Domenica di novembre, tutti in attesa di un vertice fiume tra Governo, Regioni e Comuni che dovrebbe affrontare con urgenza la diffusione di contagi Covid fuori controllo. Chiuderanno? Tutto o solo qualcosa? Su tutto il territorio nazionale o secondo il metodo delle zone rosse? Risparmieranno le attività lavorative o la scuola? E mentre si sta a tavola in un pranzo consolatorio dalle restrizioni per decreto, ci si trova faccia a faccia con il nonno, mentre deflagra l’ipotesi di costringere in casa gli ultrasettantenni. La nuova soluzione sarebbe insomma non limitare gli spostamenti di chi potrebbe contagiare, ma di chi potrebbe venire contagiato, subendone le più serie conseguenze.


Avevamo ormai assistito a qualsiasi tipo di selezione cautelare: tra lavori in presenza e lavori da casa, tra lezioni scolastiche consuete e dialogando con un tablet, perfino tra bar e ristoranti, apertivi e cene.

Mancava solo la selezione generazionale. Magari efficace, magari inevitabile, ma ancora una volta difficile da affrontare con lucidità.

Tanto più in una domenica di novembre, a tavola con il nonno davanti. Vaglielo a dire che è meglio per lui e per tutti se si chiude in casa, mentre figli e nipoti se ne vanno a lavorare e a scuola! Sei lì che cerchi il modo, le parole, ma a sorpresa ci pensa con un tweet, dal suo account di Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. Poche storie, pochi giri di parole: gli ultra settantenni sono «persone perlopiù in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese».

Il tweet incriminato


Mancava solo una frase del genere, per accedere le polveri degli umori popolari.
Ecco che nel giro di qualche minuto l’ipotesi di un provvedimento con una sua sensatezza, è diventata un insulto alla dignità di una buona fetta della popolazione.
L’efficientissimo tribunale popolare, in camera di consiglio permanente sui social ha subito sentenziato la disumanità e inciviltà del Governatore della Liguria, costretto a una serie di carambole mediatiche per cercare di recuperare. Inutile, troppo grave la frase, troppo pesante l’effetto.

Mi occorre il dovere di dire chiaramente che di Giovanni Toti sono stato a lungo collega e con lui ho un rapporto di buona – sebbene non certo assidua – amicizia. Per quanto lo conosco, cioè come persona mite e riflessiva, ma anche politico moderato ed estremamente accorto, sono portato a pensare che si sia trattato non di una presa di posizione scellerata, ma di un bruttissimo scivolone comunicativo, tanto più che un post su Facebook, contemporaneo al tweet, articolava molto meglio il ragionamento, ponendo l’accento sulla possibilità di proteggere una categoria ad alto rischio, senza rischiare di creare un ulteriore danno all’economia.

Con una battuta si potrebbe anche dire che quando l’attuale governatore della Liguria venne investito della direzione contemporanea di due telegiornali, a Mediaset, il suo (e mio…) editore era ormai prossimo agli ottant’anni. E ben difficile da definire inutile allo sforzo produttivo del Paese… Il danno comunicativo – però – è stato quasi irreparabile.


Ora, il ragionamento che va fatto non è tanto sulla persona di Giovanni Toti e sulle valutazione che su di lui ognuno è libero di fare o non fare, ma proprio sulla comunicazione.

Abbiamo attraversato due mesi drammatici, nei quali l’unico luogo nel quale potevamo confrontarci e confortarci erano i social. La politica l’ha ben capito e nei mesi seguenti ci ha tenuti inchiodati nello stesso luogo, seppellendoci di propaganda mascherata da solidarietà d’opinione.

Perfino quegli esperti che nell’incertezza totale potevano esserci di ristoro, sono volentieri scesi nella piazza virtuale, spesso agitando ancora di più gli animi. Insomma siamo ormai ben oltre la crisi di nervi e trascorriamo le giornate letteralmente appesi alle parole.

Ecco, lo dico al mio amico Giovanni Toti e con lui a chiunque altro ricopra una carica istituzionale: davvero non ci si può permettere di affidarsi alla nostra capacità di ponderare, perché l’abbiamo irrimediabilmente esaurita. Oggi non esiste la frase sbagliata, esiste la frase drammaticamente pericolosa. Non esiste la parola che può non rispecchiare fedelmente in concetto, esiste la parola che fa danni.
Oggi non si intende male, perché si vive peggio. Siamo in quella piazza, frastornati dalle nostre stesse voci e non ci possiamo permettere di sentirne urlare altre, magari maldestre.