Tra nubifragi tremendi e caldo afoso l’estate 2023 prosegue e, quanto a desideri e partenze, le sospirate vacanze non risentono più di tanto del cambiamento climatico, perciò arrivano puntuali i suggerimenti per qualche lettura tra novità e ristampe.

Cominciamo con La cartolina (Edizioni e/o, 2022) di Anne Berest che ci porta in Francia, e non solo, perché l’autrice allarga il contesto fino a toccare Auschwitz. Ma sebbene sia una storia vera sulle origini della propria famiglia, non è triste, e l’autrice riesce a coinvolgere chi legge in una sorta di suspence che si scioglie in modo imprevisto solo alla fine.

Chi ha scritto quella vecchia cartolina che arriva con gli auguri di Natale? E perché porta i nomi di persone sicuramente morte sessant’anni prima? Chi può aver fatto un’azione così spregevole di rivangare il dolore della perdita? Comincia una sorta di inchiesta, ad opera dell’ignara pronipote, in mezzo a polverose carte fortunosamente ritrovate e archivi distrutti, tra l’imbarazzo e la reticenza dei rari sopravvissuti e il silenzio dell’oblio storico.

La cartolina di Anne Berest, uscito da Edizioni e/o nel 2022

Indagare sui destini della famiglia Rabinovitch, dispersa dalla Russia zarista a partire dal 1919, diventa occasione per l’autrice di scoprire le sue radici ebree, mai esplorate con i genitori sessantottini e profondamente laici. Scoprirà che il significato di essere ebrea passa attraverso la consapevolezza dei rischi, delle umiliazioni e del lungo vagabondare fra Lituania, Palestina e Francia della sua famiglia.

Quattrocentocinquantasei pagine fitte di nomi e luoghi, memorie confuse e una traccia esile ma sicura: cosa vuol dire essere ebrei?

“Non riesco a far combaciare l’idea della mia famiglia con quel riferimento mitologico che è il genocidio […] ma oggi sono in grado di collegare tutti i punti tra loro per veder apparire, in mezzo alla costellazione di frammenti sparpagliati sulla pagina, una figura in cui finalmente mi riconosco: sono figlia e nipote di sopravvissuti”.

Un carcere da cui è difficile uscire

Nell’Italia del primo Novecento Emanuela Canepa ambienta il suo Resta con me, sorella (Einaudi, 2023) in cui troviamo Anita, una giovane donna che lavora come correttrice di bozze presso un giornale precedentemente diretto dal defunto padre. Dispone di competenze e cultura, ma non le sono di molto aiuto per fronteggiare pregiudizi e stereotipi di genere.

Anzi, si farà carico di un’ingiusta pena, al posto del fratello, imposta dal peso di responsabilità familiari a cui non riesce a sottrarsi. Quindi il carcere, la Giudecca a Venezia, un periodo di sofferta detenzione e una sola amicizia avversata da più parti a illuminare quel periodo.

Emanuela Canepa è in libreria con Resta con me, sorella, edito da Einaudi, 2023.

Difficile pensarsi diversa, osare immaginare un futuro di indipendenza economica quando la società e persino le persone che sembrano aiutarla non fanno che indicarle, come unica strada per “salvarsi”, il fidanzamento e il matrimonio.

L’autrice non fa nulla per alleggerire la tristezza che aleggia nella vita della protagonista, sembra anzi sottolinearla per scuotere chi legge e far riflettere su una condizione che accomuna la segregazione in carcere con quella tra le mura domestiche, sotto la volontà di un uomo.

Così era all’inizio del secolo scorso e non è casuale la citazione di Una donna, di Sibilla Aleramo, libro che viene “consigliato” alla protagonista da parte della sua datrice di lavoro e poi subito negato dal marito di lei, perché “scappare è sempre abdicare a una missione”.

Emanuela Canepa, già vincitrice del Premio Calvino 2017 per il romanzo L’animale femmina, si conferma come una narratrice che risulta efficace, senza cadere nel melò, anche quando si tratta della storia di una vita con forti limitazioni e  rinunce.

