C’è una panchina bruciata che in pochi giorni è diventata un simulacro della città dell’amore. Sul quel rifugio precario la sera del 28 dicembre scorso, nei giardinetti di Porta Vescovo, è morto un giovane uomo, Kofi Boateng. L’ennesima storia dal finale tragico, che però sono in tanti a non voler rimuovere, non in una Verona che si dice capace e pronta alle emergenze, che non lascia indietro i più vulnerabili, che sa fare rete.

Non ci sta la Ronda della Carità, che conosceva bene questo giovane ghanese, figura ben nota ai servizi sociali per la sua assoluta fragilità. Così l’associazione che si occupa di senza tetto ha organizzato per sabato 4 gennaio alle 18 una fiaccolata (i dettagli si trovano al link https://www.facebook.com/events/711278266067536/) e una raccolta firme non solo per ricordare Kofi, ma soprattutto per chiedere una moratoria degli allontanamenti da rifugi e luoghi pubblici, come stazioni e bivacchi, per questi mesi freddi e permettere di avere un riparo per chi non può avere accesso ai dormitori.

La panchina dove è stato trovato Kofi Boateng, foto de La Ronda della Carità

A Verona nel 2019 sono morte quattro persone senza fissa dimora, e i servizi sociali sono a conoscenza di altri casi molto a rischio. «Non diamo solo coperte e un pasto caldo. Ci avviciniamo a storie difficili, a persone in estrema fragilità che la rete istituzionale di assistenza spesso conosce già. Ce l’hanno detto chiaramente che L. sarà il prossimo che morirà in strada. Per questo è durissimo accettare che non si riesca ad agire diversamente quando il primo nemico in questa stagione è il freddo. Quello lo si conosce e lo si può combattere – afferma Alberto Sperotto, vicepresidente della Ronda della Carità -. Ieri sera (la notte di Capodanno, ndr.) un volontario che segue L. lo ha trovato a terra, dolorante, spaventato e con un livido all’occhio. Gli aveva poi riferito di essere stato spinto da un passante al quale aveva chiesto della moneta. È stato chiamato il 118 e poi portato al pronto soccorso per fare accertamenti e valutare se fosse necessario un ricovero. Nel frattempo abbiamo verificato la disponibilità di un posto letto in caso di dimissione, e lo avevamo trovato. Peccato però che L. sia stato dimesso alle 2 di notte e a quell’ora il dormitorio abbia rifiutato di accoglierlo. Così siamo stati costretti a riportarlo, nel cuore della notte, al suo posto dove si rifugia, nonostante sia segnalato ai servizi sociali e tutti lo ritengano a rischio. Mi chiedo tra l’altro se sia il caso di dimettere dall’ospedale una persona fragile senza un accompagnamento specifico.»

La giunta comunale a inizio dicembre ha predisposto l’attivazione di 229 posti letto fino a fine marzo 2020, tra Samaritano, asilo notturno del Camploy, il dormitorio di via Spagnolo, la struttura di San Zeno in Monte, la parrocchia del Saval, Casa Bertoni in via don Nicola Mazza, e il rifugio di via Corbella a Ca’ di David, dedicato proprio a chi, senza una dimora fissa, non possa restare in strada per ragioni di salute, quindi anche a seguito di una dimissione ospedaliera. A questi posti, si aggiungono per le donne l’asilo notturno di via Molise, il dormitorio di via Nassar e di via Pigna, tutti posti gestiti dallo Sportello unico accoglienza.

Eppure tutto questo non basta. «A Verona non esistono i clochard, quelle figure un po’ romanzate che scelgono deliberatamente di vivere per strada – sottolinea Sperotto -. Qui si finisce su una panchina per molte ragioni, e non parliamo solo di persone senza lavoro. Anzi. D’estate davanti alla fiera alle 4 del mattino ci sono i furgoni dei caporali che assoldano a giornata braccia da impiegare nelle serre delle fragole, pagando 2 euro e mezzo all’ora. Altri guadagnano abbastanza per poter affittare un appartamento, peccato però che per il loro colore della pelle non lo trovino. Ci sono persone con regolare permesso di soggiorno che però perdono tutto quando subiscono gli sgomberi, perché la conseguenza di queste operazioni è un procedimento penale, dal quale non si sa come se ne venga fuori, e che soprattutto inficia il possesso del permesso di soggiorno. E così se l’opinione pubblica si sente più sicura quando si fanno azioni di questo tipo, in realtà molte persone scivolano legalmente nell’irregolarità e non hanno altre opportunità di lavoro se non in nero. Azioni altrettanto di grande effetto contro i caporali da parte della politica devo ancora vederne. Poi continuiamo a dire che questa è Verona e non Rosarno.»

