In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo da un anno a questa parte, sembra quasi irriverente parlare di gioco. Eppure, l’elemento ludico pervade gli animi e le vite di tutti noi nell’arco della nostra intera vita: da quando siamo in fasce all’età adolescenziale fino ad arrivare all’età adulta. Perché alla fine gioco è socialità, l’aspetto della vita che più ci è mancato in questi ultimi mesi. Per questo, abbiamo deciso di parlarne con Giuseppe Giacon, vicepresidente dell’Associazione Giochi Antichi, per capire insieme a lui come si svolgerà l’edizione 2021 del Tocatì, il Festival Internazionale dei giochi in strada, ma non solo. 

Giacon, lo scorso 24 marzo il Tocatì è stato approvato nell’insieme delle candidature italiane da sottoporre al Comitato UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale. Che cosa comporterà questo per il Festival? 

Giuseppe Giacon

«Il percorso compiuto verso la candidatura ci ha anzitutto aperto un mondo di relazioni e conoscenze, e quindi di crescita, nel tema dei beni immateriali, cioè di tutto ciò che riguarda l’espressione tradizionale del territorio e delle sue comunità, in stretta collaborazione con l’ambiente circostante e la sua storia. Sono, in sostanza, tutte le espressioni creative che conoscono un radicamento nel tempo ma che vivono ancora tra le persone. Se avremo una risposta affermativa e, quindi, un riconoscimento di buona pratica, questo rappresenterà uno step importantissimo per la nostra associazione e per tutto il “sistema” che sta alle spalle del progetto. Non stiamo candidando solo i quattro giorni dell’evento del Tocatì, ma un programma di attività permanente di salvaguardia dei giochi e degli sport tradizionali, che ha alle spalle un lavoro continuo e a più livelli, che vede coinvolti tra organizzazioni no-profit, imprese, istituzioni, fondazioni, soggetti tutti diversi tra loro che si uniscono per un obiettivo comune. Ci fa anche molto piacere che, quest’anno, il Ministero della Cultura abbia indicato la nostra candidatura come prioritaria rispetto a tutte le altre, proprio per la sua peculiarità. Inoltre, altro elemento di forza consiste nel fatto che la candidatura non sia stata presentata solo dal Ministero della Cultura italiano, ma anche da altri quattro Paesi (Cipro, Croazia, Belgio e Francia), con cui abbiamo lavorato per ben quattro anni per costruire insieme attività, per scambiare esperienze, visioni, pratiche.»

Qual è stato il merito dell’Associazione Giochi Antichi e del Festival Tocatì nel ricreare un rapporto con la città e con i suoi territori? Che cosa comporterà la candidatura UNESCO per la città di Verona?

«Se ripercorriamo la storia del Tocatì, in effetti l’obiettivo primario dell’AGA è la salvaguardia dei beni culturali immateriali, dunque, come li definisce la Convenzione UNESCO del 2003, “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how[…] che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale”. Quindi è sicuramente fondamentale la creazione di un legame tra comunità e territorio. Ma uno dei punti di forza dell’Associazione è stato il saper guardare oltre le mura della città, per costruire un luogo in cui le diversità culturali e identitarie fossero considerate ricchezze da mettere a confronto. Tutto questo, naturalmente, attraverso la dimensione dei giochi e degli sport tradizionali. Al centro c’è quindi il tema della comunità, insieme a tutto ciò che questo comporta da un punto di vista sociale, valoriale, antropologico ecc. ma a cui si uniscono anche uno sguardo internazionale e una serie di relazioni che hanno portato un enorme arricchimento al progetto Tocatì.  Dal 2005 – quindi dalla terza edizione del Tocatì – abbiamo infatti aperto il Festival a un ospite d’onore, diverso ogni anno, favorendo il confronto con altre culture, che arrivavano spesso da parti del mondo molto lontane da noi, come la Cina o il Messico. Lavoravamo con organizzazioni autoctone, con i loro Ministeri, i loro istituti di cultura, le loro università, e in cambio abbiamo ricevuto l’arrivo di intere comunità nella città di Verona. Inoltre, il gioco facilita la riuscita di questo percorso, perché è un linguaggio universale.»

Come è stata vissuta la scorsa edizione del Tocatì, costretta a limitarsi a causa della pandemia di Covid-19? Da cosa è nata l’idea di creare un Festival diffuso?

«Le opzioni erano due: non organizzare il Festival – scelta del tutto legittima, visti i tempi – o ripensare il Festival in chiavi diverse. È stato complicato perché il Tocatì è movimento, è socialità, è contatto tra le persone, è un momento in cui le piazze, le strade, i vicoli, ogni angolo della città si apre per accogliere momenti di convivenza. Ci siamo quindi chiesti come provare a raccontare l’Italia nei mesi di lockdown e, in particolare, l’Italia dei borghi: mai come in questo periodo stiamo realizzando che queste realtà rappresentano luoghi spesso marginali e sconosciuti agli italiani stessi. Da questo è nata l’idea di un Festival diffuso: abbiamo scelto 13 borghi italiani, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, costruito una piattaforma di racconto con l’ausilio del digitale e poi organizzato l’evento a Verona in estrema sicurezza, ripensandolo completamente. Abbiamo scelto i luoghi “di sofferenza” della pandemia, cioè i luoghi della cultura, come centri propulsori del Festival e quindi abbiamo usato, ad esempio, gli spazi dei Musei Civici veronesi, che di solito erano utilizzati in maniera marginale, il cortile del Museo di Castelvecchio, il Museo degli Affreschi, il Museo di Storia Naturale, palazzi antichi privati… ripensando il Tocatì anche in una chiave di ri-scoperta della città di Verona.»

