Da qualche settimana siamo entrati, almeno in Italia, nella quarta fase di questa epoca del Covid-19. I primi giorni furono quelli della sorpresa, dell’evento inatteso, dell’infodemia. Le mascherine sembravano utili solo a coloro che lavoravano negli ospedali. La realtà era, piuttosto, che le mascherine non erano sufficienti e il rischio di una “corsa alla mascherina”, con problemi di ordine pubblico annessi e prezzi alle stelle, doveva essere scongiurato. Poi siamo entrati nel vero e proprio lockdown. Chiusura di tutto. Tutti a casa, scomodando vaghi ricordi cinematografici comenciniani. Se fuori c’è il caos si sta chiusi dentro. Città deserte e silenziose. Si esce solo con l’autocertificazione per andare al supermercato. Le scuole sono chiuse. Si impazzisce con le prime pratiche di didattica a distanza. Poi arriva lo strano indicatore: l’Rt. Se è sotto uno va bene, se sopra no. Se però è sotto 1,5 qualcosina si può fare. Sopra si torna a chiudere. C’è chi fa confusione e seppur nella sua autorevole carica politica (Assessore Sanità Lombardia) ci mette del suo per rendere le cose più contorte, ricordando che con un Rt a 0,5 ci vogliono due persone per contagiarne una, e non, più semplicemente che il contagio si sta diffondendo e diminuendo proporzionalmente per la metà. Strani calcoli matematici e strane similitudini.

Successivamente c’è stata la terza fase. Da maggio in poi si ricomincia ad aprire: le fabbriche, gli uffici, i ristoranti, le piazze. Le scuole no. Ormai tutti in DaD e tutti promossi. Le piazze in poco tempo diventano assembramenti. Si fa e si disfa. Non si capisce bene, ancora, cosa stia succedendo. Il desiderio di liberazione e del “tutti fuori” prevale. L’aperitivo, lo shopping, il lavoro, sotto il mantra: “l’economia deve riprendersi”, “se non si muore di Covid, si muore di fame”. Ci si mettono anche i negazionisti, i complottisti, e, scusate il neologismo, i corteisti, quelli che vanno ai cortei nel Covid-time. Insomma, ci riprendiamo e dobbiamo fare le vacanze. A proposito: c’è anche il Bonus vacanza e non vuoi approfittarne? E poi si arriva alla punta dell’iceberg: le discoteche riaprono. Si balla, meglio all’aperto ma distanziati. Se troppo vicini con la mascherina. Cerco sul web ma discoteche con i danzanti in mascherina non ne trovo. È fuoriluogo, è da “sfigati”. Non c’è il “Coviddi”. Finché dopo il 15 agosto, si proprio quel giorno, si decide di chiuderle. Basta discoteche, che improvvisamente sembrano diventare la cuccagna per il Covid-19. Non si poteva pensarlo prima?

La priorità è salvare la scuola, bisogna ripartire tutti a settembre e tra una preoccupazione e l’altra alla fine la scuola inizia sul serio. Il primo giorno gli adolescenti si abbracciano e si baciano. Non si vedono da mesi e come puoi fermarli? Le mascherine per strada sono obbligatorie solo in caso di assembramento, altrimenti se ne può fare a meno. Poi piano piano l’Rt comincia a salire. E subito le mascherine ritornano obbligatorie. Non basta, in meno di quindici giorni si passa dall’apertura totale al lockdown light. Sono le nuove parole che non dimenticheremo facilmente. Adesso, però, tutto va su base regionale. C’è chi è rosso, arancione e giallo, dipende sempre tutto da quel fatidico Rt. C’è poi il Veneto “Giallo Plus”, così definito dal suo Presidente. Un po’ più di giallo e un po’ meno di arancione. Come un Smartphone, c’è il modello base e il modello superiore.

Intanto i morti, purtroppo, tornano a salire e così le terapie intensive. I personaggi famosi raccontano le loro storie di Covid. A parte i giocatori, che sembrano solo accusare un raffreddore, ne raccontano di tremende. Lo fanno Gerry Scotti, Carlo Conti, Iva Zanicchi, tra gli ultimi. Intanto muoiono Sepulveda, Lucia Bosé, Kenzo, Pino Scaccia, Stefano D’Orazio e tanti altri. E tragico è quello che accade negli ospedali. Qualcosa di nemmeno lontanamente immaginabile da chi non c’è stato. Non a caso qualche medico offre una visita gratuita nei reparti Covid ai negazionisti. Così, per farsi un’idea. Nel frattempo le elezioni americane ci consegnano un nuovo Presidente Made in USA, Joe Biden, e se non ci fosse stato il Covid, chissà cosa sarebbe davvero successo.

Stiamo vivendo il momento peggiore. È una specie di guerra di logoramento, in trincea, dalle proprie case. Siamo tutti qua ad aspettare un segnale positivo, qualcosa che ci permetta di tornare ad assaporare una nuova normalità. Lo vogliamo. Lo cerchiamo. E ogni tanto lo troviamo. Per fortuna, infatti, sul fronte vaccini stanno arrivando buone notizie. Ma i no-vax e i complottasti rialzano la cresta. E poi in testa nascono quelle domande che tutti si fanno: quanti soldi ci sono in ballo? Ci saranno dosi per tutti? E se non funzionasse? Meglio aspettare che lo provino gli altri! Ecc…
Insomma siamo qua, navigando a vista con tante storie che non emergono e che invece potrebbero farci riflettere. Come quella di una ragazza di quindici anni che ha il Covid. È chiusa in camera sua da 23 giorni perché i genitori e i fratelli sono negativi. Mangia in camera da sola e passa le sue giornate in attesa del nuovo tampone. Fra lezioni, social e telefonate ci racconta che gli mancano gli altri, gli abbracci, il contatto, la vicinanza. E come darle torto. Ma dobbiamo anche sapere, perché questo è in fondo il messaggio più importante, che quando un giorno torneremo a poter stare più vicini non sarà sufficiente un bacio, una carezza e un abbraccio. Sarà un dovere morale ascoltare le storie sofferte che molti si portano e si porteranno dentro. Soprattutto, anche se non solo, dei più giovani, perché – come dice la stessa ragazza – nessuno li sta ascoltando.