Francesca Businarolo, deputata al suo secondo mandato (è stata eletta per la prima volta nel 2013 e poi riconfermata nel 2018), può essere definita – senza tema di smentita – una delle “big” venete del Movimento Cinque Stelle. Molto attiva in varie e importanti Commissioni parlamentari e con decine di interrogazioni e inchieste al suo attivo, ha sempre avuto un occhio di riguardo per il suo territorio, il Veneto, di cui è emanazione alla Camera.

Onorevole Businarolo, a una settimana dal voto sul referendum e in Veneto cos’altro si potrebbe dire che ancora non è stato detto nelle analisi che si sono succedute da una settimana a questa parte? 

«Quello che non è stato detto è che i detrattori di questo voto referendario hanno perso. In Veneto, in questo senso, è arrivata la risposta più lampante dei cittadini a questi detrattori. Hanno votato Zaia, quindi non certo a favore dell’attuale governo, e si al referendum. Evidentemente era chiaro a tutti che era un quesito importante, con un significativo senso civico e civile sottostante. Un’idea che abbiamo portato avanti noi del Movimento, ma ad un certo punto l’hanno capito in tanti che era una riforma che era opportuno fare. Dal punto di vista invece delle elezioni regionali è evidente lo strapotere di Zaia.» 

Già. Perché secondo lei? Analizzando i dieci anni di governo di Zaia si può dire che i veneti abbiano premiato soprattutto la sua capacità di amministrare?

«Si. O meglio di non amministrare e portare avanti lo status quo. Va dato atto che Zaia ha una grande capacità di saper evitare i problemi. E ha sempre trovato i cavalli giusti su cui puntare. Crisanti ne é un esempio. Ma ha fatto anche scelte sbagliate, come ad esempio all’Ospedale di Borgo Trento. Ha nominato lui la persona responsabile dell’infezione dell’infezione di Citrobacter. Certo, poi la sovraesposizione mediatica che si è avuta nei mesi del lockdown e dell’emergenza da Covid l’ha portato a raggiungere numeri altissimi. I cittadini, di fatto, per settimane hanno visto solo lui. Poi c’è da dire che è un bravo comunicatore e la sua sovraesposizione ha indubbiamente pagato.»

Appena ha ottenuto il voto Zaia ha subito riparlato di autonomia. Che però sbandiera da dieci anni e che non è ancora riuscito a portare in Veneto, anche quando al governo c’era la Lega. Come mai secondo lei?

«In spirito di collaborazione e senza alcuna polemica posso dire che ai tempi del governo giallo-verde c’era stata un’amplissima apertura al discorso autonomia, anche da parte nostra. C’era, cioè, la volontà dei CinqueStelle di portare a casa un buon risultato in termini di autonomia per la regione. Sempre che si rimanga, ovviamente, nell’alveo costituzionale. Ed è stato questo il problema: non si possono lasciare alla Regione tutte le competenze e lui, al contrario, in pratica ha sempre spinto per volerle tutte. Andando anche contro la Costituzione. Non era possibile. Ad un certo punto è stato chiaro che non avrebbe potuto mantenere la promessa fatta ai suoi elettori se avesse insistito con quell’atteggiamento. Sembrava quasi che volesse “spaccare” per poter poi portare ancora una volta in campagna elettorale quella promessa. Ma d’altronde se non riesce ad ottenerla con il governo a trazione Lega e quando c’era la massima disponibilità da parte nostra che di quel governo facevamo parte, quando riuscirà ad ottenerla? Io temo che i cittadini verranno delusi ancora una volta.»

Veniamo a parlare anche dell’altra parte. Si può per molti aspetti dire che Zaia abbia avuto vita fin troppo facile. L’opposizione in Veneto pare non aver imparato nulla dalle precedenti sue due vittorie alle Regionali (ma allargando il campo alla gestione Galan, ai 25 anni di governo di centro-destra, ndr), tanto che in questo caso Zaia ha addirittura aumentato il suo consenso…

«Bisogna costruire di più. Bisogna proporre persone e alternative che siano più radicate, che riescano ad arrivare meglio ai cittadini. A nostro favore posso affermare che i candidati che avevamo, soprattutto i capilista, hanno sempre lavorato bene. Mi riferisco in particolare al nostro candidato Brusco, che si è sempre speso molto su Verona. Ma non è bastato. Il nostro candidato alla presidenza, Cappelletti, è un ex senatore ed è sempre stato molto presente sul territorio, però non ha passato la soglia del 3%. Non ho sicuramente la possibilità di dire cosa succederà in futuro. Partiamo da una percentuale molto bassa. È evidente che non è sufficiente una campagna elettorale di uno o due mesi, ma occorre partire prima ed essere ancora più attivi sul territorio.»

