In un paesino in Brasile, un ragazzino si avvicina al cantante di una band. In mano ha il vinile del loro primo disco, ormai introvabile. “Sono cresciuto con la vostra musica”, gli dice estasiato. Se il complesso in questione fosse, per dire, degli U2, saremmo nell’alveo della normalità. Invece si tratta dei Los Fastidios e lui ė Enrico De Angelis, cantante e autore del gruppo ska nato a Verona in Borgo Venezia nel 1991 e famoso più all’estero che a casa propria. Mentre ne parla, sembra ancora emozionarsi al pensiero di quel curioso episodio, come ricordando il più recente duetto con Paul Heaton, cantante degli Housemartins e suo idolo giovanile, coinvolto nell’accattivante “I have a dream” uscito l’anno scorso.

Da un sogno realizzato, De Angelis, classe 1968, come i colleghi del settore e gli altri tre componenti della band si ė trovato quest’anno a dover gestire un incubo professionale. E se il matrimonio con Elisa Dixan, tour manager e saltuariamente sul palco a cantare, ha reso l’anno speciale sotto l’aspetto personale, sul piano lavorativo il ricorso ad extra creatività ed entusiasmo è stato necessario per ripartire.

Chiedervi com’è andato finora il 2020 potrebbe essere pleonastico. O forse no?
«Se parliamo di Covid, ha segato le gambe al mondo musicale», esordisce De Angelis, che non ama le circonlocuzioni quando serve andare al punto. «Per noi che viviamo anche di esibizioni dal vivo, ha significato innanzitutto dover rinviare quasi tutti i nostri concerti. Così abbiamo fatto tutto il possibile per non doverci ricordare di quest’anno solo per le negatività.»

I Los Fastidios sono conosciuti per le performance on-stage. Come vi siete gestiti in questo periodo particolare?
«Non è stato facile per noi abituati a suonare dal vivo. Facciamo in media centotrenta date l’anno e quasi tutte fuori dall’Italia. In tre anni il furgone con cui ci spostiamo [A guidare è sempre De Angelis] ha fatto trecentomila chilometri. Nel 2020 eravamo partiti alla grande, con richieste d’ingaggio continue. Poi è andata come sappiamo e ci riteniamo fortunati ad aver salvato giusto una dozzina di show in estate tra Germania, Svizzera e Svezia. Siamo tra i pochi che hanno avuto la possibilità di continuare a suonare in Europa.»

Enrico De Angelis, in primo piano, con i
Los Fastidios e Elisa DIxan

Domani, venerdì 30 ottobre, è prevista una manifestazione dei lavoratori dello spettacolo. Le limitazioni e le chiusure per la prevenzione dei contagi quanto hanno inciso in termini di danni?
«Non esibirsi significa veder svanire l’opportunità di vendere dischi e merchandising e noi abbiamo perso un centinaio di concerti. Possiamo sempre contare sul mercato online, ma non ė la stessa cosa. Devo spendere però una lancia verso i lavoratori dell’indotto, che sono i più penalizzati della filiera. Tecnici e montatori che vivono di musica live da marzo non vedono un Euro. Ad oggi non hanno alternative se non cambiare lavoro, impresa difficile di questi tempi.»

Come avete gestito il primo lockdown di marzo?
«In quei giorni eravamo in tour tra Minsk e Berlino. All’arrivo in Bielorussia ci hanno fatto il tampone appena scesi dall’aereo. Siamo stati monitorati tutto il tempo, anche durante l’esibizione, in una situazione quasi angosciante. Ripartire il mattino dopo ci ha risollevati. Ricordo che a Berlino la serata è stata fantastica. C’erano mille persone ad ascoltarci. Il peggio purtroppo sarebbe accaduto al rientro a casa.»

Ovvero?
«Dover restare chiusi in casa inizialmente è stata un’esperienza traumatica. Eravamo disperati. Non siamo però abituati a starcene con le mani in mano. Così è nata l’idea di esibirci sui social ogni giovedi. Lo abbiamo fatto per dodici settimane consecutive e si è rivelato un successo senza precedenti. Da quelle performance acustiche ė nato l’album “From lockdown to the world” che ha mantenuto lo spirito e le sonorità se vogliamo un po’ grezze dei live e in cui ogni nota ė suonata col cuore.»