Antonella Mezzani, “barbiera” volontaria, nell’angolo attrezzato in cui due volte al mese taglia barba e capelli

La quotidianità della Ronda non è solo fatta di raccolta e distribuzione di coperte, di cibo e bevande calde, di abiti. Ormai dopo 25 anni di attività l’incontro con le persone in assoluta marginalità si intreccia con l’impegno personale di diversi volontari, ma anche con la collaborazione con le reti istituzionali e associative del territorio. La scorsa estate durante un incontro al monastero di Sezano si sono trovate in 29 realtà di diversa natura, ma ugualmente interessate a lavorare insieme, a supportarsi nel rispondere ai bisogni che ciascuno incontra sulle strade della città. «Noi siamo sempre quelli del primo contatto, delle coperte, della risposta al bisogno primario, ma come possiamo far finta che basti? Ci sono persone con problemi psichici che non hanno una casa e devono seguire una terapia – sottolinea Antonella Mezzani, parrucchiera di Peschiera del Garda, da più di un anno impegnata come volontaria ma anche come barbiere di strada -. C’è ad esempio E. che ogni volta dev’essere convinto ad andare in reparto per prendere la sua medicina. Non so mai dove lo trovo, quindi mi ci vuole del tempo per raggiungerlo e poi altrettanto per convincerlo. Per fortuna che il suo medico ci dà ampia disponibilità di accesso, altrimenti se dovessi rispettare degli orari e giorni rigidi non so come potrei fare.»

E poi c’è la famiglia, con due figli di cui uno minorenne, che si trova per strada nonostante il padre abbia un lavoro a Verona, e per questioni di residenza in un altro comune non viene presa in carico dai servizi scaligeri. Oppure c’è C. che dopo una serie di prove pesanti e l’aggravarsi della sua situazione di salute potrebbe ricevere il trapianto di fegato, però è stato dimesso senza alcun intervento, perché non si è riusciti a trovare una rete di assistenza post operatoria. Sulla lettera di dimissione si legge che l’intervento sarebbe incompatibile con il suo stato sociale.

«A febbraio a soli 24 anni è morto Amadou Càmara – riprende Sperotto -. Non era un alcolista, ma non ha retto il freddo. La sua era una storia drammatica, bambino orfano, lavoratore a soli 12 anni nelle miniere. Ha affrontato il viaggio verso la Libia e poi l’Europa, perché aveva avuto un figlio e desiderava dargli un futuro, mettendo da parte seimila euro con cui aprire un bazar. Invece è finito in strada per ragioni di documenti, si è ammalato gravemente e nonostante il ricovero non ce l’ha fatta. Per rimpatriare il corpo, sono stati spesi proprio quei seimila euro, che lui sperava di raccogliere per costruire una vita diversa

Dal primo gennaio la Ronda ha attivato un nuovo progetto, quello della colazione in via Campo Marzo, dalle 8 alle 9 del mattino. Sono una trentina i volontari, oltre i 220 che si alternano per i turni in notturna, che si sono impegnati a garantire il servizio, cui si affianca due domeniche al mese, la prima e la terza, quello di barbiere di strada. «Non lo faccio solo io – ci tiene a specificare la “barbiera” Antonella -, ho anche degli aiutanti molto bravi. A qualcuno sto insegnando come fare, perché è bene se si sentono coinvolti e danno un contributo. È bello vedere che qui si incontrano, si salutano, creano una relazione che per strada, di notte, spesso è impossibile.»

Alcuni scorci del nuovo spazio aperto dalla Ronda della Carità il 1 gennaio
in via Campo Marzo

C’è un’altra luce, di giorno. Guardarsi negli occhi è più facile. Magari pure fidarsi di chi ti può aiutare è meno complicato. «Verona ha una rete capace di dare risposte, però in molte situazioni, specie nei fine settimana o nei giorni festivi, ci troviamo praticamente soli, noi e il 118 – conclude Sperotto -. Di fronte alla morte di una persona a causa del freddo, in una città come la nostra, ci deve essere una responsabilità istituzionale, non possiamo salvarci dicendo che abbiamo fatto del nostro meglio. E nemmeno pensare che un’associazione di volontari possa rispondere da sola a emergenze, che sono sempre più parte del quotidiano».