Cosa vuol dire essere musicisti professionisti ai tempi del Covid-19? Lo abbiamo chiesto a Phil Mer, alias Philipp Mersa, batterista italiano fra i più famosi, con date e tour svolti con grandi artisti quali Pino Daniele, Enrico Ruggeri, Francesco Renga, i Pooh…

Che significato sta assumendo fare musica per un musicista professionista in questo periodo di pandemia?
«Ho un bel po’ di amici musicisti professionisti, tra l’altro di grande bravura, che si stanno cercando un altro lavoro, alcuni lo hanno già trovato in altri campi completamente diversi. Il mondo della musica è quasi totalmente fermo e le cose che si muovono sono più a titolo simbolico, non si può certo parlare di ripartenza: quest’estate ho quattro concerti e mi ritengo fortunato ad averli perché è la mia vita, ma solitamente ne faccio almeno 40 da maggio a settembre! Con la crisi del live anche discograficamente procede tutto a rilento; ricordo che l’attività live rappresenta ormai la principale fonte di reddito per un musicista di qualsiasi categoria. Faccio un esempio: se non c’è live nemmeno la Siae raccoglie proventi quindi anche chi vive solo di diritti d’autore o di edizioni non ha introiti.» 

Cosa significa essere impegnati nel difendere la figura del musicista, in generale, e in particolare in questo specifico periodo, in cui molti musicisti sono in difficoltà?

«Faccio fatica a parlare di figura o categoria di musicista perché ci sono tanti percorsi diversi e molte variabili: c’è chi vive di musica attraverso la didattica, chi attraverso il live, chi organizzando eventi, chi producendo dischi, chi occupandosi di edizioni, chi facendo l’autore, chi il tecnico, chi costruendo strumenti. Non può esserci una regolamentazione sola che tenga conto di tutti gli aspetti e delle mansioni differenti. C’è anche una disparità di reddito notevole tra chi canta riempiendo uno stadio e chi fa il pianobar in un campeggio… Eppure sono tutte persone che vivono di musica. Nuovo Imaie, Inps, Siae hanno fatto e stanno facendo qualcosa per aiutare i musicisti e gli operatori della musica in difficoltà. Non posso dire la stessa cosa delle agenzie live che trattengono tutti gli incassi dei biglietti degli show rimandati, senza anticipare niente alle maestranze coinvolte (dico anticipare, non regalare!) e non posso dire la stessa cosa degli artisti che si trincerano in casa senza fare nulla per aiutare chi lavora con e per loro.»

Hai già ricominciato l’attività dal vivo? Se sì, descrivici il tuo primo concerto post lockdown.
«Ho ricominciato a fare qualcosina, voglio citare il primo concerto che si è tenuto in Italia il giorno della riapertura: un live acustico di Red Canzian in Piazza dei Signori a Treviso alle 19 del 15 giugno, fortemente voluto dalle Istituzioni cittadine per dare un segnale di ripresa. Il significato simbolico è stato colto e la partecipazione emotiva c’è stata tutta, sia da parte nostra che del pubblico, però era straniante per noi sul palco vedere le persone distanziate, immobili ai propri posti, con mascherine ed ombrelli. Penso sia stato straniante anche per il pubblico non poter partecipare con il consueto calore e dover sottostare a restrizioni difficili da tollerare per una serata di “svago e intrattenimento”. Voglio citare anche un concerto che ho tenuto a Modena presso il jazz club La Tenda con il mio progetto The Framers, con cui musico opere d’arte. In questo caso, trattandosi di un concerto di musica jazz con la proiezione delle opere, è stato più facile ritrovare l’atmosfera di attenzione e concentrazione propria dei nostri soliti live.»

Come pensi possano essere le prospettive per chi vive di musica nel breve periodo, e come potrebbe cambiare il mondo della musica live se dovesse perdurare la situazione attuale per un periodo più lungo?

«A mio avviso ce la farà chi non ha grosse spese, una carriera consolidata, delle risorse da parte, un secondo lavoro (tutte e quattro le cose o una combinazione di queste cose). Mi auguro che riparta almeno l’insegnamento da settembre ma per i live si vive ancora in un clima di grande incertezza: le programmazioni dei club sono ferme, molti locali hanno chiuso e i concerti teatrali o più grossi sono tutti rimandati all’anno prossimo. Se anche l’anno prossimo la questione non dovesse risolversi (ma sono piuttosto speranzoso che già nei prossimi mesi si risolverà) sarà un colpo insostenibile per l’intera categoria, perché anche le agenzie grosse falliranno perché dovranno restituire al pubblico i soldi dei biglietti già incassati dagli show posticipati e anche gli artisti più affermati cominceranno ad aver bisogno di guadagnare (sono abituati a lavorare ad anni alterni), ma non potendolo fare con il live dovranno cercare di farlo diversamente e sarà la fine per tutti i musicisti che vivono accompagnandoli. Al di là di queste considerazioni catastrofiste non credo che nel pubblico si spegnerà mai la voglia di live (e sto parlando della partecipazione diretta e non mediata attraverso streaming, Tv o video) perché è qualcosa di atavico e molto consolidato nell’essere umano: ricordo che già l’uomo preistorico si radunava a danzare intorno al fuoco al suono del canto e delle percussioni.»