Qualche titolo per l’estate, con le caratteristiche di leggibilità che richiede la stagione, la vacanza, magari un viaggio. Quella che segue è una compilation tra passato e presente, penne femminili, maschili, italiane e straniere, tutti libri da recuperare nella libreria di casa, sugli scaffali degli ospiti o in qualche insospettabile bookcrossing.

Una stanza tutta per sé è un saggio sui generis scritto da Virginia Woolf sulla base di due conferenze tenute a Cambridge nel 1928, ne conserva l’eco del tono discorsivo e si legge come un romanzo che sorprende, ancora oggi, per l’affilata analisi della condizione della donna. Pubblicato con decenni di ritardo in Italia, ha ispirato infinite sessioni di autocoscienza femminista, pur parlando la lingua woolfiana che si rivolge indistintamente ai sessi.

La metafora della “stanza” spiega la necessità di autonomia economica della donna e anche il desiderio di essere sollevata dalle incombenze domestiche per poter dedicarsi alla scrittura e, più in generale, ai propri interessi.

Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf (A Room of One's Own, traduzione di Livio Bacchi Wilcock), SE, 2012.

Il tema viene ripreso dalla scrittrice Daria Martelli nel suo Scrittrice o scrittore? e anche questo libro nasce da conferenze e articoli dell’autrice. Sono qui esplorate le difficoltà che incontrano le autrici per essere pubblicate, oggi come in passato, quando dovevano ricorrere a pseudonimi maschili, perché il famoso “soffitto di cristallo” non è ancora del tutto sfondato. Martelli riconosce a Woolf e a Simone De Beauvoir il ruolo di madri simboliche delle “donne nuove” e provocatoriamente suggerisce di inserire, in ogni storia della letteratura «una pagina bianca dedicata alle “scrittrici ignote”, cancellate nella storiografia tradizionale, un gesto di pietas a riparazione del Canone compilato al maschile e dell’esclusione operata nei secoli».

La ricerca di Martelli si allarga ai problemi connessi al linguaggio, con la trappola grammaticale del maschile inclusivo e approfondisce l’argomento della creatività femminile, vista come una minaccia in passato, o relegata solo a lavori manuali senza che potesse avere una rappresentanza pari a quella maschile. Come altri testi di questa autrice, l’argomento viene trattato in modo accessibile a tutti, senza accademismi, e ne risulta un libro godibile anche in un momento di svago e non necessariamente di studio.

Scrittrice o scrittore? Una ricerca di genere sulla creatività letteraria, Daria Martelli, Cleup, 2015.

Estate e libri gialli da sempre vanno insieme e può facilmente coinvolgere la trilogia di Elisabetta Baldisserotto, che fa muovere il suo commissario Jacopo Zambon in una Venezia segreta, lontana dal clamore e dall’affollamento turistico. Tra calli, squeri, campi e campielli, si svolgono le indagini del commissario che con «gran calma» e senza certezze assolute, dipana i fili e i nodi di vicende che si intrecciano  con i problemi del nostro Paese. In Morire non è niente emerge il tema della pedofilia e Di là dall’acqua solleva il velo sul rimosso collettivo dei manicomi perché, proprio nell’isola di San Servolo, si trovava un manicomio, fino alla chiusura seguita alla legge Basaglia. Il terzo volume, Gli occhiali di Hemingway, comincia con la presentazione di un libro e poi si connette a fatti realmente accaduti a Venezia, in epoca risorgimentale.

Morire non è niente, Elisabetta Baldisserotto, Cleup, 2015.
Di là dall'acqua, Elisabetta Baldisserotto, Cleup, 2017.
Gli occhiai di Hemingway, Elisabetta Baldisserotto, Cleup, 2019.

Sono racconti quelli che compongono il volume La sposa, di Mauro Covacich. Indimenticabili almeno due. Il primo, che dà il titolo al libro, è ispirato alla storia vera di Pippa Bacca che, con l’amica Silvia Moro, aveva pensato di intraprendere un viaggio in autostop, vestita da sposa, il Brides on tour, ma l’amica sceglie di rinunciare alla performance e Pippa va all’incontro fatale. E poi Safari, che trasuda sconvolgente cinismo. Che si leggano uno per volta o tutti insieme per fare un’abbuffata, difficile restare indifferenti perché la prosa dell’autore scompiglia le carte tra realtà e invenzione e interroga, invita a riempire i buchi della trama, fare congetture, sperare ipotesi.

La sposa, Mauro Covacich, Bompiani, 2014.

Se c’è desiderio di letture lontane dal mainstream, escluse dalle top ten di vendita, ma ricche di una sottile ironia, si possono cercare i libri di Barbara Pym. Etichettata, a torto o a ragione, come la nuova Jane Austen, scrisse a partire dagli anni Quaranta del Novecento, cadde nel dimenticatoio negli anni Sessanta per essere poi riscoperta a fine anni Settanta come un “nuovo classico”.  In Italia ebbe non pochi estimatori,  tra cui Calvino, Fruttero e Lucentini. I suoi romanzi sono stati  recentemente ripubblicati e sono tutti disponibili in formato cartaceo o digitale. Per cominciare a conoscerla, si può leggere Donne eccellenti.

