Il percorso per l’autonomia pare già destinato a perdersi nei giochi del Parlamento.

Dopo il botto iniziale, la questione Autonomia è passata pian piano in secondo piano (ricordate l’articolo di qualche giorno fa sul giornalismo?), in teoria per questioni meramente tecniche. Ma non è così: la battaglia è tutta politica e l’obiettivo, neanche troppo velatamente, è depotenziare le richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Come visto su questo giornale, richieste potenzialmente esplosive.

Barbara Lezzi

La recente uscita di Barbara Lezzi (MS5), che chiede di verificare l’idea di un’autonomia a saldo invariato (più soldi per tutti con gli stessi soldi: in effetti…), certifica la sostanziale resistenza dell’MS5 al progetto. Troppo rischioso perdere l’elettorato del Sud mentre il movimento è già in sofferenza. Meglio allora condividere la linea dei Governatori di Puglia, Campania e Sicilia che osteggiano l’autonomia (degli altri, ovviamente) piuttosto che cercare consensi improbabili nei feudi leghisti. Specie dopo il reddito di cittadinanza.

Nemmeno la Lega, però, pare insistere troppo. Certo, ufficialmente pretende un iter veloce, con un ruolo di mera ratifica del Parlamento all’accordo. Davvero è così? Il solo Zaia martella minacciando la tenuta del Governo, rassicurando le regioni del Sud con lettere aperte, parlando di provvidenza storica inarrestabile. Ma quella del governatore del Veneto è una vox in deserto clamans. La Lega, infatti, nella lettura salviniana punta ad essere partito della Nazione e ha smarrito la vocazione autonomista, come certifica l’uscita di Enzo Flego. Tant’è che il Ministro, al momento, sembra più preso dalle vicende del Milan.

Tutte le forze di governo non possono soddisfare una parte del paese senza inimicarsi l’altra. Missione impossibile. Come fare allora? Semplice: iniziare un percorso che non avrà fine. La politica del labirinto.

Ora, l’art. 116 afferma: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Si, ma con quale iter? Da inventare.

Ecco, quindi, spuntare l’ipotesi di una doppia lettura (concordi i presidenti delle camere, che dettano i tempi parlamentari) che prevede almeno 3 mesi da un passaggio all’altro. A ogni passaggio, un compromesso al ribasso, moltiplicato per due, Camera e Senato. Sempre che, nel frattempo, il Governo non cada: o forse, proprio nell’attesa.

Era il lontano 22 ottobre 2017 quando uno Zaia trionfante annunciava il risultato del referendum in Veneto. A quasi due anni, non sono stati individuati né l’iter né una maggioranza coesa né un documento ufficiale, rispettoso delle aspettative degli autonomisti veneti quanto della Costituzione.

Luca Zaia

Così, mentre gli autonomisti catalani rischiano, dopo aver vinto il loro referendum, pene detentive pesanti in un alone di martirio, Luca Zaia, invece, percepisce netto il rischio peggiore per un politico: il ridicolo. Sarebbe per l’elettorato inaccettabile non ottenere il massimo risultato politico con la Lega al suo massimo storico. Il contraccolpo sarebbe durissimo. La credibilità nel vento.

Il Veneto, dunque, come Teseo, pare perso in un labirinto, in cui il Minotauro è sempre più distante e indistinguibile e il filo sfugge, intenta com’è Arianna a farsi selfie.