A questo proposito, fra un anno e mezzo a Verona si terranno le nuove amministrative. Alla luce di quanto detto finora, non sarebbe prematuro cominciare a parlarne fin da ora per le forze di opposizione. Inoltre, vista la coalizione nazionale giallorossa che governa il Paese, è possibile ipotizzare che il modello venga replicato anche in riva all’Adige? 

«Per andare insieme bisogna costruire un percorso fin dall’inizio. Con persone che abbiano una credibilità e che siano in grado di portare avanti un messaggio, un obiettivo, un programma. Insieme. Va anche detto che ci sono territori e territori. Verona, in questo senso, è sempre stata peculiare, con una forte tradizione di centro-destra, al contrario di altre province del Veneto. Il nostro, in quest’ottica, sarà indubbiamente un percorso in salita, ma non per questo impossibile. Prima di dire, però, che riprodurremo su Verona il modello nazionale, bisogna capire bene dove si vuole arrivare e ripartire da un modello ragionato. Un profondo ragionamento che nei CinqueStelle stiamo già facendo, ma che va esteso a tutte le forze che vogliono partecipare a un progetto politico di questo tipo.» 

Tornando a Zaia, che con la sua Lista ha surclassato anche la stessa Lega, pare evidente l’indicazione data dagli elettori: più liste civiche e meno partiti. È così? 

«È evidente che chi sceglie la Lista Zaia cerca un modo di fare politica più moderato di quello della Lega nazionale. Zaia è stato evidentemente bravo a discostarsi dal leader leghista Salvini, che spesso non piace ai suoi stessi elettori per i toni sempre aggressivi ed eccessivi. Chi anima le liste civiche sono quasi sempre persone che si prestano per il bene comune all’attività politica e quando arrivano a essere, ad esempio, sindaci di un paese, amministrano con vero intento civico. In quest’ottica anche questo è un ragionamento che si può fare, ma solo dopo aver capito – ribadisco – cosa si vuole fare per il bene della città. Che non significa unirsi allo scopo di vincere le elezioni e basta, ma significa avere un progetto serio, utile, concreto. Per la città e i suoi cittadini. Se riusciremo a trovare unità d’intenti cercheremo di raggiungere l’obiettivo cercando il consenso dei cittadini.»

Quali sono, allora, le priorità su cui è bene intervenire a Verona il prima possibile, secondo lei?

«Partendo dal piccolo e andando verso il grande, per prima cosa mi vengono in mente le caditoie. Occorre una buona gestione delle fogne. Ci sono zone di Verona che in maniera molto meno sporadica di quanto si pensi vanno sott’acqua al primo temporale. Poi, pensando ovviamente molto più in grande, mi preme sottolineare che va fatta una importante lotta alla corruzione e alla mafia. Se ne parla molto poco e si fa ancora meno. Quest’estate, però, è stato portato a termine un bel progetto che ha convertito una casa utilizzata dai mafiosi, a Santa Lucia, ora usata per aiutare le persone in difficoltà. È importante che un’amministrazione si faccia carico di questi aspetti. E d’altronde, allargando lo sguardo, gli appalti corrono sul filo di una buona gestione. Le due cose vanno a braccetto.»

Visti i recenti risultati deludenti dei CinqueStelle, cosa succederà a Francesca Businarolo qualora, alla prossima tornata elettorale, non dovesse esser rieletta? 

«Io in questo momento sono molto impegnata in quello che mi compete a livello nazionale. Sono ancora in Commissione Giustizia e mi sto occupando nella riforma del CSM con un grosso progetto, che mi vedrà impegnata in prima persona. Quello che succederà fra due anni e mezzo lo vedremo. Io, peraltro, sono al termine dei miei due mandati. Ho avuto la fortuna di vivere un’esperienza importante ad alti livelli. Mi piacerebbe comunque aiutare questo gruppo, pur non magari non venendo impegnata in prima linea.»