Si sta sempre più all’ombra dei ricordi di chi ha vissuto la persecuzione e segregazione razziale, il piano di sterminio, la macchina dell’annientamento. Si sta all’ombra perché i pochi testimoni diretti sopravvissuti, che hanno scelto di farlo sapere al mondo, sono sempre di meno. E ora la memoria diventa una scelta, che chiede a ciascuno di conoscere, di addentrarsi, di non fermarsi superficialmente davanti alla Storia.

Dal 9 gennaio la Biblioteca civica ha intrapreso una serie di iniziative per accompagnare ogni generazione al Giorno della memoria: sulla vetrina di via Cappello è esposto un progetto di ricerca visiva, “Profili di sangue”, mentre all’ingresso dell’edificio è presente l’installazione “Dedicato a Hurbineck”, tratto dalle descrizioni di Primo Levi.

Lo sterminio visto dai bambini

Il programma di iniziative della Biblioteca civica per il Giorno della memoria.

Un piccolo bimbo di circa tre anni, prigioniero ad Auschwitz, senza famiglia, segnato nel corpo e privo di qualsiasi esperienza che non sia il lager, di lui si trovano tracce dettagliate in La tregua e in I sommersi e i salvati, simbolo tragico e potente dell’orrore nazista.

Delle vittime più piccole parla anche l’esposizione delle tavole dell’albo illustrato La crociata dei bambini, edito da Orecchio Acerbo su testo di Bertolt Brecht. Il 20 gennaio alle 17 in Sala Farinati sarà visibile invece il documentario di Dario Dalla Mura e Elena Peloso “Gli ultimi mesi – Il lager di Bolzano“, in collaborazione con l’Istituto veronese per la storia della Resistenza, seguito il 25 gennaio, sempre nella stessa sala e al medesimo orario, dal convegno “Propaganda, educazione e informazione”, con Ivano Palmieri e Agata La Terza, a partire dal libro Educare all’odio, pubblicato da Cierre Edizioni.

Profili di sangue: 108 volti di ieri e di oggi

A confronto con i volti di Auschwitz ci pone “Profili di sangue“: pensato proprio per questa vetrina, il progetto prevede 108 ritratti, 108 mug shots (foto segnaletiche) e 108 fotografie digitali realizzate con iPhone-Hipstamatic. Tre gli autori: Claudio Bighignoli con le matite, Giulio Spiazzi alla macchina fotografica e Piergiorgio Cavazza per l’Hipstamatic.

Le immagini disposte sul lato di ingresso della biblioteca, non sarebbero possibili se non fosse stato per il lavoro del fotografo polacco, anch’egli prigioniero, Wilhelm Brasse, prigioniero politico con il numero 3444, destinato al servizio di riconoscimento. Suo il merito di aver consegnato alla storia i volti dei prigionieri di Auschwitz-Birkenau, nonostante l’ordine di distruggere le foto e i negativi, salvandone così gran parte degli oltre 40mila scatti realizzati nel campo di sterminio.

Ora sono esposte al museo di Auschwitz e allo Yad Vashem a Gerusalemme; tra queste, il volto di Czesława Kwoka, prigioniera 26947, morta a 14 anni nel marzo 1943. Una ragazzina segnata dalla violenza di una kapò, come ricorda Brasse, e consegnata al nostro sguardo in tutto il suo terrore senza speranza.

La vicenda di Brasse, scomparso a 94 anni nel 2012, è stata raccontata in un documentario, “Il ritrattista”, della regista polacca Irek Dobrowolski. Il confronto con tutti quei volti, compresi quelli dei detenuti impiegati negli esperimenti dei medici di Auschwitz-Birkenau Eduard Wirths e Josef Mengele, gli impedì successivamente di riprendere in mano l’obiettivo («Nonostante avessi una macchina Kodak – dichiara nel film -, non sono più riuscito a fotografare, ne avevo repulsione»).

Il trittico segnaletico di Czesława Kwoka, prigioniera numero 26947, morta a 14 anni nel marzo 1943 ad Auschwitz. La foto è di Wilhelm Brasse.

