L’ennesimo naufragio, avvenuto qualche notte fa al largo della Tunisia, riporta tristemente alle cronache il problema dei flussi irregolari dall’Africa, un fenomeno che, dopo qualche rallentamento, pare tornare a crescere. A bordo c’erano una cinquantina di persone, uomini, donne e bambini di origine subsahariana, tranne un nordafricano, probabilmente lo scafista. Nessun superstite. Con la stagione del mare calmo, le partenze dalla zona di Sfax verso Lampedusa rischiano di intensificarsi, come mostrano i dati del Viminale, che segnano un incremento del 156% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il recente rapporto di EMSC (centro europeo per il traffico di migranti) pubblicato sul sito di Europol, si apre con una dura realtà: «L’instabilità economica prolungata e la persistente mancanza di opportunità in alcune economie africane potrebbero innescare un’altra ondata di migrazione irregolare verso l’Ue nel medio termine». Ondata che arriverà per mare ma anche sulla rotta dei Balcani, nonostante la chiusura dei confini.

Nel 2020, il numero dei migranti arrivati in Italia, registrati dal Ministero degli Interni, è di 5.472 persone, dalla Tunisia il triplo dell’anno scorso; si tratta di disperati che sognano l’Europa sia per questioni di guerra o discriminazione che per la nuova crisi economica scatenata dalla pandemia. Il crollo del turismo, unica fonte di reddito di molti Paesi africani, ha peggiorato una situazione già al limite e il rischio di una marea umana in movimento verso Nord non è più in effetti una remota ipotesi. Trovano terreno fertile gli aguzzini, specialmente in una Libia a caccia di soldi facili per finanziare al guerra civile e nella Tunisia che vive letteralmente di turismo straniero e deve affrontare una disoccupazione improvvisa.

Bruxelles da tempo pare giochicchiare con il problema, dando un aiuto di qui, organizzando una missione di là, apparentemente senza una vera strategia coordinata, affrontando – e non sempre efficacemente – solo le emergenze contingenti. Se la UE ha in questo momento altre priorità, assolutamente condivisibili, provano ad agire gli Stati che si trovano “al fronte” di questa guerra dei poveri. Nei giorni scorsi, per la prima volta, è stato presentato un documento congiunto sottoscritto da Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta che propone di rivedere il regolamento di Dublino sul diritto d’asilo. L’iniziativa ha trovato subito uno sponsor importante nella cancelliera Merkel, non nuova a dichiarare che «non si possono lasciare soli» gli Stati interessati; in vista dell’imminente presidenza di turno UE, ha chiesto alla Commissione di dare massima priorità e di approvare la riforma entro il 2020. Il piano di riforma prevede la redistribuzione dei migranti pro quota tra tutti gli Stati europei e linee guida per l’attività di SaR (ricerca e soccorso) in mare, anche per le organizzazioni private. Viene poi chiesto di modificare le responsabilità dei Paesi di prima accoglienza, lasciando loro i controlli sanitari ma con l’assistenza, in seconda fase, di un sistema di asilo forte di politiche di collaborazione tra gli Stati membri. Da ultimo, si chiede il rafforzamento degli accordi con i paesi di provenienza, per sostenerne la crescita economica al fine di scoraggiare le partenze.

Con l’aiuto del report stilato dallo IOM, l’Osservatorio sui migranti in sede Onu, proviamo ad analizzare qualche dato concreto. I migranti complessivi nel mondo sono circa 258 milioni, pari a circa il 3,4% della popolazione globale (dati 2017); circa il 49% sono donne e il 14% minorenni. L’Osservatorio stima che oltre 150 milioni siano impiegati come manodopera, tipicamente non specializzata, e contribuiscano per circa 3,5 trilioni di dollari (9,4%) al PIL mondiale, quello – ricordiamolo – concentrato per il 90% nei paesi cosiddetti avanzati. Associare questo aggettivo a lavoro sommerso, caporalato e soprusi ci risulta alquanto indigesto; preferiamo intendere la definizione come una tensione per questi Paesi a migliorarsi, un impegno per provare a diventare davvero avanzati per tutti indistintamente, un giorno. Un esempio pratico dell’importanza dei lavoratori migranti si è visto in Italia durante il lockdown, quando i braccianti stagionali da Romania e Bulgaria sono rimasti bloccati in patria per la chiusura dei confini: molti prodotti agricoli sono rimasti nei campi, gli approvvigionamenti sono stati traballanti e soprattutto i maggiori costi di produzione si sono riversati sui prezzi finali per il consumatore.

I migranti illegali sono stimati intorno ai 2,5 milioni, con un giro d’affari per i trafficanti su cifre difficilmente immaginabili: pur con un margine di errore molto ampio, si parla di una cifra tra 5,5 e 7 miliardi di dollari. Per evitare la nuova ondata, diventa necessario regolamentare, ora più che mai. Una difficoltà sembra rappresentata da un’agenda europea già molto fitta di priorità, come le norme applicative del pacchetto di misure per il rilancio dell’economia comunitaria e l’approvazione del bilancio pluriennale UE. Con la complicazione ulteriore di un probabile boicottaggio da parte dei Paesi nel gruppo Visegrad, da sempre contrario ad affrontare il tema, in un eccesso di sovranismo che trova proseliti anche in Italia tra politici e cittadini che forse non hanno ben compreso la realtà dei fatti: infilare la testa nelle rocce alpine, fingere che i barconi non partano e non partiranno sempre più spesso, non impedirà ai migranti di arrivare. Metterà a rischio la loro incolumità, questo sì; e si tradurrà inevitabilmente in un peso economico reale, oggettivo, che l’Italia e gli altri Paesi “al fronte” si troveranno a sostenere ognuno per se stesso. Al fine di neutralizzare i franchi tiratori già noti, cui potrebbero aggiungersi per “empatia” i paesi contrari al debito europeo, probabilmente sarebbe saggio affrontare la riforma del diritto d’asilo in un momento successivo alle discussioni di stampo economico.

È quindi molto probabile che in questa estate anomala gli Stati mediterranei saranno lasciati di nuovo a gestire in autonomia l’accoglienza, potendo contare sugli “amici” per condividere il carico e, auspichiamo, stringendo accordi, anche economici, con i Paesi di partenza, fondamentali nella prevenzione. Con l’autunno, però, speriamo davvero di poter festeggiare una riforma giusta, necessaria e rispettosa dei diritti di tutti, migranti regolari, migranti irregolari e, non dimentichiamolo, degli onesti cittadini residenti.