Sono state ufficializzate da poco le date dell’edizione 2021, programmata dal 17 al 19 settembre: cosa ci dobbiamo aspettare?

«Non sveleremo – per scaramanzia – l’ospite d’onore di quest’anno, ma stiamo cercando in ogni modo, rispettando naturalmente tutte le indicazioni sanitarie che ci vengono date, di tornare ad avere un ospite internazionale. Possiamo solo anticipare che l’edizione 2021 si presenterà con una formula totalmente diversa da quella usata fino al 2019. Le restrizioni saranno ancora piuttosto significative, dunque saremo sempre molto cauti, ma ci auguriamo di poter tornare presto a vivere e giocare nelle piazze e nelle strade della nostra città.»

Nel 2021 si celebrano anche i 700 dalla morte di Dante Alighieri, che ricordava Verona come “primo refugio e ‘l primo ostello”. Che cosa avete previsto per ricordare lo stretto legame che univa il Sommo Poeta alla nostra città? 

«In pochi sanno che Dante e il figlio Pietro erano appassionati giocatori di scacchi, tanto che Dante stesso dedica alcuni versi a questo gioco proprio nel canto XXVIII del Paradiso. Sicuramente, quindi, stiamo pensando di includere la figura di Dante nell’evento 2021, inserendo i giochi da tavoliere in uno scenario collegato al Poeta, magari anche arricchito dalla presenza di attori della scena veronese per la lettura del canto. È molto importante per noi questa celebrazione, perché siamo di fronte, oltre che ad un personaggio fondamentale per Verona e per l’Italia tutta, anche ad un grande giocatore.»

Tocatì è nato nel 2003 e negli anni è progressivamente diventato un punto di riferimento mondiale per gli appassionati del gioco tradizionale. Quali sono state le edizioni più segnanti e cosa state studiando per celebrare, i vent’anni del Festival?

«In effetti per la ventesima edizione abbiamo già delle idee a cui stiamo già lavorando. Di solito dedichiamo a ogni edizione circa tre anni, dunque è un processo molto lungo quanto a programmazione, confronto, contenuti ecc. Sarà un’edizione ricchissima, per la quale ci auguriamo di essere tornati in una dimensione di socialità, perché questo è lo spirito del Festival. Pensando al passato, invece, è difficile però dire quali siano state le edizioni più segnanti per il Tocatì, perché ogni Paese ospite ha portato la sua cultura e la sua ricchezza, con tutto ciò che questo ha comportato, prima, durante e dopo l’evento. Sicuramente la prima edizione è stata quella che ci ha fatto intuire quale direzione seguire per il futuro. Al centro c’è sempre stato il tema della socialità, dell’incontro, a cui se ne sono aggiunti di nuovi nel corso del tempo: cittadini e cittadine veronesi chiedevano la riutilizzazione di spazi pubblici poco considerati o marginali o la liberazione delle strade della città dalle automobili. Insomma, ogni edizione è stata un’iniezione di energia pazzesca. Un altro step importante però è stata la decisione di non chiuderci nella nostra realtà locale ma guardare oltre le mura di Verona, per creare quello che è ben più di un evento o uno spettacolo, ma una dimensione di grande comunità.»

Lo scorso gennaio si sono tenuti i primi incontri online del progetto Erasmus+ Opportunity, che ha come obiettivo l’inclusione sociale e la parità di genere. Di che cosa si tratta? Perché un’associazione che si occupa principalmente della salvaguardia del gioco tradizionale può avere un peso all’interno di queste dinamiche sociali?

«Erasmus+ Opportunity è un progetto che attraverso i giochi tradizionali mira a dare voce a due ambiti sociali molto importanti, due temi che appartengono all’umanità tutta, non solo – ci auguriamo – a una parte. Attraverso la dimensione del gioco, il tema dell’inclusione sociale e il tema delle diversità si percepisce in modo ancora più potente. Il gioco è un medium straordinario, che aiuta a entrare in relazione con l’altro, pur non conoscendolo e non conoscendo la sua cultura o la sua lingua. L’”altro” è un elemento determinante per attuare il ludico. Per quanto riguarda il tema della parità di genere, poi, grazie al Festival abbiamo sempre avuto la fortuna di girare l’Italia e il mondo ed entrare in contatto con giocatori e giocatrici e ci siamo resi conto del fatto che, per i giochi tradizionali, non esistano categorie maschili e femminili, come ci sono invece nello sport. Dove vi è la dimensione di gioco (e in questo bisogna quindi distinguere gioco e sport) le situazioni sono paritetiche, uomini e donne competono tra loro. Rimane la dimensione dell’àgon, ma le squadre sono miste. Dietro un mondo apparentemente chiuso come quello dei giochi tradizionali, ci sono in realtà degli straordinari esempi di apertura. Un esempio? I castells, le cosiddette torri umane catalane. Sono delle vere e proprie architetture umane formate da uomini, donne, bambini, disabili, migranti, senza differenze di età, genere, sesso, cultura. In una torre umana c’è tutta una comunità del paese: un fortissimo esempio di inclusione sociale, riconosciuto anche dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità.  Questo è ciò che per noi ha di contemporaneo la tradizione, che per essere tale deve saper essere anche vitale, sentita, non cristallizzata nel tempo. Per questo mi sento personalmente di dire che l’Associazione Giochi Antichi lavora su un approccio di mediazione culturale: non siamo storici o archeologi del gioco, ma invitiamo le comunità ad avere consapevolezza di sé e del proprio patrimonio.»

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