe proprio il caso.

Ma siccome al peggio non c’è fine, il meglio di questo radioso e mimoso 8 marzo doveva ancora venire; ce lo ha offerto Andrea Agnelli nel suo intervento oratorio con cui ha aperto la 25esima Assemblea Generale dell’Eca, l’Associazione dei club europei che presiede; gli Stati Generali del pallone che conta, per dirla come quelli bravi: «Il Covid ha posto una serie di domande sulla sostenibilità dell’attuale modello di calcio, la perdita di incassi è attorno ai 6,5/8,5 miliardi in due stagioni. Sono colpi sulle spalle dei club» ha detto prima di citare, indovinate chi? Ma ovviamente Mario Draghi, il padre di tutte le Aspirine: «Se non ci muoviamo, rimarremo soli nell’illusione di quello che siamo, nell’oblio di quel che siamo stati e nella negazione di quel che potremmo essere». Poi la perla finale: «È nostro dovere quello di intercettare un cambiamento, altrimenti il rischio è quello di implodere. Dobbiamo mettere i tifosi al centro. Il sistema attuale non è fatto per i tifosi moderni. Le ricerche dicono che almeno un terzo di loro seguono almeno due squadre; il 10 per cento segue i giocatori, non i club, e questo è molto diverso rispetto a qualche anno fa. Due terzi di loro seguono le gare perché attratti dai grandi eventi. Ci sono molte partite che sono non competitive nei campionati e questo non cattura l’interesse dei tifosi. I tifosi non possono essere dati per scontati e noi dobbiamo offrire loro la miglior competizione possibile, altrimenti rischiamo di perderli».

Andrea Agnelli

Ora, come noto Agnelli e i suoi soci spingono da anni in direzione di una Superlega Europea che di fatto supererebbe l’attuale Champions League, portando le squadre partecipanti da 32 a 36. La formula, che ricalcherebbe quella di un vero e proprio campionato europeo per club selezionati, ridurrebbe di fatto i campionati nazionali a sagre di paese. Ovviamente, anziché arginare la bulimia di pallone in tv, gli illuminati ne aumenterebbero l’inflazione. Forse non sanno che siamo arrivati a un punto che persino la serie C, che un vero e proprio contratto televisivo non ce l’ha e va in streaming su una piattaforma digitale, ricorre allo spezzatino. Per chi, non è dato a sapersi.

Se davvero questi soloni desiderano, come dicono, riavvicinare la gente al calcio, più che un passo in avanti ne servirebbe uno bello deciso indietro per recuperare un minimo di ragionevolezza. Un esempio: proporre partite di seconda fascia il lunedì sera in pieno inverno, è un modo saggio per rimettere i tifosi al centro? Ma vogliamo scherzare o cosa? A noi pare invece un modo per far quattrini (ma ora nemmeno quelli) ed emarginare sempre di più i poveri tifosi (le vittime di questa pantomima) inchiodandoli sul divano a litigare con la moglie nella contesa dello scettro di casa, il telecomando. Ha proprio ragione Agnelli: il calcio rischia di implodere. E anche presto, se continuerà ad avvelenarsi da solo seguendo la linea dettata da lui, dai suoi compari e compagnia festante. Un suicidio annunciato.