Uno dei vostri album di maggior successo s’intitola “Joy joy joy”. Pensare positivo sarà necessario anche nelle prossime settimane?
«È la nostra filosofia. Si riflette sui pezzi, in cui comunque sono contenuti messaggi contro il razzismo, il sessismo e l’omofobia. Cantiamo in tutte le lingue, scriviamo e suoniamo cercando di tirare fuori il meglio di noi stessi. Per dire, grazie a quella opportunità nata da un problema abbiamo ottenuto sui social un successo senza precedenti. Ora speriamo bene per il 2021. Abbiamo ripianificato le date cancellate. Ė il trentennale della band e vorremmo festeggiarlo con un grande tour.»

A proposito, sapete già dove suonerete in Italia?
«Per ora non abbiamo date già fissate. Il problema qui sono gli spazi a disposizione. Per il mondo underground ce ne sono davvero pochi e in tanti siamo costretti ad emigrare per esibirci dal vivo. Pre Covid la situazione era identica. Qui se non hai qualcuno sopra di te che si arricchisce alle tue spalle difficilmente vai da qualche parte. Oltre al successo, all’estero riusciamo ad avere più visibilità ed essere apprezzati anche se non apparteniamo al mainstream. Da noi riuscire a far passare nelle grandi radio pezzi e gruppi non legati a certe case discografiche ė praticamente impossibile.»

È la storia che accumuna decine di gruppi come il vostro.
«Saremo anche la culla della civiltà ma ci siamo fermati là. In Germania chi suona è rispettato a prescindere del genere proposto. È considerato espressione culturale. Giovanile, di nicchia, non importa: non per questo è da disprezzare. Qui invece siamo imbrigliati dalle scelte di ciò che è imposto. Se non sei di moda, ciao.»

Come si potrebbe rilanciare la musica dal vivo italiana?
«I centri giovanili tedeschi dovrebbero essere presi come modello. Sono luoghi di aggregazione e stimolo culturale, talvolta gestiti da teenager coinvolti anche sul piano organizzativo. Ne esistono ovunque, in grandi città ed in campagna.»

Il vostro coinvolgimento nel settore è totale: negozio online, merchandising ma pure etichetta discografica.
«La Kob Records ha quindici anni di produzioni alle spalle. Abbiamo lanciato gruppi come i Talco, di Marghera, band eclatante che sta riscuotendo grande successo in Spagna. Poi le Iene, gli Ash Pipe e i Lumpen, che tra l’altro hanno inciso l’inno ufficiale del Cosenza.»

Enrico ed Elisa alla presentazione della Virtus Verona,
di cui animano il sostegno allo stadio

Un po’ come voi con Reds in the Blue, canzone che lega musica, Virtus Verona e sottoculture?
«La Virtus ė più che un amore calcistico. Ad ogni concerto la sciarpa rossoblù è sempre con noi sul palco e quando possiamo siamo al Gavagnin a tifare insieme a tanti amici che ci raggiungono da ogni parte del mondo. Sogniamo un giorno di poter sostenere il club di Gigi Fresco con un azionariato popolare. Lui è un mito, una persona attenta al sociale come pochi. Gli abbiamo dedicato anche una canzone, “El Presidente”.»

Una piccola Sankt Pauli in Borgo Venezia?
«Sarebbe fantastico. Oltretutto una canzone di Enrico è suonata allo stadio del Sankt Pauli ad ogni partita», puntualizza Elisa «e a Gigi abbiamo regalato il libro della storia del club tradotta in italiano. A proposito della sua sensibilità, non ha mai mancato un invito a partecipare insieme ad un paio di suoi giocatori ai mondiali di calcio antirazzisti in cui siamo coinvolti.»

«Fresco è un uomo speciale – chiosa De Angelis – e in fondo lo trovo molto simile a me per il modo come lui ha dedicato la sua vita alla Virtus e io alla musica. Il calcio è la mia grande passione mentre la musica è l’essenza della mia vita. Ma in fondo tutti hanno nella testa una colonna sonora che scandisce gli eventi della propria esistenza. Ed è impossibile farne a meno, qualsiasi cosa accada.»