La Politica è costruita su Miti. Grandi narrazioni che di volta in volta definiscono l’essenza dell’essere Nazione e la comunità di Destino che forma un popolo. Miti o Narrazioni come li si voglia chiamare sono pure i lemmi del lessico Politico più comunemente utilizzati, ad esempio i concetti di “popolo” e “volontà popolare”, pressoché impossibili da definire e dai contorni sfocati se sottoposti all’analisi razionale. Eppure sono i Miti, più che la Razionalità, a muovere il mondo. Non ha importanza se veri o falsi, il Vero o il Falso non sono lo spazio del Mito. Esso esiste indipendentemente dalla Realtà per quanto non sia meno reale di essa, l’importante è vi si presti Fede.

Trump con il suo slogan “Make America Great Again” mutuato da Reagan, si muove esplicitamente nel territorio della narrazione Mitica concernente l’Eccezionalità e il Destino Manifesto degli USA. “Impero Riluttante” come sono stati definiti, eternamente in bilico tra la isolazionismo e volontà di dominio mondiale, gli USA avevano la necessità di trovare sulla via del loro lungo declino segnata dal debito più altro del mondo, dalla dipendenza dal capitale estero (Cinese in primis), da disuguaglianze economiche, sociali e razziali irrisolte e dalla competizione geopolitica con nuove potenze che aspirano ad essere globali, lo sciamano che evocasse la loro grandezza. Trump è  sciamano che indica al popolo americano il Destino Manifesto della Nazione: Tornare alla Grandezza. Alla mitica “Età dell’Oro” che viene a collocarsi in un passato Mitico che può divenire presente, perché il Tempo del mito non è lineare ma ciclico, Il Tempo dell’Eterno Ritorno. Quali siano i contenuti di questa “Grandezza” al popolo non è dato sapere. Il predominio militare mondiale? L’autosufficienza economica? Non importa. L’importante è offrire una Visione. 

Boris Johnson e i brexiters conoscono bene il mito della grandezza Britannica. Dismesso ormai da più di mezzo secolo il “Grande Impero” esteso sull’intero globo, del quale il Commowealth è solo la pallida orma impressa sulla sabbia, all’Inghilterra rimane solo il “piccolo Impero” limitato all’arcipelago britannico e un immenso patrimonio di memoria che è già Mito. Nelson, la Royal Navy e la talassocrazia, l’Union Jack che sventola su 1/3 del mondo, John Bull e la “Thin Red Line”, la Nazione Baciata dal Destino e la sua missione civilizzatrice della quale “Il fardello dell’uomo bianco” è il manifesto.

Questo e molto altro alimenta la narrazione della nostalgia imperiale del Regno Unito, la quale sta alla base della Brexit, Narrazione quella Imperiale era già fuori tempo massimo all’epoca dell’impresa di Suez, ultimo sussulto del colonialismo Europeo, ma che trova nuova linfa vitale nei miti dell’Anglosfera – ideologia di nicchia per i nostalgici dell’occidentalismo della quale i “Five Eyes” sono l’emanazione ipertecnologica – e del “Libero Mercato”. Non a caso lo sciamano britannico Boris Johnson, nell’evocare il luminoso destino che aspetta la UK libera dai vincoli europei utilizza l’immagine del veliero che solca i mari a vele spiegate, esplicito richiamo dei tempi nei quali la Royal Navy dominava i mari. Non importa che tutto questo nel Reale sia una narrazione, l’importante è l’effetto che fa nel Reale.

La forza dei miti senza progetto sovranisti sta racchiusa in questo. Nel recupero, più o meno consapevole di una mitologia che “mobiliti” le masse e funga da liturgia nella quale attivare un riconoscimento collettivo. E qui sta anche la debolezza di chi invoca la Razionalità come arma per contrastarli. 

Rispetto alle Narrazioni che abbiamo visto, la UE è un eterno progetto senza un Mito. Disegno utilitarista, basato sulla preminenza dell’Economia, è privo di una narrazione che gli dia lo slancio vitale, riducendosi a mero esercizio di applicazione di decisionismo burocratico. L’oggettiva difficoltà di trovare una narrazione mitologia di riferimento condivisa sta anche nel fatto che i precedenti storici che videro l’Europa unita, gli imperi militari Napoleonico e Nazista, non sono fruibili.

Eppure, la Grande Armee che si dissolse nelle immensità russe, in una dolente metafora dell’eterna dialettica di sangue tra occidente e oriente, fu un esercito “Europeo”, composta com’era da francesi, olandesi, belgi, italiani, polacchi, tedeschi, austriaci. I Miti grondano sangue, piaccia o meno alle delicate coscienze occidentali.

Troppo remoto il passato carolingio per essere fonte di mitologiche identificazioni collettive, nella storia europea rimane poco di utilizzabile. Il tentativo fatto con la Costituzione Europea di individuare un minimo comun denominatore culturale collettivo nelle “radici Cristiane” si è infranto nel 2007 contro lo scoglio del laicismo intransigente e da allora su ogni discorso riguardante l’identità europea è calato l’oblio. L’Europa rimane un progetto sospeso, privo di radici, ogni violento colpo di vento lo può farlo schiantare al suolo.

Per costruire un Mito occorre un passato comune da cui attingere. Oppure un evento traumatico che diventi momento di riconoscimento collettivo. Basti pensare alla Shoa Ebraica o al Medz Yeghern Armeno. O più recentemente i “Troubles” in Irlanda del Nord. Le tragedie fondono in una colata incandescente un Destino Comune. 

La pandemia di Covid 19 è il Cigno Nero che repentinamente ha messo in ginocchio il mondo intero e l’Occidente Atlantico in particolare. Ma potrebbe anche diventare l’occasione per iniziare a costruire un Mito di identificazione collettiva per l’Europa. Di fronte alla tragedia delle morti che non conosce confini, della crisi economica che falcerà posti di lavoro e vite, L’Europa ha l’occasione, speriamo irripetibile, di costruire la sua identità su di una reazione solidale come una sola identità che mette da parte le divisioni e reagisce unito a una catastrofe che accomuna tutti. Un interessantissimo saggio uscito qualche anno fa Robert Pogue Harrison nel suo saggio “Il Dominio dei Morti” arguiva che l’Aldilà domina talmente le nostre vite, che l’intera storia umana può essere vista come il frutto di una costante dialettica, fatta di collaborazione e perfino conflitto, tra i morti e i loro discendenti.

I Morti della Pandemia in questo senso possono e devono diventare una chiamata alla responsabilità di tutti gli stati membri della UE a tracciare un Destino comune condiviso, fatto di mutua solidarietà. I Morti giudicheranno i vivi e i vivi dovranno esser degni dei Morti. Se l’Europa lascerà da parte il funzionalismo economicista con cui è nata, le divisioni che la percorrono e soprattutto gli alibi che spesso hanno mascherato la mancanza di Volontà, i morti della Pandemia potranno diventare in maniera non retorica il vero humus su cui può prosperare la pianta viva dell’Europa. Il Mito di cui oggi ha disperatamente bisogno se vuole che la sua esistenza abbia un senso.