Chi siamo davanti alla legge?

Da quelle immagini, da quel poderoso e tragico schedario di volti nascono nuove immagini: Bighignoli, Spiazzi e Cavazza mettono affiancano le loro 108 letture visive, che partono idealmente dal concetto sottostante al documento fotografico realizzato da Brasse e lo filtrano attraverso i personali medium espressivi. I disegni di Bighignoli dicono del rapporto che abbiamo con il concetto totalizzante di legge, di sicurezza, il cui strumento di schedatura ci proietta già nella dimensione della colpevolezza.

Come per le persone ritratte ad Auschwitz, il mezzo trasforma i soggetti in “arrestati per non aver commesso il fatto”, “criminali della normalità”, semplificati nella loro identità umana perché compressi in un profilo del quale Bighignoli si rifiuta di riportare l’immagine frontale.  

Ed è il profilo che paradossalmente rende più liberi i soggetti, per quella ineffabilità latente di un volto che non si mostra completamente, nemmeno a chi dovrebbe ritrarli a matita.

All’ombra degli alberi

I soggetti di cui si occupa Giulio Spiazzi nelle 108 shots mugs fotografiche sono alberi, colpevoli oggi di occupare aree destinate al modello economico-sociale umano. Nelle immagini alberi tagliati, bruciati, sradicati, avvelenati, contenuti in recinzioni, oppure coltivati per l’industria o nei vivai, destinati ad abbellire i giardini. Senza volto, sono una forza perturbante: chiome fitte che si inquietano all’incontro con i venti, la loro natura è diventare bosco che cancella i sentieri, spiazzare i riferimenti, le certezze umane, diventare persino una gabbia maestosa dalla quale non si fugge. Lo stordimento è inevitabile tra le mille essenze arboree, ciascuna con la propria voce, il proprio modo di dialogare con la luce.

Il profilo, punto di vista aperto

“Il profilo è quella linea che all’occhio traccia il contorno estremo di una cosa, la linea pura che se ne frega del volume. Notiamo subito che il profilo è un’immagine parziale, che implica in sé un punto di vista: il medesimo oggetto si profila diversamente a seconda del punto da cui lo si guarda; il profilo è confine e custode della soggettività visiva”.

Così spiegano gli autori il tema guida del progetto. Le 108 immagini di Piergiorgio Cavazza indagano l’impermanenza. I suoi sono soggetti a prova di arresto, specchio dell’assurdità di ogni etichetta per genere, razza, stato sociale. Segni di libertà che non si distanziano dal dato di natura, intesa come madre di tutto e capace di armonizzare ogni scompiglio umano. Il profilo è tutto ciò che c’è da dire di noi, al pari degli alberi, parte di una totalità in cui non ha più senso definire, schedare, eliminare.

Una visione serale dell’esposizione, foto dalla pagina Facebook del progetto Profili di sangue.

“Questa mostra sono io”

“Questa mostra sono io”, si legge in calce alle immagini affiancate: la dichiarazione include gli autori ma soprattutto gli spettatori, i cui profili potrebbero ritrovarsi il giorno seguente, per osmosi, in quella rassegna tripartita di 108 immagini affiancate che parlano di esseri umani, natura, giustizia, dentro, fuori, legge, disobbedienza.

I milioni di vittime che ricordiamo il 27 gennaio sono stati lo scarto di un sistema che ha previsto per loro delle regole, delle leggi per sterminarli. Lungo la vetrata della Civica si legge una citazione tratta da Il vagabondo delle stelle di Jack London: “Caro cittadino, che autorizzi e paghi questi cani da forca perché allaccino la camicia di forza al posto tuo, forse ignori che cos’è veramente questo arnese”. Nel libro, London fa seguire la descrizione cruda di come la si indossi e come venga chiusa, cosicché il condannato sia alla mercé della crudeltà delle guardie o di chi invii ordini dall’alto.

I “Profili di sangue” si trasformano, in relazione a una consapevolezza più grande, che invita a rifuggire l’annientamento dell’umano. Profili, prospettive per uno scarto in avanti.

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