Sibilla Aleramo, Una donna da (ri)leggere

Il romanzo Una donna (Feltrinelli, 2012), citato sopra, può essere riscoperto e rivelarsi una lettura ancora valida ai giorni nostri. Pubblicato la prima volta nel 1906, ha reso famosa l’autrice, al secolo Marta Felicina Faccio, detta Rina, che firmò questo romanzo con lo pseudonimo inventato per lei, appunto Sibilla Aleramo, dal compagno Giovanni Cena.

Sulla figura dell’autrice in controtendenza con i tempi che viveva (1876 – 1960) si sono spese molte parole e anche insulti gratuiti riferendosi alla sua vita sentimentale, ma resta una scrittrice importante agli albori del XX secolo.

La copertina dell’edizione 2012 per la collana Universale economica Feltrinelli di Una donna di Sibilla Aleramo.

Aleramo racconta della sua infanzia e della sconfinata ammirazione per il padre, non accompagnata da altrettanta stima per la madre, che vede sottomessa e debole. La sua adolescenza è segnata dallo stupro a cui segue il matrimonio riparatore e la convivenza con un marito scostante e violento.

Eppure, superando crisi depressive e persino un tentato suicidio, si impone di accettare la vita di moglie, in un paese dove il pettegolezzo non la risparmia. L’unione è poi allietata dalla nascita di un figlio che lei ama sinceramente, nonostante il clima domestico le tarpi le ali e le serri un nodo alla gola sempre più stretto.

Il romanzo è strettamente autobiografico e si conclude con “l’abbandono del tetto coniugale”, la protagonista/autrice privata del diritto di vedere il figlio e della possibilità di accedere a una piccola eredità. La sua fu una scelta dirompente per i tempi,  vissuta in ristrettezze reali e poco bohémien, e narrata con lucido strazio, una ferita aperta che l’accompagnò per il resto della vita, in cui si dedicò con impegno e successo alla scrittura e, in misura minore, alla poesia.

Nella prefazione a una ristampa del 1950, che l’autrice apprezzò molto, per Feltrinelli, Cecchi sottolineava anche la sua denuncia coraggiosa e non ostentata, un’assoluta novità per l’epoca, insieme alla capacità di andare oltre, nella produzione successiva: “E quel rifiuto di fare l’eco a se stessa resta una fondamentale riprova della sua serietà e sincerità”.

Quindici storie di uomini in ricerca

Uscito di recente e subito balzato nella top ten italiana è Un buon posto in cui fermarsi, di Matteo Bussola (Einaudi, 2023) autore veronese di cui abbiamo già parlato perché i suoi testi serbano sempre qualche sorpresa rispetto i temi trattati e per la curatissima veste grafica in cui si presentano.

Quindici storie che prendono il titolo dal nome del protagonista, storie di fragilità, resilienza, scoperta di sé, accettazione dei propri limiti e del prossimo, paternità oltre il patriarcato. Sono uomini adulti, padri, mariti, bambini, adolescenti, giovani in cui affiora il gusto di provare, l’onestà di ammettere, il dubbio di credere.

Un buon posto in cui fermarsi, ultimo libro dello scrittore veronese Matteo Bussola, uscito con Einaudi, 2023.

Con il garbo che gli è proprio, Bussola confeziona narrazioni al maschile al di là del consueto, con spietata sincerità perché la sua penna sembra alludere al fatto che la vita non faccia sconti neppure agli uomini.

Soprattutto se si interrogano sul senso delle loro azioni e desiderano trovare la loro strada nel mondo, la loro soluzione “al problema” rispondendo solo a sé stessi, senza necessariamente omaggiare stilemi di genere.

Come scrive l’autore, nel finale della prima storia e nella cartolina in regalo come segnalibro:

“La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere, un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura. Non è una cima da raggiungere a tutti i costi. É la scelta di un buon posto in cui fermarsi”.

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