In questo romanzo, come negli altri, le protagoniste sono spinster, donne che si occupano di beneficienza, decorano di fiori la chiesa, si innamorano di curati, antropologi, professori senza qualità. La loro vita si compone di buone maniere, riti parrocchiali, giardinaggio, parole e gesti apparentemente banali. Una noia mortale? No, un modo di vivere come un altro, in campagna come in città, dove non scoppia mai la tragedia perché sublimata nel pettegolezzo, nutrito di letture, colte citazioni e innumerevoli tazze di tè.

Donne eccellenti, Barbara Pym (Excellent Women, traduz. di B. Mora), Astoria, 2012.

Se tra i lettori di Pym c’era Italo Calvino, pare ovvio suggerire la rilettura de Il sentiero dei nidi di ragno, che racconta la storia del furfantello Pin, a suo modo in cerca di tenerezza. Il libro, primo romanzo dell’autore, è nato dalla tensione morale tipica del dopoguerra, con tutta la voglia di uscirne presto per rinnovare la società. Neorealista ma non naturalista, per definizione dello stesso Calvino, risulta una lettura emozionante perché la realtà del paesaggio e delle storie è filtrata dagli occhi di un ragazzino, con l’ingenuità che tinge di fiabesco anche le scene più violente.

Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino, Einaudi, 1947. 

Il nome di Calvino si associa a quello di Cesare Pavese, almeno per quanto riguarda il destino della casa editrice Einaudi e di Pavese è quasi scontato, in questa occasione, scegliere il titolo più pertinente con la stagione, La bella estate. Si compone di tre romanzi brevi, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole e appunto La bella estate che titola il volume. Pubblicato nel 1949, ma scritto attorno agli anni Quaranta, raccoglie testi accomunati dalla solarità della stagione, vissuta in campagna e in città, insieme alla metafora della “festa” che porta i protagonisti e le protagoniste a crescere dall’ingenuità dell’adolescenza alla consapevolezza della maturità, quando non al suicidio, che poi l’autore sceglierà per sé, poco dopo aver ricevuto il Premio Strega, nel 1950, proprio con questo romanzo.

La rilettura di questo testo si suggerisce non solo e non tanto per i vistosi riferimenti autobiografici che si possono cogliere qua e là, quanto per riscoprire la critica dell’autore alla società borghese e, insieme alla sua desolazione, come tenacemente coltivava la cura delle parole e il desiderio di rinnovare la struttura del romanzo.

La bella estate, Cesare Pavese, Einaudi, 1949.

Calvino, Pavese e molti altri  esponenti della cultura del Novecento trovano posto nel saggio di Sandra Petrignani, La corsara, una biografia di Natalia Ginzburg strettamente intrecciata alle vicende della sua famiglia e alle persone che ha incontrato, amato, perduto, alle sue opere e ai fatti legati alla casa editrice torinese, Einaudi, fondata da Leone Ginzburg, a cui lavorò anche lei, a fine conflitto. È una lettura piacevole, ricca di spunti di approfondimento verso nostri autori e autrici, e si ritrovano connessioni stimolanti fra loro. Interessante ricordare i rapporti che intercorsero tra Pavese e Ginzburg.

Pavese aveva appena pubblicato Paesi tuoi e le indirizzò poche righe, nel suo stile, quando lei, con marito e figli era in confino a Pizzoli, in Abruzzo: «Cara Natalia, la smetta di fare figli e scriva un libro più bello del mio». Lo stesso Pavese poi l’aiutò, conferendole incarichi importanti nella casa editrice, quando Natalia cadde in depressione in seguito alla morte del marito Leone. Lei scrisse su di lui «pagine memorabili» racconta Petrignani, dispiacendosi della sua morte. Di Natalia Ginzburg possiamo rileggere, per esempio, Lessico famigliare e perderci nella lingua degli affetti di casa Levi.

La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, Sandra Petrignani, Neri Pozza, 2018.
Lessico famigliare, Natalia Ginzburg, Einaudi, 1963.

Fra i Premi Nobel del Novecento spicca quello dato a Doris Lessing nel 2007. Conosciuta e apprezzata nel nostro Paese soprattutto per Il taccuino d’oro, l’autrice non si è mai identificata con il filone femminista di scrittura, ha invece esplorato diversi generi letterari, dal romanzo, al testo teatrale, alla fantascienza, che disse di preferire.

Un suo romanzo, Il diario di una buona vicina (mai pubblicato in Italia con questo titolo) uscì con lo pseudonimo di Jane Somers nel 1983 e fu ignorato da critica e pubblico. L’anno dopo l’autrice si rivelò e non furono pochi quelli che dovettero fare capriole linguistiche per parlarne senza scusarsi. Al di là del gossip editoriale, il romanzo, in forma di diario, rimane uno dei testi chiave della sua opera. Racconta l’incontro e il rapporto tra una giovane giornalista di successo e una donna anziana che vive in povertà. La curiosità e la compassione lasciano il posto a un affetto sincero e lo scambio generazionale che ne deriva può dire molto, anche ai giorni nostri.

Il diario di Jane Somers, Doris Lessing (The Diary of a Good Neighbour, traduz. di Marisa Caramella), Feltrinelli, 1986.